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Filippo Bottaccioli e
la "grande guerra"

A cura di Francesco Deplanu ed Isotta Bottaccioli

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Filippo Bottaccioli era nato nel 1895 da una famiglia molto povera, mezzadri a San Benedetto. Ultimo vivo di 7 fratelli ed altri 3 morti poco dopo la nascita. Si recò nel 1914 in Francia alla ricerca di lavorò ma tornò nel 1915 per la chiamata alle armi. Fu inserito nel Regio esercito nel 15° Bersaglieri, 8° compagnia. Da lì scriveva alla sua futura moglie Elvira Floridi. Le cartoline che inviava dal fronte avevano uno spazio per scrivere un messaggio, mentre quelle dell’Impero asburgico, multietnico e multilinguistico, avevano solo lo spazio per il nome e cognome con delle scritte stampate in più di 10 lingue per salutare i propri cari.

Elvira Floridi e alcune cartoline inviate da Filippo.

Filippo scriveva ad Elvira nello spazio sottoposto a “censura militare”, e poi in accordo con lei, parole d’amore nello spazio sotto il francobollo. Francobolli che sono stati tutti staccati. Una forma di comunicazione per superare la “censura morale” del tempo.

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In un’audio ritrovato, registrato in una vecchia cassetta Filippo, detto Pippo, raccontò la sua  partecipazione  alla “grande guerra” e la sua prigionia. L’audio venne registrato nel 1983 da Lamberto Beatini, il genero di Filippo avendo sposato la figlia di lui, Isotta. Nella registrazione si sente oltre ad Isotta anche la sua consuocera Giannina, sposata a Orlando (Guido) Medici, uno degli "scalpellini" di Niccone. Giannina usava il “voi” per riferirsi a Filippo. Durante la prima parte del conflitto le sue condizioni di salute lo resero inabile alle attività militari per 13 mesi, restò nelle retrovie a Bologna per via dei famosi “piedi piatti”, una caratteristica che impediva di poter marciare velocemente. Con il prosieguo del difficile conflitto però venne giudicato completamente abile e inviato in trincea. Era il momento dello sforzo per la conquista di Gorizia, la sesta battaglia dell’Isonzo. Venne ferito ad un piede a Doberdò il 16/08/1916. 

Da Bologna al ferimento a Doberdò
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Resto poco, quindi, nella guerra di trincea; fu ricoverato ed operato con una convalescenza di 45 giorni. Il racconto si fa poi confuso, successivamente fu catturato nei pressi di Udine e siamo convinti che fu nel periodo della sconfitta di Caporetto, infatti nella registrazione si sente dire “arrivò quella rivoluzione” che sicuramente allude alla disfatta ed al caos che ne seguì, successivamente lo definisce "grande accerchiamento". 

Dalla ferita all'ospedale 45 giorni
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Ne seguì la prigionia in Austria, Polonia, Germania, tra Francia e Belgio al tempo della “spagnola”, quindi tra marzo/agosto 1918, e poi di nuovo in Polonia con il peggioramento del conflitto per gli imperi centrali.

Da Udine alla Polonia
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 Quello che sappiamo è che era impiegato ad un certo punto come ferroviere sulla linea da dove sparava il grande cannone tedesco contro Parigi.  I prigionieri infatti venivano furono portati in campi di concentramento e lavoro sia nelle zone dell’Impero Austro-ungarico che nelle zone del fronte in mano agli imperi centrali, come ad esempio tra il nord della Francia e Belgio come accadde a Filippo. Questo per il lavoro coatto dei prigionieri funzionale alle strategie di guerra. Nel caso di Bottaccioli fu portato fin nel nord della Francia o sud del Belgio per lavorare sulla ferrovia che permetteva il cannoneggiamento di Parigi: il “Parisgeschütz”

Da Wikipedia in lingua francese una rappresentazione dell'efficacia del Parisgeschütz.

Il Kaiser Wilhelm Geschütz, ovvero il cannone del Kaiser Guglielmo era un’arma che veniva usato per scopi soprattutto psicologici, colpire la capitale del nemico. Sparava da grande distanza, di notte, dalla zona della foresta di St. Gobain.

Dal cannone alle bastonate
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Lamberto cercò di aiutare il racconto di Filippo, che era sofferente ed aveva 89 anni, ma si inserisce anche con i suoi ricordi. Raccontò alcune fatti di suo padre, Antonio Beatini, sempre coinvolto nella "grande guerra": racconti di guerra e personali. La fame che patì una sola volta, quando da sergente maggiore catturò 12 prigionieri “austriaci” e per sfamarli diede loro il pranzo degli italiani; ma anche un ricordo che diventò famigliare: suo padre, infatti, redigeva la corrispondenza per un amico dello stesso reparto, di cui non sappiamo il nome, che non sapeva scrivere. 

Lamberto racconta la "fame" del padre An
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Questo era innamorato di Anna Gregori ed Antonio scriveva per lui le lettere a questa ragazza. Furono colpiti da una valanga e l'altro morì. Tornato dopo la guerra Antonio Beatini sposò in seconde nozze, proprio Anna Gregori... la mamma di Lamberto; la  prima moglie, infatti, era morta lontano da lui durante il conflitto.

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Anna Gregori

Lamberto racconta della nonna Anna
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Tornando a Filippo della prigionia raccontava la fame, di cui parleremo sotto, e la severità dei carcerieri, migliori i "bulgari" peggiori "i tedeschi"anche se per uno di loro che lo colpì a bastonate, e Filippo reagì colpendolo con una gavetta, riporta in dialetto una frase illuminante “era più nervoso che cativo”. 

La prigionia, la reazione... la tazza di
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Non erano i campi di sterminio che si vedranno 30 anni dopo, qua si moriva in realtà di fame e malattie. Si pensa che dei 600.000 italiani prigionieri, 1 su 6, morì in quel periodo nei vari campi di concentramento e negli spostamenti. Le difficoltà di un conflitto diventato “guerra totale” ed economica non solo cambiò il campo di battaglia e fece nascere le “trincee” ma sottopone le economie dei Paesi coinvolti ad uno sforzo eccezionale. Germania e l’Impero austriaco non riescono nel prosieguo della guerra addirittura a sfamare la propria popolazione. Per i prigionieri la fame è quindi una realtà quotidiana. Così gli Imperi Centrali chiederanno ai Paesi dell’Intesa di contribuire alla sopravvivenza dei propri militari con aiuti militari. Francia ed Inghilterra accetteranno mentre il Regno d’Italia si rifiuterà. Infatti per Cadorna chi era stato già catturato era colpevole di essere stato poco combattivo, ed anche, poi, per evitare che le voci di un trattamento “buono” del nemico potesse influenzare chi ancora combatteva. Morirono in centomila… Venne propagandata anche una narrazione di vigliaccheria che diede vita ad una ostilità verso questi “vigliacchi”.

La “fame” era ricorrente nei ricordi che Filippo anche a distanza di tanto tempo:

elaborazione audio nonno pippo fame
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La figlia Isotta ne trascrisse altri ricordi su carta: “E raccontavi della tua prigionia, quando la fame era pane quotidiano. Un giorno, prigioniero in Germania, quando il tuo stomaco era dilaniato da atroci morsi, ti mettesti alla ricerca di qualcosa da mangiare. Capitasti vicino ad una concimaia e vedesti tra l’immondizia delle bucce di patate. Incurante della puzza e del posto, le raccogliesti, le lavasti e dopo un veloce lessatura dentro un barattolo arrugginito, le divorasti e la fame per un poco si placò”. Ed ancora “Raccontavi ancora, e sempre con molta commozione, che libero dalla prigionia, con un tuo compagno, vi imbatteste in una tinozza piena d’orzo. Avevate una fame arretrata e considerasti ciò una benedizione. A capo chino vi metteste a mangiare a manciate colmando lo stomaco da tempo vuoto. Ad un certo punto il tuo buon senso ti suggerì di smettere, perché sapevi che il cereale, ammorbidito dai succhi gastrici, avrebbe aumentato il suo volume e lo stomaco ne avrebbe sofferto. Consigliasti anche al suo amico di smettere ma il poverino non ebbe la forza e durante la notte il suo stomaco “crepò” e morì tra atroci dolori”. Alla fine tornò a casa sebbene con i piedi congelati.

 

Filippo, detto “Pippo” era un uomo semplice, ma razionale ed insofferente delle ingiustizie. Nel 1966, ormai settantenne appuntò in breve la sua vita in un diario che la figlia Isotta trascrisse; eccone un brano: “Avendo un pò di tempo libero mi accingo a raccontarvi la mia vita. Compatirete la mia ignoranza perché la mia scuola si è fermata alla prima classe elementare e a pochi mesi dalla seconda serale. Sono nato nel 1895 a S. Martino, presso San Benedetto. Provo a descrivere la mia casa dove sono nato. Una cucina tutta nera di fuliggine. Un grande focolaio, una camera. Un granaio senza grano. I Mobili: un tavolino, una tavola di legno molto grosso. Per niente sedie ma al posto delle sedie due lunghi banchi di quercia. La camera: due cavalletti con relative tavole sopra le quali c’erano i materassi. In terra una tavoletta con la tagliola per uccidere… che cosa si può immaginare. Avevamo materassi di paglia. Una cosa buona era il coltrone di lana. Nei materassi oltre la paglia c’erano anche le foglie di granturco. Nella cucina pignatte, padelle, qualche piatto e bicchieri, forchette e cucchiaio. C’erano due cassoni grandi. Una cassa era di mia mamma che tutt’ora è qui in casa, l’altra è stata distrutta. C’erano due telai per fare la tela. Un pò di attrezzi da calzolaio e da falegname. Potrei scrivere tanto, ma ci vorrebbe uno scrittore e io ne so tanto poco.”.

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Pippo Bottaccioli fuori dalla sua casa alle "Fontanelle".  Foto di Niccone anni '60 dove visse a lungo.

La povertà e l’impossibilità di studiare furono un suo cruccio, l’importanza della cultura fu un’esigenza che divenne valore e spinse tutti i suoi figli a diplomarsi e molti dei nipoti a laurearsi. Un orgoglio per lui. Da figlio di mezzadro a San Benedetto, dopo la grande guerra divenne barbiere a Niccone. Arrivò il ventennio e la seconda guerra mondiale che lo videro antifascista e comunista. Aprì un negozio di lana proprio nel centro storico di Umbertide. Morì il 14 giugno 1985.

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Pippo Bottaccioli tornò, fu fortunato... ma molti ragazzi non uscirono vivi dall'esperienza collettiva che fu la "grande guerra".

 

Lo storico di Città di Castello Alvaro Tacchini da anni ha ricostruito le perdite umane che subì la nostra zona dell'Alta Valle del Tevere nel suo sito personale www.storiatifernate.it.

 

Si è occupato di censire anche i 268 caduti di Umbertide. Così scrive: "L'elenco nominativo dei 268 caduti di Umbertide. Di essi, 63 morirono per malattia, 17 in prigionia, 20 risultano dispersi". Consigliamo vivamente di prenderne visione . All'interno della pagina si può vedere il giorno della morte, il motivo e ed il luogo di sepoltura di ogni singolo deceduto.

Al termine, della pagina si può scaricare un allegato con gli stessi dati ma con alcune immagini di documenti relativi a Alunni Tullini Ernesto, Caldari Domenico, Ciocchetti Olinto e Spinalbelli Achille.

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http://www.storiatifernate.it/pubblicazioni.php?&cat=48&subcat=104&group=234&id=374

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In alternativa si può fare la ricerca individuale o per Comune dal sito https://www.cadutigrandeguerra.it  nell pagina https://www.cadutigrandeguerra.it/CercaNome.aspx. Per trovare tutti gli appartenenti al Comune basta  indicare nella casella "Comune in Albo", ad esempio, il termine... Umbertide.

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https://www.cadutigrandeguerra.it/CercaNome.aspx

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I giovani umbri che morirono nella "grande guerra" furono, però, davvero molti di più, circa 11.000. Per l'esattezza 10.934, di questi quasi mille morirono in prigionia, esattamente 964 persone. A questo link si possono avere notizie  sull'elenco completo dei morti umbri nella guerra:

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http://www.gualdograndeguerra.com/images/stories/pdf/prigionieri-umbri.pdf

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Immagine di prigionieri italiani in Germania durante la seconda guerra mondiale. Si noti il bastone del carceriere.

Immagine da: https://www.raicultura.it/storia/articoli/2019/01/Lodissea-dei-prigionieri-094ea220-5eba-4b49-af34-3a64c831649d.html (foto 8)

Aiutaci a ricordare

 

umbertidestoria@gmail.com

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