storia e memoria
NAUFRAGHI
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PRIME REAZIONI NEL CRATERE
La tempesta di deflagrazioni, fiammate e boati è cessata. Buio e silenzio incombono sul cratere. La vita sembra finita.
Chi non ha perso i sensi tace; immobile; fino a quando non riconquista la coscienza d'essere vivo. Chi può, comincia a muoversi; tastoni. Ombre(1); nel buio; mute.
I lamenti dei feriti riescono ad insinuarsi nella sordità delle orecchie stordite: sono il primo segno di residui di vita.
Ci si rende conto di non essere rimasti soli.
C'è bisogno di aiutare, di sapere: la vita deve continuare!
Si azzarda un lamento sussurrato - aiuto! - che rimbalza sulla polvere davanti alla bocca, dando conferma dell'esistenza di se stessi. Si prende coraggio; si chiede aiuto a voce più alta, sempre più alta; le suppliche si rafforzano reciprocamente con le altre, che provengono dal buio, tutt'intorno. Diventano grida: un caotico coro di grida.
La polvere si posa lentamente, lasciando strada al chiarore che scende dal cielo e dà contorni sempre più strazianti alla catastrofe: il cuore di San Giovanni è collassato in un paio di metri di detriti. Solo qualche guglia di muro è riuscita ad opporsi alla forza di gravità e lascia intuire le case dove, solo qualche minuto fa, la vita fluiva.
Troppo immane l'orrore / che chiuse l'aria intorno / Troppo avido il fuoco / Atroce il supplizio / Alte le fiamme / nelle pupille sbarrate. / E lente / per un pasto / illimitato. / Gocciolava il sangue / come linfa gemente / Acre il fumo / a divorare / le grida. / Avremmo voluto avere / tanto sangue / da spegnere il fuoco. / ... / Troppo dolci le braccia / da cui fummo strappati / Troppo amaro il destino / ahiacciato il pianto / Oscuro il velo / sopra gli occhi chiari. / È ardente / di dolore / illimitato. / Torturava la mente / un vortice di immagini / Infinito l'attimo / prima dello / squarcio infocato. / Avremmo voluto avere / tante lacrime / da annegare la morte(2).
I soccorsi immediati
Come topi, dalle tane, i sopravvissuti emergono dall'inferno: la vita, incredibilmente, è riuscita a resistere. Gli uomini incolumi portano aiuto a chi è vicino, ferito, sepolto o solo in difficoltà. Ai lamenti ed alle grida d'aiuto, si aggiungono le voci dei soccorritori(3).
In Via Cibo
Sbuca Gigetto (Luigi Gambucci) dalla porta delle Poste, dove era rimasto prigioniero, pensando che fosse finita! Ha la bocca piena di terriccio. Ha intravisto un po' di luce . .. un rossore: si è rinfrancato. Si porta verso casa, a poche decine di metri, all'inizio del ponte. Ma li, in fondo al corso, all'angolo di Via Spunta verso il Tevere, la collina di macerie in cui s'è ridotta la casa della Concetta (Villarini) si è riversata sulla schiera prospiciente, fino agli architravi dei portoni, ostruendo il passaggio verso il ponte. Si sentono grida soffocate d'aiuto provenire da sotto le macerie. Cominciano a scavare con le mani. "Fate piano... che cade tutto..." si raccomanda la donna sepolta, che li ha sentiti e cerca di guidarli. È la Gigina (Mischianti). È quasi in cima al cumulo di macerie, salvata da una trave che ha fatto capanna, proteggendole la testa; nel resto del corpo ha gravi ferite(4).
Con le mani, Gigetto riesce a scavare una piccola buca, liberando la testa della donna, irriconoscibile ma viva: respira. Lo aiutano Tonino (Grilli)(5) e Remigio (Tonanni)(6). Quest'ultimo, striminzito, è appena riuscito a sgattaiolare, attraverso un pertugio, dal portone in cui era rimasto imprigionato, con altri due compagni di sventura(7).
Di corsa, da Santa Maria arriva Guerriero de Schiupitìno (Gagliardini), il bambino con il cannocchiale, dopo aver quasi scavalcato la moglie di Pazzi, morta in Via Grilli. Si arrampica sulle macerie pensando che quella testa viva appartenga alla mamma, proprietaria di un negozio lì vicino. Piangendo cerca di aiutare a liberarla; quando si accorge che ha la crocchia(8) - non è la mamma -1'istinto lo porta a fuggire, per cercarla altrove(9).
La Gigina diventa la meta di un pellegrinaggio di tanti che - a turno, in una catena di solidarietà - cercano di liberarla: è il primo simbolo della reazione, della speranza. Si aggiunge Tonino (Taticchi)(10); arriva Lellino (Raffaello Agea)(11) . Fernando de Bargiacca le toglie i sassi d'intorno, dalla vita in giù(12).
Mario (Distrutti), un ragazzo, ha aiutato per qualche attimo a liberare la donna intrappolata; poi corre via, alla ricerca del babbo e del fratello, guardando solo le persone in piedi, perché non vuol vedere nessun morto(13).
Questo conflitto - fra solidarietà ed egoismo - coinvolge tutti, anche gli adulti: si aiuta lo stretto indispensabile ad attendere il prossimo generoso, in una staffetta coraggiosa ed egoisticamente crudele al tempo stesso.
Ognuno - di fronte all'orrore più disumano - ha in testa soprattutto i suoi famigliari, vuole ritrovarli(14). L'istinto è di allontanarsi per cercarli. Successivamente, a freddo, emerge il rimorso(15) per aver aiutato solo quel tanto di cui non si poteva fare a meno.
Prima di tutto si pensa a salvare la propria pelle.
La Stella (Bottaccioli) è rimasta sola in casa. Inghiottito dal buio e dalla polvere, il figlio Lazzaro si è sentito come impazzito ed è fuggito, ricordandosi di lei solo quando è finito l'inferno(16).
Sul cumulo da dove spunta il corpo della Gigina, arriva Egino (Villarini), scappato dal nascondiglio in Via Roma; quel mucchio di detriti, fino all'altezza dei primi piani, è quanto resta della sua casa. Si inerpica sulle macerie, quando ancora la polvere non si è diradata del tutto. Trova alcuni oggetti di Bruno, il fratello: le chiavi dell'ufficio al Celio, una baionetta, rotoli di cotone ed accessori di sartoria. Dopo poco sopraggiunge da Piazza San Francesco la mamma Concetta, che si butta(17) a raspare sulle macerie con le mani, urlando in modo quasi disumano(18). Non riescono a portarla via.
Sopra la stessa collina di sassi un'altra mamma, l'Annita de Baldrighèlla (Boldrini), che era rimasta incolume nella vicina bottega da sellaio di Carlo (Ciarabelli), in ginocchio invoca la figlia Cecilia(19).
La polvere si sta diradando.
Si intravede un uomo anziano, come inebetito, sul letto della stanza all'ultimo piano, priva della parete verso ovest(20).
Arrivano sconvolte due amiche di Bruno e delle sue scolare: l'Amelia (Lozzi) e la Gigina (Vestrelli). Si abbracciano(21). Abbassando gli occhi, vedono le forbici di Bruno: "Oddio... son morti tutti!". Per carità... per carità ... che tragedia (22)! La Gigina è scalza e fa fatica a camminare in mezzo ai sassi; solo ora si accorge che ha le spalle tutte morate. Quando aveva sentito il rumore sempre più assordante, era corsa verso le soffitte; poi l'istinto l'aveva indotta a scendere di corsa le scale verso l'uscita. In fondo al portone era rimasta paralizzata, mentre fuori sembrava che venisse giù il mondo: il suo appartamento era venuto giù, scaricandosi sopra la stalla di Fiordo, e solo un ambiente era rimasto in piedi. Poi, tornato il silenzio, aveva aperto il portone: era tutto polvere e non si vedeva niente... macerie dappertutto, cavi della luce penzoloni, travi ....(23).
Nello (Flemma) e 1'Armida de Caldàro hanno visto un po' di luce attraverso una piccola fessura aperta dalle esplosioni successive a quella che aveva demolito l'ala del Palazzo Vibi, dove si erano riparati. Allora si sono arrampicati sui detriti e sono riusciti ad aprirsi un varco verso la salvezza(24).
Da un pertugio vicino compare Silvano (Bernacchi), leggermente ferito; cerca di allontanarsi dalle mura pericolanti, scendendo dalla collina di macerie in cui si è ridotta casa sua. È soccorso dal dottor Porrozzi, che lo porta con sé verso la propria abitazione provvisoria, presso il ponte in ferro del Rio. Il nonno di Silvano, sepolto fino alla vita, muore poco dopo; la nonna è ferita gravemente(25).
Solo per caso è scampata alla fine la Palma, addetta alla pulizia delle vetture della ferrovia, ed i figli che abitavano al primo piano: Don Anfilza, un seccaróne lungo; la Giovanna, con le sue treccione bionde, calzetti grossi di lana e scarpe basse; e Bìa, così ribattezzato per il ritornello con cui non perdeva occasione di raccomandare a tutti: "Bìa [bisogna] sta' bassi quando cadono le bombe". Nessuno di loro era in casa.
Nella calzoleria di Lisetti, Antonio Mischianti vede aprirsi uno spiraglio di luce. Sussurra: "Se pole scappa'... [si può uscire]". Gli altri vicini a lui non se lo fanno ripetere due volte: saltano verso la porta, da dove proviene sempre più luce, ed escono fra qualche detrito. Poco vicino, le macerie sono talmente alte che l'Adriana e la Menchina del Sellaro (Cecchetti) sono rimaste intrappolate dentro la bottega del babbo. I calzolai provano a scappare verso Piazza San Francesco, come avevano consigliato se fosse venuto un bombardamento, ma c'è un gran polverone; svoltano allora verso il ponte sulla Regghia, girano all'angolo del Palazzo Reggiani, verso la Collegiata.
Ognuno si ritrova dove le gambe l'hanno portato(26).
In Via Mariotti
Alfredo (Ciarabelli) esce dal suo nascondiglio di renitente, in casa Grilli. Sente lo zio Bruto, al piano di sopra; sale tentoni e lo trova in piedi in cima alle scale con il nipote Giovannino (Grilli) di pochi mesi in braccio, che piange. Bruto cerca di farlo respirare mettendolo fuori della finestra, nell'illusione che ci sia meno polvere(27). Alfredo li aiuta a scendere fuori del portone, in Via Cibo. Si accorge di essere in pigiama e risale per mettersi addosso qualcosa; non si preoccupa più del rischio di essere arrestato come renitente. Dalla finestra del primo pianerottolo riesce ad intravedere - la polvere continua a diradarsi - che le case di San Giovanni sono tutte cadute. Scorge delle persone, vive, sopra un mucchio di macerie: sono i parenti della moglie di Simonucci, sfollati da Manfredonia. Salta dalla finestra sui detriti, che arrivano quasi sul davanzale; conduce quelle persone, mute ed inebetite, sul Corso passando dalla stessa finestra. Insieme a `l Bove (Antonio Taticchi), libera la Maria (Brunori) che è sepolta fino alla vita; la depongono sullo scuro di una finestra per trasportarla sul Corso; altri la portano all'ospedale. Mentre stanno scavando, la sorella della Maria - la Bruna - urla da sotto i detriti che la imprigionano, raccomandando di non far crollare tutto(28).
La Pompilia (Locchi), seduta sulle macerie, tutta impolverata, è fuori di sé: canta "Bandiera rossa", come un giradischi a manovella con la molla scarica(29).
Nel vicolo di San Giovanni
Nella casa di fronte a quella dei Brunori, l'Elda (Bartocci), senza saper come, si è ritrovata ad un piano superiore rispetto all'androne dove si era rifugiata, al buio, tra la polvere fumosa delle bombe. È un momento terribile, perché pensa di essere sepolta viva. Stenta a respirare, non crede più di salvarsi, finché - grazie al vento - la polvere si dirada e vede il cielo: un cielo bellissimo, anche perché le fa pensare d'essere salva. Cercando di muoversi tra quelle macerie, si rende conto di trovarsi nel lato opposto del fabbricato, dalla parte della ferrovia. Giunta ad uno squarcio del muro, comincia ad urlare per richiamare l'attenzione di qualcuno; dopo un po' scorge, davanti alle stalle del sellaio lungo la Regghia, Osvaldo (Baroni). Gli chiede aiuto; lui le porta una scala, l'appoggia al muro; l'Elda, da una finestra pericolante, si penzola giù ... giù ... fino a toccare con la punta dei piedi il primo piolo: è salva(30)!
In Via Alberti
Le ortolane che stavano vendendo le verdure in Via Alberti - l'Annetta, l'Annina de Caprone e la Suntina de Saltafinestre (Assunta Fortuna) - si sono riparate dentro la bottega di frutta della Pierina del Pilide. Ne sono uscite vive, grazie alla Cència (Valdambrini) - impiegata ai telefoni - che aveva suggerito di alzare le vesti e respirare attraverso la stoffa in modo da bloccare la polvere: "Respirate con calma... Si vede un po' di luce... ci salviamo!". Si arrampicano, su ... su, per le macerie. Una compagna di sventura, gobba e zoppa, non riesce a salire; fra tutte, la portano in salvo(31).
In Piazza delle Erbe
Al primo spiraglio di luce verso la piazzetta delle Erbe - sembra passata un'eternità - Nino (Egidio Grassini) scappa, correndo all'impazzata: "Meglio morì all'aperto che sotto i sassi", pensa. Attraversa come un fulmine la piccola galleria che porta in Via Grilli, usata da tutti come orinatoio, senza minimamente accorgersi della moglie di Quinto (Pazzi), il macellaio, che proprio in quel punto è stata colpita da una scheggia(32). La vedono quelli che entrano in paese dalla Piaggiola ma non si fermano, credendola morta.
In Via Guidalotti
Da una nuvola di polvere e calcinacci, esce la famiglia Franchi dalla locanda della Venanzia. Scendono da un cumulo di macerie che, sulla strada, arrivano a metà del portone. La madre, leggermente ferita alla fronte, si aiuta aggrappandosi all'inferriata del lunotto sopra la porta. Con l'altro braccio stringe il fagottino della figlia di pochi mesi - la Giuliana - tutta bianca dalla polvere. Entrano dentro la Rocca. La bambina sta soffocando; il padre suggerisce alla mamma di pulirle la bocca con la saliva(33). I genitori sono incerti sul da farsi. Ci pensa Franco del capo-guardia (Anastasi) a pulirle la bocca, togliendole la terra(34). Poi sale al piano superiore per prendere un bicchiere d'acqua dalla mamma dell'Olimpia (Pieroni), che l'aiuta a pulirla ed a dissetarla(35).
Arriva il Commissario che urla: "Calma, calma!". La Dina (Tosti) gli inveisce contro:
"Va a morì ammazzato!".
E lui: "Chi è stato?! Come si permette!" Ma il signor Locchi riesce ad appianare
la questione: non è tempo di pensare al rispetto delle autorità(36). L'Olimpia
(Pieroni) cerca di avvicinarsi alla casa della Flora, passando attraverso il vicolo
delle Balille; ma è completamente ostruito dalle macerie della casa dei Marzani
e dall'angolo di quella di fronte, verso Piazza delle Erbe. Scende allora lungo
il tratto di strada che va verso il campanile di San Giovanni; tenta di passare tra
la casa della Venanzia (a sinistra) e casa Marzani (a destra). Pur essendo anche
questa stradina ostruita dalle macerie, riesce a vedere, tra il fumo e la polvere,
la Flora, la Bice e la nipote Bettina, appena fuori del portone di casa loro.
Prova a chiamarle, ma non la sentono, perché sono completamente stordite;
riesce a raggiungerle, passando sopra le macerie.
Le tre donne, assieme ad alcuni altri abitanti della casa (Duranti e Natali),
si erano riparate, su sollecitazione del proprietario della cartoleria, nel
piccolissimo retrobottega della stessa, comunicante con le scale dell'edificio
e da lui ritenuto più sicuro.
Hanno passato quei momenti tragici tra le bottigliette d'inchiostro ed
altri articoli di cancelleria che cadevano addosso dagli scaffali(37). Ora salgono
in casa per vederein che stato sia ridotta e per chiuderla. Davanti al portone,
Piazza delle Erbe è disseminata di pietre. Si rendono conto della gravità del disastro
quando vedono che la parete esterna della casa, verso la piazza, è staccata dai muri interni di quasi mezzo metro(38).
Tra i detriti della casa dei Tommasi spunta il moncone di una gamba, con lo stivaletto, della sora Rosa(39).
In Collegiata
Mentre gli altri compagni di rifugio piangono e seguitano a raccomandarsi a Dio ed alla Madonna, 1'Arciprete ha l'impressione di essere rimasto sepolto tra le macerie. Azzarda qualche passo nel buio per ritrovare l'uscita più prossima, indirizzandosi verso la porta esterna della sagrestia; ma, cadendo a più riprese, si accorge di non poter reggersi in piedi. Quando si rifà chiaro, s'avvede che è ferito alla gamba sinistra; il sangue sprizza da ogni parte. Nel frattempo i suoi compagni sono fuggiti. Eccetto uno, che è ferito: giace in una pozza di sangue e fortemente si lamenta. Don Luigi non può proprio camminare; si trascina carponi sopra le macerie e si affaccia dall'unico adito rimasto aperto verso la piazza per tentare uno scampo. Da li vede gente che fugge spaventata. Le case di fronte, compresa quella parrocchiale, sono mutilate o smantellate; sulla piazza si è creata un'enorme voragine prodotta dalla bomba; il resto del terreno è tutto sconvolto(40).
Da Via Roma arriva di corsa, in mutande, Natalino (Lisetti). Era rientrato ad Umbertide in permesso militare, dopo aver assistito ai terribili bombardamenti a Roma con 7000 morti: "Vò a mori' a casa mia", si era detto. Stamattina non si è svegliato alla solita ora, ma solo quando ha sentito lo scoppio delle bombe; ora corre, verso la barbieria dove avrebbe dovuto trovarsi a lavorare. Dal centro c'è un fuggi-fuggi di gente sconvolta. Incontra il maestro Rondoni che vuole tornare in classe per vedere che fine abbiano fatto i suoi scolari(41).
La fuga dopo la tempesta
Chi non è in condizioni di portare aiuto agli altri, perché è ferito o fuori di sé, cerca di allontanarsi più possibile dall'inferno del cratere.
... E poi fuori / nel vicolo / l'aria arroventata / greve di polvere e zolfo ...(42).
Dal centro storico sono due le vie di fuga possibili, il ponte di Piazza e la Piaggiola, perché l'uscita verso piazza San Francesco è pressoché impedita dai cumuli di macerie che ostruiscono sia il Corso sia il vicolo di San Giovanni.
Dal ponte di piazza
Da Via Mancini, attraverso gli "Archi del prete", si riversa una piena di gente in fuga, attraverso il ponte di piazza, verso la Collegiata. Tutto l'intonaco del soffitto fra gli archi è caduto a terra.
Dal portone della maestra Lina fanno capolino quanti vi si erano ammassati, coperti di polvere. Si trovano di fronte un corpo, supino, con una gamba appena reclinata, vestito di grigio scuro, con un corpetto. Le gambette di Simonello (Simonelli) non sono sufficientemente lunghe per scavalcarlo; sollevano il bambino; di fronte a Codovini gli coprono gli occhi per non fargli guardare verso quella mattanza. Davanti alla calzoleria vedono Selleri, in piedi, che accenna a qualche passo, zoppicando. Dalla testa gli cola sangue. Grida: "Signore, Madonna, aiutatemi!"(43). Si trascina fino al muro della Regghia; vi si appoggia, spindoccolàto verso il torrente(44). Poi rientra dentro la sua bottega.
La Mariolina (Rapo) e la Lea sono uscite da sotto il letto, che ha salvato tutti, perché il tetto è atterrato sopra i materassi". Hanno cercato di scappare attraverso l'arco che collega Via Mancini con il vicolo di San Giovanni, ma è ostruito dalle macerie. Hanno trovato una via libera negli archi di piazza, dove si è presentata una scena terribile, piena di corpi(46); hanno dovuto scavalcare quello di Baldo (Gambucci)(42). Dà un'occhiata verso il povero corpo anche la Dina (Batazzi), fuggita dallo stesso vicolo con i due fratelli più piccoli che ha trovato appena fuori della porta(48).
Dai fondi dello stesso vicolo escono l'Elsa (Caprini) e la mamma. Un tedesco con la faccia tutta bianca ha fatto cenno che possono andare. Dietro di loro scappa Vincenzo (Rinaldi), appena uscito dai gabinetti pubblici. Inciampa sulla Virginia, sua insegnante. Afferra per mano il biondino (Umberto Bellarosa) che era corso contro corrente verso l'inferno. Solo sotto la torre comincia a rivedere un po' di sulùstro(49).
Sul ponte della Regghia tenta di correre il capo dell'Anagrafe, Porrini, tutto impolverato e sconvolto; sembra anche insanguinato(50).
Dallo scantinato sotto l'osteria dove si era rifugiato, Vittorio (Giornelli) si affaccia dall'arco della tabaccheria che porta alla piazza, proprio quando un vérgolo gli cade davanti. In piazza il silenzio tombale dopo il frastuono è stato sostituito da lamenti, urla, richiami di gente che corre da ogni parte(51). Non si vede niente: tutto è sommerso dal fumo(52).
La mamma di Lorenzo scende, camminando sulle macerie del Corso, convinta che il figlio sia rimasto sotto. La speranza la spinge ad unirsi al fiume di gente che si riversa verso il Tevere, per percorrere a ritroso la strada lungo la quale il figlio potrebbe trovarsi. Urla il suo nome, fin quando un' amica non le riapre il mondo: "Giuditta, è di qui" le grida, mostrandole Lorenzo. Torna insieme con il figlio verso la Collegiata; lo tira per mano in mezzo alla caligine ed alla gente, tutta bianca, che corre come impazzita. Il bambino, nell'altra mano, ancora stringe il sedano che era andato a prendere nell'orto della zia Lucia(53).
Dalla Piaggiola
A precipizio, giù per la Piaggiola, la gente scappa. Un uomo stravolto urla che si è sbarcato tutto, mentre dal centro del paese sta correndo verso Santa Maria(54).
Il dottor Trotta trascina per mano la moglie, inebetita, più secca di sempre, i capelli arruffati bianchi di polvere; sembrano diretti all' ospedale(55).
Corre Giorgio de Bellazzùcca (Toraci), in mezzo al fumo denso. In fondo alla ringhiera delle scale di Misquicqueri (Nello Migliorati), c'è una donna in piedi, aggrappata con le mani a qualcosa dietro la testa: ha la pancia squarciata e le budella fuori(56). In fondo alla discesa, vicino alla "pompina", Evans (Leonardi) passa a casa del nonno Pasquale, che sta scendendo in strada; con lui prosegue di corsa verso il Roccolo(57). Il suo amico Stefanino (Marsigliotti) si ripara nella cripta della chiesa di Sant'Erasmo, che è piena di gente(58).
Franco (Mischianti) al fosso di Lazzaro ritrova la zia Marianna(59).
La Marisa, la ragazzina che aveva fatto salina, si è aggregata ai tantissimi altri che fuggono verso il fosso di Lazzaro; ma più corre, più le sembra di tornare indietro. Dopo un po' arriva la Bistecca, con in braccio la Gabriella (Pazzi). Tutti ciùcciolano per non farsi capire dai bambini, mostrando un grande sgomento. Parlano della mamma della Gabriella: forse è morta(60).
«Molte decine di persone urlanti per il dolore delle ferite e per il terrore, rese irriconoscibili dal sangue, dalla polvere e dagli stracci che si sono ritrovati addosso, invocano aiuto lungo la strada che passa vicino al fosso di Lazzaro: cercano figli, mamme, parenti...
Una di queste, con voce urlante e straziata, accusa: "Ramiro, piangono tutti e tu perché non piangi?". Intende dire: "Tu lo sapevi, sei a contatto con gli inglesi! La colpa è la tua". Ramiro, con voce alta, le riurla: "Sono tre mesi che piango ... le lacrime le ho finite". Poi si azzittisce in mezzo a tanto dolore e a tanto strazio che non si può descrivere»(61). Si dirige verso il centro del paese per portare soccorso.
Da fuori le mura
In collo alla mamma che fugge da Piazza San Francesco, la fiolìna della Jone de Caino sbraita,
perché cerca la scarpa che ha perso.
L'Elsa de Sciuscino (Bartoccini) tira la mamma, greve, che non può correre. Sono disperate
per la sorte della Rina, la sorella, perché è andata a fare la spesa da Quadrio; invece
la vedono tornare tutta ancenderàta(62).
Dal centro arriva gente imbrattata di sangue. Portano via Tomassino, paralizzato dalla
nascita, sulla sua carrozzina a tre ruote: è tutto insanguinato. L'Eva (Rondoni) è scesa giù
per i fondi di Gaetano (Severi); il piatto con la carne, che aveva messo al fresco in finestra,
è caduto di sotto. Non può andare verso piazza, perché vengono giù tutti i sassi. Va dalla
parte di sotto, verso le monache, col dire: "S'artroveranno i fioli stamatina?"(63).
Passa per la tiberina il Commissario Ramaccioni, che torna verso casa seduto sul sedile
posteriore di una motocicletta guidata da un militare. In fondo al Corso, Ramiro alza
per un attimo la testa dalle macerie che ha cominciato a scavare e gli grida: "Avete visto
he disastro avete combinato?(64).
La Giovanna del torroncino risale il torrente Reggia, con i sandali in mano per correre più
speditamente; lo risale per un lungo tratto verso l'alto, fino a raggiungere un campo a
Civitella; sfinita, si lascia cadere sul prato. Un contadino le si avvicina; dice che Umbertide
non c'è più. In effetti, guardando a valle, si vede solo una nuvola bianca: nient'altro...
nemmeno il campanile... niente(66)! Tutta la classe del maestro Santini si è diretta verso
la pineta; all'incrocio della strada per Civitella, Peppino da Milano (Giuseppe Feligioni)
si riunisce al maestro Santini ed ai compagni di scuola. Fra loro c'è Polenzano, che porta
tutti nella casa del podere sotto il Castello, condotto dalla sua famiglia (67), dove sono
accolti e rifocillati(68). Da scuola tante maestre, circondate come chiocce dagli scolari,
continuano ad allontanarsi dal paese, sentendosi ancora in pericolo(69).
Una bidella corre per Via Roma con un gruppetto di fiole delle elementari(70). Di grembiuli
bianchi pullulano le sponde del torrente(71).
La sorella della bidella fugge dalla refezione verso casa, per controllare le condizioni della
nonna paralizzata su una sedia; la trova che piange per la preoccupazione della sorte
toccata ai famigliari'(72). Emilio (Baldassarri), fuggito dalla scala posteriore dell'Avviamento,
ha attraversato di corsa il Tevere per allontanarsi più possibile dall'inferno; è ripassato a
scuola a prendere la bicicletta per tornare a casa verso Montalto(73).
Anche Giuseppe (Golini) pedala in bicicletta per la stessa strada. Poco prima del Corvatto, verso Camillo, improvvisa uno slalom fra le tracce lasciate sulla strada dai proiettili delle mitraglie: buchette di un palmo, a distanza di una decina di metri l'una dall'altra(74).
Un gioco impensato! Rolando (Tognellini), finito l'inferno, ha ripreso la strada per Pierantonio; si aggrega a due amiche - la Marisa (Fanelli) ed una sua compagna - che escono da un chiavicotto sotto la ferrovia, dove si erano riparate(75).
Una ragazza cerca di attraversare il Tevere alla Salcetta, per tornare a casa senza passare per il centro; ad un certo punto l'acqua le arriva al collo e sta per affogare. La salva Francesco Marignoli. Arriva a casa tutta molla ed infreddolita(77).
Più giudiziosamente Rori (Astorre Ramaccioni) guada il Tevere dove l'acqua è bassa, al raggio di Trivilino: per il terrore è fuggito da scuola senza mai alzare gli occhi da terra(77). Menco de Trivilino è tornato sui suoi passi dopo la fuga verso San Benedetto; per tornare a
casa, in mutande attraversa il fiume al raggio del Corvatto(78).
1) Silvano Bernacchi.
2) Maria Letizia Giontella, "Poesia a tre voci e tre cori", Comune di Umbertide, Concorso nazionale XXV aprile, Centro socio-culturale S. Francesco, 1983.
3) Silvano Bernacchi.
4) Franco Mischianti.
5) Luigi Gambucci.
6) Fabrizio Boldrini, Luigi Gambucci.
7) Guerriero Boldrini.
8) Emma Gagliardini.
9) Guerriero Gagliardini.
10) Fabrizio Boldrini, Mario Distrutti.
11) Mario Distrutti.
12) Orlando Bucaioni.
13) Mario Distrutti.
14) Domenico Mariotti.
15) Guerriero Gagliardini.
16) Classe III A, Scuola Media Statale Mavarelli-Pascoli, Nonno, raccontami la guerra, 2004. Testimonianza di Giovanna Bottaccioli.
17) Egino Villarini.
18) Ines Guasticchi.
19) Fabrizio Boldrini.
20) Egino Villarini.
21) Gigina Vestrelli.
22 Amelia Lozzi, Gigina Vestrelli.
23) Gigina Vestrelli.
24) Anna Caldari.
25) Silvano Bernacchi.
26) Giuseppe Lisetti.
27) Fabrizio Boldrini.
28) Alfredo Ciarabelli.
29) Marino Giulietti.
30) Elda Bartocci.
31) Giovanna Nanni.
32) Egidio Grassini.
33) Franco Anastasi, Fausta Olimpia Pieroni.
34) Maria Chiasserini.
35 Fausta Olimpia Pieroni.
36 Franco Anastasi.
37) Ornella Duranti.
38) Fausta Olimpia Pieroni.
39) Mario Alpini.
40) Don Luigi Cozzari, lettera per il 1° anniversario.
41) Natale Lisetti.
42) Mario Tosti, Il giorno del bombardamento, poesia tratta da "Concorso nazionale XXV aprile", Comune di Umbertide, Centro socio-culturale S. Francesco, 1984.
43) Simonello Simonelli.
44) Luisa Cecchetti.
45) Lea Rapo.
46) Elsa Caprini, Maria Luisa Rapo.
47) Maria Luisa Rapo.
48) Dina Batazzi.
49) Vincenzo Rinaldi.
50) Francesco Martinelli.
51) Vittorio Giornelli.
52) Romano Baldi.
53) Classe III A, Scuola Media Statale Mavarelli-Pascoli, Nonno, raccontami la guerra, inedito 2004. Testimonianza di Lorenzo Andreani e Giovanna Bottaccioli.
54) Guerriero Gagliardini.
55) Maria Pia Viglino.
56) Giorgio Toraci.
57) Evans Leonardi.
58) Renato Silvestrelli.
59) Franco Mischianti.
60) Marisa Pazzi.
61) Ramiro Nanni, Come io, Ramiro, vissi il bombardamento..., manoscritto del 1979.
62) Elsa Bartoccini.
63) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i1 25 aprile 1994.
64) Luigi Gambucci.
65) Mario Tosti (curatore), Belli lavori!, Comune di Umbertide, 1995, p. 132; particolare di una fotografia dell'Archivio CGIL Alta Valle del Tevere.
66) Giovanna Mancini.
67) Giuseppe Feligioni, Bruno Tarragoni Alunni.
68) Bruno Tarragoni.
69) Giovanna Mancini.
70) Isotta Baldelli.
71) Pia Gagliardini.
72) Cesira Baldelli.
73) Emilio Baldassarri.
74) Giuseppe Golini.
75) Rolando Tognellini.
76) Giuseppa Ceccarelli.
77) Astorre Ramaccioni.
78) Domenico Baldoni.
TUTTI NEL CRATERE
Il riflusso
Un residuo di vita singhiozza, convulso, nel cratere: spettri, bianchi di polvere e di terrore, fuggono alla ricerca di sé e dei propri affetti; s'intersecano con chi, per lo stesso motivo, arriva correndo dentro la nube che ha inghiottito casa sua.
Alla richiesta reciproca, ossessionante, di notizie corrispondono silenzi o risposte vaghe, confuse, spesso sfuggenti; bugie pietose che prorogano per un po' la speranza. Le urla si smorzano sempre più in parole sottovoce, sussurrate.
Con il passar del tempo, il riflusso verso il cratere diventa una marea, per vedere, sapere, portare aiuto, in qualsiasi modo.
Balducci, il medico condotto, ha interrotto la sua fuga. Attonito, ritorna sui suoi passi, fotografando di tanto in tanto il profilo del paese straziato che il vento, dissipando la nube, riporta lentamente alla luce.
L'immensa nuvola di polvere, sospinta dal vento, si è diffusa sopra la gente che è fuggita al Tevere a valle del ponte: non ci si riconosce l'uno con l'altro, per la polvere ed il terrore.
Rassicurati dal silenzio dei motori e delle mitraglie, con il cuore in gola, tutti lasciano il patóllo e si avventurano verso il paese, dopo l'inferno. Trovano un silenzio tremendo che incombe sul frenetico lavoro dei soccorritori. La ragione è subentrata al terrore. In pochi minuti si rendono conto di quanti sono spirati che, fino a poco prima, vivevano accanto a loro.
Dalle colline sopra il paese - verso il Roccolo, San Benedetto, Civitella - si è presentata una scena spettrale: un fumo denso ha coperto tutte le case. Poi, pian piano, si comincia ad intravedere la torretta del Comune(1). "La torre è su ... e anche la Collegiata" - pensa Spinelli (Renato Silvestrelli), che sta tornando in paese - "Allora ... non hanno fatto niente ... non è andata tanto male".
Si scoprono i morti
La speranza - aperta dalla vista delle costruzioni più alte, intatte - che i danni siano limitati, ben presto abbandona la gente che ridiscende verso il paese. Sotto la torre c'è gente che piange, sporca di polvere; qualcuno è con il sangue in viso. Vicino alla vasca con la fontanella, povere donne e uomini - forestieri dalla parlata romanesca - si consolano fra loro; forse sono ospiti dell'albergo della Venanzia, venuti ad Umbertide come al solito per procurarsi un po' di farina ed altro da mangiare; qualcuno è pieno di sangue.
Quasi s'inciampa sul cadavere del calzolaio Pierucci. Ha una coscia orribilmente dilaniata, come se l'abbiano mangiata i cani(2). A quella vista, Spinelli (Renato Silvestrelli) si dirige piagnucolando in piazza, verso casa, dove incontra il fratello maggiore, Stanislao(3). Un altro ragazzino in un primo tempo s'impressiona; ma quasi subito si assuefà: per fortuna a quattordici anni non ci si rende conto(4).
Ma per gli adulti è diverso. Ci sono dei morti! Tanti morti! È stato un macello(5), un disastro immane. L'angoscia dilaga(6).
In piazza
Arrivando in piazza, ancora avvolta nel fumo, è evidente la dimensione del disastro: è un massacro. All'angolo verso la Regghia, tanti corpi bianchi, spogliati(7). Una vista atroce. Chi arriva rimane pietrificato davanti alla tragedia(8).
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È tutto il paese ferito a morte. Il quartiere di San Giovanni è squarciato. È traumatizzante vedere dalla piazza, verso Montaguto, la facciata dell'albergo Capponi: buona parte dell'edificio delle Poste e tutta la schiera di case del vicolo di San Giovanni, verso nord, è crollata(14).
Davanti al negozio di cappelli di Codovini sono state falciate le donne della famiglia Ceccarelli che giacciono bocconi(15). La mamma è in terra all'imbocco di Via Alberti(16), tutta coperta da una polvere grigia, vicino ad una cesta d'erba rimasta in bilico(17). Una figlia è vicino alla vetrina; una ancora più dentro alla bottega(18). La Marianella, la minore, dà ancora qualche segno di vita(19). La riconosce, annichilito, un suo compagno di scuola(20). Sul muro a fianco, verso il Municipio, campeggia il manifesto “Le due orfanelle”. La replica dal vivo, fuori programma, del film della sera precedente ha un bruttissimo finale: per le due orfanelle è finita. Riversa sulla soglia, la Giulia (Bartoccioli), la donna di servizio, balbetta come per dire qualcosa a Rolando del Buffè (Fiorucci), appena arrivato in bicicletta(21). Respira, ma non ha èpiù una gamba(22); un pezzo è a qualche metro, con ancora infilato uno zoccolo con il lacciolino(23); sta morendo. Il ragioniér Martinelli per un attimo ha l'istinto di darle 1'assoluzione "in articulo mortis"; ma si rende conto che, non essendo prete, non può farlo(24). È una situazione agghiacciante.
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Sotto il cartellone del cinema, alcune banconote per gli stipendi sono sparpagliate per terra, intorno alla sportola abbandonata dalla Elda (Bebi Ceccarelli)(25). Nessuno si cura di perdere tempo a raccogliere tutti quei belleróni che hanno improvvisamente riacquisito il loro valore naturale di carta(26). Pochi minuti fa, la Rosanna (Ceccarelli) era con la zia Dina (Bebi), in casa, sopra le Poste. Dalla finestra avevano salutato Giuseppe (Chicchioni), fidanzato di quest'ultima, che stava partendo con la macchina di Annibale Trentini per rientrare da una licenza al suo posto in Marina. Quando avevano sentito gli aerei sopra la piazza e visto le due bombe lunghe che lasciavano cadere, si erano messe a gridare alle altre donne della famiglia Ceccarelli: "Fuggìmo, fuggìmo!".
Riunitesi, erano corse per le scale. Stavano fuggendo verso il ponte della Regghia, quando la Virginia, dalla finestra dello zio Arciprete, si era raccomandata: "Aspettate, vengo anch'io !"(27). A1 primo boato, Elio (Renzini) - che era a lezione di matematica da lei - era scappato subito come un fulmine verso le "case nóve", abbandonando i libri e l’insegnante con la mamma Geltrude(28).
La Dina (Bebi) aveva continuato a correre verso la Collegiata; alla sua mano si era aggrappato Riego, il venditore di cappelli, che aveva difficoltà a camminare(29).
Invece, le amiche si erano fermate per aspettare la Virginia, che era scesa a terra ma si era fermata in piedi davanti al portone di casa sotto gli archi del prete: era ancora incerta sul da farsi, perché aveva lasciato in casa la mamma che non poteva correre come lei. Le amiche hanno cercato invano di insistere: "Vieni via ... fuggiamo via!(30).
Ora sono tutte morte. La Virginia giace all'angolo della piazza(31), fra Via Stella e gli archi del prete(32); ha le labbra tumefatte(33). Era la nipote ventenne di Don Luigi, laureanda in matematica all'università di Roma(34). Povera figlia! Quale triste fine le è stata riservata! ...(35).
È scesa da casa la mamma Geltrude; chiede ai presenti se abbiano visto dove è andata la figlia; non si accorge che è ai suoi piedi, morta; con un pretesto cercano di allontanarla(36). "È la figlia di Giovanni (Cozzari)", sussurra un vicino di casa della Virginia(37). La coprono alla meno peggio con un bandone(38), da cui sghemba sporge una gamba. Vicino a lei, all'angolo verso il ponte della Regghia, c'è il corpo di Baldo, con i calzoni alla zuava; è tutto rannicchiato, piegato in due, con le gambe sotto il busto rivolto verso l'alto, una mano sul petto. È scalzo(39); vicini i gambali(40); una gamba appoggiata sul muro(41).
Lì accanto, un uomo alto, senza un capello, è inginocchiato sopra la testa di un giovane, esanime (Licinio Leonessa). Gli ha acceso una candelina vicino al viso, che cerca di ripulire dalla polvere spessissima che ricopre tutto il corpo rendendolo irriconoscibile: non si riesce a vedere nemmeno se sia un ragazzo od una giovinetta(42). Erano ospiti dell'albergo Capponi: un ragazzo alto, con un babbo distinto(43).
La Gianna (Nanni) era con le altre scolare della sarta di Terni sfollata al terzo piano della casa di Marcello Pucci; erano fuggite tutte per la Piaggiola, verso la Fonte Santa. Ma lei è ritornata sui suoi passi quando ha sentito che dicevano: "Quele pore ortolane... tutte morte in piazza!". La sua mamma è una di loro! Per Via Alberti, girando dopo il forno di Bucitino, non può arrivare in fondo al vicolo verso piazza, dove le erbivendole dispongono le loro ceste di ortaggi, perché è ostruito dalle macerie. Con una scarpa sì ed una no, la Gianna passa per la torre, per Via Guidalotti ed arriva in piazza. Ceste d'erba sono rovesciate all'inizio di Via Alberti(44). Dove dovrebbe trovarsi la mamma ci sono tante donne morte, una sopra l'altra. Riconosce la Virginia, vicino ai caritìni dell'erba. Rimane paralizzata, spauràta: nessuno capisce più niente. Per fortuna arriva il babbo, che cerca di verificare se fra quei poveri corpi straziati, irriconoscibili, ci sia la sua Annetta. Alza le sottane delle donne per vedere se hanno le vene varicose, che la mamma ha evidentissime dal ginocchio in giù: "Sta zitta ... - le sussurra dopo la pietosa verifica - ... ché la tu' mamma 'n c’è”(45). Amleto, il radiotelegrafista marito della Tecla, è morto dietro casa, vicino alla scala di Maurino sotto il voltone a sinistra dell'Ufficio Postale. Era scampato a tante battaglie; invece, ora, dopo aver portato in salvo altri, ha trovato la morte per rientrare in casa, dove era rimasta la moglie ed una figlia. Lo sfiora Nino de Capucino (Domenico Mariotti), che cerca di cacciare la testa in quel vicolo, per vedere il retro della sua casa, attraverso l'arco. Gli urlano: "Attenti! Lontani! Cade tutto!". La casa dove vivevano i suoi genitori non c'è più. Dov'era il forno di Quadrio, si sentono delle urla soffocate salire dalle macerie(46).
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Accanto all'arco, gruppi di uomini cercano di liberare le persone che sono rimaste imprigionate in fondo alle scale del palazzo sopra la barbieria di Galeno.
Qualcuno posa il cartellone del cinema sopra il corpo di Amleto.
Mario Donnini, capufficio della Cassa di Risparmio - uno moro, alto - strilla, le mani e lo sguardorivolti al cielo: "Aiuto! ... Ci sei?"(47). Cerca la moglie ed i figli che abitavano nel palazzo della Posta, ridotto a un mucchio di sassi. Con le mani raspa tra i sassi dentro il portone e li butta in piazza(48). Don Giovanni l'aiuta a scavare. Porta alla luce dai detriti una donna con un bambino in braccio: è la moglie ed uno dei figlioli di Donnini. Il prete solleva il corpicino per porgerlo a Guerriero de Schiupitino (Gagliardini), 1'oratoriano con il cannocchiale, con la precauzione che si riserva a chi è ancora in vita; il ragazzino lo passa a sua volta ad un'altra persona(49). Nessuno si è ancora reso conto che il bambino è morto. Un altro cadaverino è estratto poco dopo. Quasi subito è liberata la mamma Lodina, ancora inconsapevole della tragedia che ha distrutto la sua prole. Appena vede la luce, si preoccupa per la quindicenne che l'aiutava ad accudire i figli: si sono sentite fra loro da sotto le macerie. "Fate presto a salvare la Maria, che ancora è viva", si raccomanda. La ragazzina sepolta riesce a sentirla, ma non ha più la forza di rispondere: è ferita e sta perdendo i sensi(50).
Altre persone, lì vicine, estraggono il corpo della Lina (Violini) spirata sotto una trave, sul portone di casa sua; la portano via adagiata su una barella di fortuna, seguita dal babbo Severino completamente fuori di sé(51). Ha i piedi rotti, alle caviglie, come la Virginia(52).
La Maria, la ragazzina che aiutava la Lodina, era proprio sotto il corpo della Lina, che le ha fatto scudo, salvandola. Pacieri, del Niccone, cerca di tirarla fuori, ma più scava e più sassi vengono giù, al posto di quelli tolti. Mentre si prodiga, la tiene stretta per la mano per darle coraggio e per sentire se sia ancora in vita, perché non risponde più ad alcun richiamo. Riesce a liberarla dalle macerie dopo quasi mezz'ora, verso le 11. Lei è priva di conoscenza. Ritorna in sé per i rimbalzi, sui cordoli della Piaggiola, del carretto su cui è adagiata. È grave e la portano direttamente all'ospedale di Città di Castello, perché ad Umbertide non c'è più posto per nessuno(53). Donnini, il capoufficio della Cassa di Risparmio, si è nel frattempo reso conto della tragedia immane che l'ha travolto: quel babbo scende dalla casa diroccata con le sue due creature, morte, sulle braccia; e urla e piange(55).
Poco dopo si sente un suono di campane: la gente pensa che sia il segnale che tutto è finito; invece è lui che sta suonando il campanone, forse per chiedere aiuto o forse perché fuori di sé per la morte dei suoi due figliolini. Madonna(56)!
Alla base della stessa montagna, Natalino (Lisetti) aiuta a rimuovere i detriti, alla ricerca degli amici della barbieria di Galeno(57).
Qualcuno comincia a prendersi cura dei cadaveri liberati dalle macerie, irriconoscibili per le ferite, la polvere e le bruciature.
Trascinano dentro le Poste i corpi delle Ceccarelli e della Giulia, la domestica, che spira proprio in questo momento(58). Ha scelto di morire proprio davanti alla pompina di piazza, dove era solita riempire le brocche d'acqua per chi gliela chiedeva in cambio di qualche spicciolo o di un "grazie"(59).
Don Giuseppe della Serra china la tonaca nera sui cadaveri per benedirli; dà l'olio santo e l'assoluzione ai moribondi(60). Si prodiga anche il salesiano Don Giacomo(61).
Man mano portano i morti in Collegiata, stesi su barelle improvvisate con porte e scuri(62). Viene utilizzata anche una scala di legno a pioli. In attesa di essere portati via, li coprono alla meglio, con quello che c'è(64).
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Sul ponte della Regghia
Pompeo (Selleri), fuggito da scuola, entra nella bottega del babbo calzolaio. Lo trova seduto dietro il suo banchetto da lavoro. Ferito e sanguinante, guarda il figlio, lo riconosce e gli chiede: “Va a vede' de la tu' mamma e dei tu' fratelli... `n du enno [dove sono]". Il figlio vorrebbe aiutarlo, vedendolo in quelle condizioni(65). "Sto benino ... me fa male `na gamba ... va a vede' de la tu' mamma e dei tu' fratelli" insiste il babbo. Pompeo obbedisce a malincuore. Non vorrebbe lasciarlo solo. Sopraggiungono dei soccorritori che trascinano fuori quel poveretto per i piedi, strisciandolo per terra; passa un uomo, con al braccio la fascia gialla degli addetti ai soccorsi, che copre gli occhi della nipotina per risparmiarle l'orrore(66). Posano il calzolaio a traverso sulla strada, di fronte alla sua bottega(67), verso il muro della Regghia dove rimane riverso, immobile: lo lasciano lì, credendo che sia morto(68), vicino alla buca di una bomba inesplosa(69). Si accorgono che dà segni di vita(70), ma lascia poco da sperare; lo adagiano su un infisso e lo portano all'ospedale. Poco dopo ritorna il figlio Pompeo, che ha appena visto la sua casa distrutta. Non trova più il babbo. Allora si mette a piangere, disperatamente. "So' armasto solo! La mi' casa è caduta", spiega ai Meoni - la famiglia del dottor Vitaliano - che si sono accostati per chiedergli cosa faccia così piccolo - ha sette anni - tutto solo(71). Lo tengono con loro, che già hanno dieci figli, fino a quando non riusciranno a rintracciarne i cugini: Giulio (Guardabassi), la Wanda, la Linda(72).
In Via Grilli
Quinto (Pazzi), fuori di sé(73), ha sdraiato la moglie già morta su un carretto, che spinge disperatamente verso l'ospedale. Il corpo - un donnone, tutto pieno di sangue(74) - sobbalza inerte sui cordoli di pietra della discesa della Piaggiola, steso sullo stesso pianale che il macellaio usa per riportare le bestie dal macello. È il simbolo terrificante del degrado dell'umanità in guerra, che condanna le vittime innocenti perfino all'umiliazione dell'animalità. Passa per Piazza Marconi, invocando il nome della moglie; per gli scossoni, un braccio della Maria scivola oltre il bordo del pianale, pencola verso la ruota, dove si impigliano le dita, maciullandosi. La Ines fa rientrare dentro il portone la Maria Pia (Viglino) per non farla assistere a quello strazio(75).
All'ospedale fanno capire al povero marito che non c'è più niente da fare. Allora Quinto va verso il vicino fosso di Lazzaro. È tutto insanguinato; si lava con l'acqua del ruscello(76). Gira sconvolto. Ha una sporta con gli attrezzi da macellaio, da dove spunta una mannaia. È fuori di sé. Urla: "L'amazzo tutti!!! ... Delinquenti!! Assassini!!"(77).
In Via Mancini
Dall'altra sponda del fosso, al macellaio fa eco la Lina (Silvia Cambiotti), che grida con le mani in aria, come se fosse da sola: "... `sti delinquenti ... che n’n han sonato l'allarme! Tanto l'amazzo tutti ... Io come farò! ..."(78).
Quando aveva sentito il rumore assordante degli aeroplani, la Lina era stata la prima a scappare dai Tabacchi, senza chiedere il permesso come si deve fare rigorosamente. Vedendoli volare molto, molto bassi, era corsa verso i campi; per cercare di nascondersi, si era riparata dentro un fossetto.
Poi, avendoli visti volare più alti, aveva pensato che ormai avessero finito di bombardare e che probabilmente si stavano allontanando; allora era corsa verso il paese, immaginando di trovare distrutto il ponte sul Tevere. Era frastornata; ringraziava Dio di essersi salvata e pensava di prendere l'Amalia e la suocera per fuggire fuori, lontano dal paese.
Arrivata in piazza, ha visto una donna morta davanti al negozio di Codovini: "Uh, è morta la sora Maria!" ha pensato, credendo che fosse la proprietaria della bottega di cappelli. Poi, girando la testa in direzione di casa, ha visto che era diventata una montagna di macerie sul fronte verso il vicolo di San Giovanni!
Per gli Archi del Prete è andata verso l'ingresso, posto sul retro, in Via Mancini; è salita di corsa per le scale. Fatta la prima fila, ha visto tutto aperto davanti: verso il vicolo di San Giovanni la casa era stata sventrata! È rimasta sconvolta. Da quel momento non ha capito più niente. Il maresciallo Onnis, avendo visto che era fuori di sé, ha pensato bene di prenderla in consegna. L'ha portata a bere nella botteghina della Roscia, in fondo alla Piaggiola. Non l'ha abbandonata fino a quando non l'ha consegnata a sua madre, che era partita a piedi da San Cassiano quando aveva saputo del bombardamento. A Montecastelli aveva ottenuto un passaggio dal principe Boncompagni di Fontesegale che era diretto ad Umbertide con la carrozza, per cercare la Maria Renzini e la sua famiglia, su richiesta dei genitori di lei(79).
Nel vicolo di San Giovanni
La Nina (Concetta Ciammarughi), portata al sicuro la Pierina, la figlia, è corsa verso il paese per verificare la sorte degli altri familiari. Non si è accorta di essere scalza; è passata sopra sassi, vetri, rottami, senza provare alcun dolore né ferirsi. Arrivata a casa del fratello (Luigi Mariotti), che abita nella stessa casa dei Cambiotti, vede che la parete esterna verso il vicolo di San Giovanni è crollata. Ma il letto, intatto, fa sperare che si sia salvato(80). Coricato su un altro letto, ha planato sopra le macerie, incolume, Sergio, il giovane figlio di Busabò(81).
Cerca di tornare a casa sua, nel vicolo di San Giovanni - Via Petrogalli 20 - Paolino, i1 ferroviere: il portone è ostruito dalle macerie della schiera delle case antistanti. Non sa come rientrare in casa. Va dall'altra parte, quella che dà sulla Via Tiberina. Corre lungo la ferrovia, verso la stazione, per prendere una scala lunga. Torna, l'appoggia sul muro di casa, sale fino alla finestra, riesce a guardare dentro: vede la mamma insanguinata. "Oddio, che faccio!" pensa, sconvolto dall'emozione e dall'urgenza di soccorrerla. Le fa mettere i piedi sul primo piolo, sorreggendola dal basso, puntato sul piolo sottostante; la scende, piano piano, e la porta al Tevere per lavarla. "'N du' enno [dove sono] l'Argentina e la Graziella?" le chiede. 'È ita a pià' `l sale; pu' è arvinuta; m'ha preso la fiola e en'fuggite via! [È andata a prendere il sale; poi è tornata, ha preso la figlia e sono corse via]"(82).
Nel vicolo di San Giovanni una ragazzina piange in silenzio. È morta anche la Nunziatina. La Nunziatina! La compagna di scuola, la compagna di banco! Non è possibile che non ci sia più(83).
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In Via Cibo
Dal Colle è arrivato in paese Raffaele Pambuffetti con la moglie(84), la sora Maria, che non ha più fiato per correre, scalza, e per invocare il nome della figlia Giovannina, chiedendo a tutti se l'abbiano vista. La Giovanna del torroncino e la Carla, coetanee della figlia, rispondono - mentendo - che forse è più in alto, insieme con altri. I due genitori si dividono nella ricerca. Lei passa a chiamare un'amica, la Ines (Guasticchi), perché l'accompagni. In piazza trovano tutto all'aria: tende, fili della luce, scuri, macerie... La sora Maria supplica tutti, continuamente: "L'avete vista la mia Giovannina?". Sale le scale della casa in Via Cibo, dove sa che la figlia si è recata a lezione. Batte le palme delle mani sulla porta in cima alla prima rampa di scale, intatta. Continua a chiamarla: "Giovannina! Giovannina!". Risponde solo il tonfo sordo delle macerie che premono sul legno dall'interno: insieme all'arco che scavalcava Via Mancini, è crollata l'altra scala(88) buia con accesso dalla Via Mariotti, dove Remigio (Tonanni) teneva i cavalletti ed i secchi sporchi di tinta(89). Lì sono rimaste seppellite insegnante ed allieva(90). Nello stesso momento il babbo della Giovannina cerca la figlia verso la Regghia(91). "Pora Cici!", sussurra la Lidia (Tonanni) guardando la montagna di macerie, in fondo al Corso, che ha seppellito la sua amica (Cecilia Boldrini)(92).
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Le prime cure
Al silenzio angosciante dei primi soccorsi, istintivi, è subentrato un nuovo caos: ordini di chi organizza, suppliche di chi aspetta aiuto, richiami strazianti di chi è disperato. Brulicano di soccorritori le macerie, che celano altri morti e sepolti vivi. Si scava ancora con le mani, alla ricerca di qualcuno in vita.
Il dottor Balducci, posata la macchina fotografica, è corso nel luogo del disastro. Aiutato dalla Memmina (Boni)(93), la farmacista, presta le prime cure fra i detriti della piazza. Entrambi appaiono disperati e sconvolti nei camici bianchi, sporchi di polvere e macchiati di sangue(94).
Un ferito - quel Ricci che vende al mercato il mercoledì - barcolla sorretto alle ascelle da due soccorritori; un occhio gli penzola sulla guancia(95). «L'Armida de Caldaro è stata portata giù dai Carbonari, i contadini sotto le monache. È incinta: finisce il tempo fra qualche settimana. Pensa tu ... era rimasta intrappolata sotto il bombardamento: una bomba l'ha coperta ed una bomba l'ha scoperta» (96), aprendole una via d'uscita da sotto le macerie vicine alle scale della sartoria di Bruno, da dove ha sentito provenire delle urla soffocate. È irriconoscibile: il vestito nero è diventato bianco; da sette buchi sulla testa le colano giù altrettanti rigatoni di sangue sopra la polvere. La medica il dottor Lupattelli, che piange: si è appena separato dalla fidanzata, la Rosanna (Ceccarelli), esanime sotto la polvere davanti alla bottega di Codovini(97). Don Luigi si lamenta, seduto fuori della porta della Collegiata: "Aiutatemi, ho una gamba rotta". Tutti sono sordi. Fuggono: bianchi, impolverati, piangenti(98). "Non posso fuggire... c'ho una gamba rotta! "(99), supplica. L'aiutano Giuseppe Rondini, il babbo della guardia, e Valerio (Valeriano Valeri). L'arciprete si appoggia alle loro spalle; un soldato tedesco gentilmente lo soccorre. Saltellando sulla gamba destra, raggiunge una carrozza; con quella è trasportato al Civico Ospedale, ove riceve le prime cure al viso sanguinante ed un'iniezione antitetanica. Numerosissimi giungono i feriti ed i moribondi, senza che l'Arciprete, inchiodato a letto, nulla possa fare per loro. Tutti i preti, dopo avere portato i primi soccorsi ed amministrato i SS. Sacramenti, raggiungono don Luigi, esonerandolo dalla sua parte di responsabilità nella gestione della parrocchia(100). I soldati tedeschi sono i punti d'appoggio più efficienti; aiutano a trasportare i feriti(101) all'ospedale, dove i medici - Migliorati e Valdinoci - fanno l'impossibile. Sono una moltitudine i feriti insanguinati, impolverati, che si lamentano, portati sulle spalle'(102), su carretti(103), su sedie reclinate rette ai lati da due persone (104). La mamma del capo-deposito, un'ottantina d'anni, napoletana, vi si è trascinata da sola con un braccio a brandelli(105).
Con la caretèlla ed il cavallo, Giangio Ramaccioni porta la Gigina, ferita, che sono riusciti ad estrarre dalle macerie(106).
Arriva trafelata la Silvana (Bartoccioli), talmente sconvolta che non riusciva a trovare l'ospedale. Chiede di sua sorella. II dottor Sandrino Burelli le fa segno che è sul primo letto della corsia, coperta da un lenzuolo insanguinato: è morta, tutta rovinata, quasi irriconoscibile. Una gamba la porteranno accanto al resto del corpo solo dopo qualche ora(107).
È deceduta anche l'Erminia"(108), la vedova che, scesa in paese dalla campagna di Preggio, era stata investita da un automezzo all'arrivo degli aerei(109).
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I sepolti vivi
Peppino (Francesco Martinelli), il ragioniere della Ceramica, di fronte a quei gran cumuli di macerie non sa cosa fare. Vede uno che sale sulle macerie e sale anche lui. Ad un certo momento sente la voce di Quadrio, quasi a fior di calcinaccio: "Sono Quadrio, aiutatemi!". Gli levano la polvere dal viso; cercano di tirarlo fuori, ma un tondino della ringhiera delle scale lo sta imprigionando. Peppino riesce, con uno sforzo irripetibile, a sollevare la ringhiera di quel tanto che basta per farlo uscire e portarlo all'ospedale. Più in profondità sente i lamenti della zia Fernanda(110).
Da altri punti del cratere salgono suppliche d'aiuto.
Rigo e Poldo (Coletti) hanno smesso di zappare il cìcio nell'orto; dal podere di Palazzone si sono precipitati alla Fratta. Sono fra i primi ad arrivare in mezzo a questa bolgia, alla ricerca della Mimma (Coletti), moglie dello zio Astorre, che è a Pietralunga a fare le traverse. La situazione che trovano è terribile: Rigo non l'ha vista neanche al fronte. Individuano la Mimma, che chiede aiuto da sotto le macerie dove è rimasta imprigionata. Sentono anche i lamenti dell'Augusta (Orlandi), la mamma della Peppabionda. Rassicurano quelle voci e cominciano a scavare con le mani"(111).
Dalle macerie nelle vicinanze emergono altri segni di vita. Bronzone(112) si raccomanda: "So' Feligioni... con me c'è `na donna e `na fiolina...... (113). Sono la Cesira (Ceccagnoli) e l'Adriana (Fileni), che sono state sorprese dal bombardamento mentre stavano andando dalle suore"'. La bambina si lamenta: "Non fate rumore, state zitti `ché voglio dormire... "(115).
Poco distante, dall'altra parte del vicolo, si è fatto sentire anche Peppe (Cambiotti), il suocero della Lina. L'hanno individuato, sepolto fra il terzo piano ed il tetto, nel lato di Via Mancini; è rimasto in una nicchia, protetto da alcune travi. Non può respirare; è disperato; si vuole strozzare(116).
In Collegiata
Le grida, gli strilli ed il vociare caotico, si sta di nuovo smorzando in un brusio sempre più sommesso, fino a diventare silenzio agghiacciante mano a mano che ognuno prende coscienza della dimensione della propria sventura. Non c'è forza per imprecare al proprio dolore né parole per consolare quello degli altri.
Portano altri cadaveri alla Collegiata con barelle di fortuna, allineandoli fuori, intorno alla base poligonale della chiesa(117). Il maestro Marsigliotti, Peppìn de Tafàno (Giuseppe Angioletti), Franco (Caldari), Alfredo (Ciarabelli) e Giovanni (Ciangottini)(118) adagiano per terra quelli che giacevano in piazza, facendoli scivolare dagli scuri serviti per il trasporto.
Tredicesima stazione
Gesù è deposto dalla Croce
È chiuso nel sepolcro: la luce del giorno è diventata tenebre.
Si cerca di fare spazio all'interno della chiesa, spostando le panche(119). Le salme
sono adagiate sul pavimento(121) fra le due porte(122).
La chiesa della Madonna della Reggia, protettrice del paese, è diventata la mèta
di tutti'22: dei morti che, allineati l'uno accanto all'altro sul pavimento, sembrano
trovare reciproca consolazione nello strazio comune; dei vivi, che sperano di non
scoprire il familiare o l'amico fra quei corpi anneriti dal fuoco, imbiancati dalla
polvere, sfigurati, immobili nell'ultimo gesto per respingere la fine. Si affannano
fra i cadaveri soprattutto quelli che hanno notizie o sospetti della presenza dei
loro cari nei punti colpiti(123).
Anche i bambini vengono a sbirciare, per escludere che nella fila di salme ci sia
qualcuno della famiglia, amici, conoscenti; oppure soltanto per curiosità. Ma
tremano di paura! Che tragedia(124)! Qualcuno indica i morti, tutti neri e
affumicati, sussurrando nomi, soprannomi. "È la nostra professoressa di
matematica" cerca di dimostrare un allievo ad un altro che non riesce a riconoscere
la Virginia (Cozzari)(125).
... Sulla cintura di pietra che fa da sedile / intorno alla Chiesa / vicino alla porta di
ponente / è seduto. silenzioso e raccolto il vecchio Gaetanino ... / ... il pavimento
senza panche / è pieno di morti / distesi e adagiati alla rinfusa, 1 alcuni col viso
coperto da un panno, / alcune bambine con ancora ai piedi zoccoletti di legno, /
in un lato c'è una madre con due figlie / che ieri sera rincorrevo / sulla piazzetta,
vicino alla ferrovia / durante il gioco del nascondino; / e vicino la vecchia Esterina,
con un gomito / appoggiato all'altare, / piange senza conforto. / ... quelle persone
che conoscevo I non ci sono più; / sono già entrate in un mondo / fuori dal mio, con
altri orizzonti / senza albe e tramonti(126).
David (Pambuffetti) incontra lì la signorina Giulia, che vive con la sua famiglia, ed apprende la notizia che non si riesce a trovare sua sorella Giovannina(127). La gente è sconvolta di fronte a tanto disastro: una donna non si accorge neppure della voragine che c'è davanti alla chiesa(128).
Un bambino ci cade dentro: per il fumo non ha visto la buca mentre correva verso Via Roma. Ha i calzoni corti. Con le gambe nude sente che la terra scotta(129), come la bocca dell'inferno.
Dal Buzzacchero è arrivato di corsa in paese un gruppo di ragazzini, scalzi, ma sono dovuti tornare indietro perché, arrivati vicino alla Collegiata, è tutto pieno di vetri(130).
Si organizzano i soccorsi
Gli sforzi profusi dai primi soccorritori danno i primi frutti: verso l'una rivedono la luce i feriti rimasti più in superficie.
Hanno estratto dalle macerie l'Elvira (Biagioli), che era intrappolata al secondo piano della locanda della Venanzia. Ha potuto respirare solo perché intorno alla sua testa si era formata una nicchia, sotto una trave. Hanno dovuto faticare molto per liberarle le gambe, schiacciate dai sassi(131). Il marito la porta con un carretto a mano all'ospedale(132). Nello stesso momento riescono a liberare Peppe (Cambiotti), il maniscalco: è vivo, ma disperato. In mezzo alle sue gambe, avvinghiata, hanno trovato la nipotina Amalia, senza vita(133).
Stanno per tirar fuori dalle macerie la Bruna (Brunori) che è accanto alla Suntina (Selleri), alla cavalla Lola ed a quella di Fiordo(134), tutte morte. Comincia a respirare con affanno perché manca l'aria. È ferita alla testa e alle gambe; la parte destra del corpo comincia ad annerirsi, perché il sangue non circola più. È sotto le macerie da cinque ore, sempre in retti sensi e con la certezza di dover morire per la montagna di macerie che la sovrasta. Alle tredici è portata in salvo da tre uomini - uno è Pretone (Bargelli) - i quali, aiutati più dal loro coraggio che dai mezzi di cui dispongono, sono riusciti ad aprire un varco. I soccorritori l'hanno trovata senza indumenti, anzi, completamente nuda. È impaurita, disperata, sconvolta dalla sensazione della fine imminente appena vissuta. È rimasta senza casa e senza soldi; al posto del Borgo San Giovanni, vede un cumulo di macerie e le strade cosparse di morti e di sangue(135).
Poco dopo, li vicino, liberano la Rina de Schiantino (Santini), che si era ritrovata sepolta con Peppino (Rapo). Lui la teneva abbracciata, stretta stretta, e non la lasciava. Lei - sgambetta ... sgambetta - è riuscita a separarsi. Ha cominciato a scavare con le mani, nonostante qualche costa rotta che le fa male; si è arrampicata su un carretto posteggiato nel locale dove è rinchiusa. Alle due e mezza riesce a scappare fuori(136). Ha le mani ferite ed i capelli di mezza testa bruciati dalla vampata di uno scoppio(137).
Un carabiniere(138) estrae anche Peppino, ferito in modo non grave alla testa e ad una gamba; ha la camicina tutta insanguinata per le ferite dei suoi amici; gliela tolgono e la buttano via, per non impressionarlo più di quanto già non lo sia(139). Lo portano a casa di Ticchioni(140).
Le dimensioni generali del disastro prendono contorni sempre più drammatici. Ciascuno apprende la gravità del proprio fardello.
Lello (Raffaele Simonucci), disperato, girovaga tra le macerie mostrando a tutti un fiasco d'olio in mano che agita davanti a sé, come segno della bizzarria del destino: "È rimasto intatto nella caduta della casa che ha ucciso mia moglie!". L'adorava, la Bengasina(141). Poi, pian piano, prende coscienza di agire: comincia a scavare alla ricerca della moglie, aiutato dal fratello Fernando, venuto insieme con un amico in bicicletta da Pierantonio(142). Trovano il golfino bianco alla tirolese della figlia(143): è segno che sono sul punto giusto.
Altri famigliari si organizzano per scavare sulle proprie macerie, assoldando degli operai.
Con il passare del tempo, l'intera collettività si organizza. Occorre concentrarsi sui punti dove i sepolti sono riusciti a farsi sentire dalle viscere delle montagne di detriti.
È entrata in funzione la squadra dei pompieri volontari(144). Sono selezionate le persone autorizzate all'accesso nel cratere per i soccorsi, rendendole riconoscibili per una fascia gialla al braccio(145). Si prodiga l'ingegner Pucci, Menchino(146). Lui è stato sempre un tipo molto emotivo di fronte alla morte, ma questo disastro gli dà il coraggio necessario a districarsi in una situazione d'enorme drammaticità. Si collega a Smucchia (Riego Rometti), con cui è molto amico, nonostante siano d'idee politiche opposte. Decidono sul da farsi in una riunione in piedi, all'aperto, tra la sagrestia della Collegiata e la buca della bomba. Corrono giù alla Ceramica(147) a prendere pale e picconi che si aggiungono alle mani; alle dita; alle unghie. Con l'aiuto prezioso di Primo (Giovannoni), organizzano squadre di scavatori, riuniti in cooperativa, che con piccone, pala e carretta portano via i detriti(148). Paris, lo spaccapietre, naturalmente è fra i primi inseriti nelle squadre degli scavatori(149). Ai ragazzini è assegnato il compito di portare acqua fresca, attingendola con due brocche al pozzo di Baglioni, in fondo alla Piaggiola(150). Cercano di rimediare del legno per costruire bare rudimentali(152).
Fanno liberare dei camminamenti in mezzo alle macerie. Improvvisano, con i binari ed i carrelli della fornace, una via di scorrimento su rotaie per trasportare i detriti(153) dalla piazza al greto della Regghia, abbattendo la spalletta(154).
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Nella base alleata
Nel Campo di Cutella l'attività è stata frenetica: alle programmate missioni di volo si è aggiunto il trasloco, che è in pieno svolgimento.
Alle otto precise un convoglio molto cospicuo è partito per il Sinello. Tranne l'automezzo con l'officina, che si è rotto appena fuori della pista d'atterraggio, tutti i camion alle undici sono arrivati a destinazione autonomamente. Sono state sistemate anche le strutture ausiliarie. Nella nuova locazione tutti sono stati impegnati ad alzare le tende. Hanno sistemato le cucine ed i rimorchi su un terreno lavorato. Il grano, alto fino al ginocchio, tutto intorno ondeggia sotto una brezza gentile. Per la fine del pomeriggio tutto sarà pronto.
Il personale ancora da trasferire ha aspettato impazientemente nel Campo di Cutella. Ha dovuto vivere, dormire e mangiare in una baracca, perché la maggior parte delle tende ed equipaggiamenti degli ufficiali sono già stati portati via, insieme alla cucina ed alla mensa.
È stato regolarmente fornito il lunch per i piloti, che sono rientrati senza danni alla base, atterrando alle undici precise. Appena digerito dovranno ripartire per un'altra incursione contro lo stesso ponte sul Tevere in Alta Umbria, che è sfuggito alle bombe della mattinata: è bene fare un riposino sopra le brande, mentre i meccanici controllano i cacciabombardieri.
1) Giuseppe Lisetti, Renato Silvestrelli.
2) Renato Silvestrelli.
3) Dora Silvestrelli.
4) Giuseppe Lisetti.
5) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i1 25 aprile 1994.
6) Renato Silvestrelli.
7) Umberto Tommasi.
8) Francesco Martinelli.
9-10-11-12) Foto inedite di Roberto Balducci, gentilmente messe a disposizione da Bruno Porrozzi
13) Bruno Porrozzi, Umbertide nelle immagini, Associazione Pro Loco Umbertide, 1977, p. 92.
14) Fausta Olimpia Pieroni.
15) Dina Conti.
16) Rolando Fiorucci.
17) Francesco Martinelli, Renato Silvestrelli.
18) Renato Silvestrelli.
19) Luigi Gambucci.
20) Pietro Corgnolini.
21) Rolando Fiorucci.
22) Giovanni Bottaccioli.
23) Piero Pierini.
24) Francesco Martinelli.
25) Renato Silvestrelli.
26) Clara Rapo.
27) Annunziata Caldari.
28) Elio Renzini.
29) Dina Bebi.
30) Annunziata Caldari, Clara Rapo.
31) Luigi Gambucci.
32) Assunta Baruffi, Annunziata Caldari.
33) Bruno Porrozzi.
34) Giuseppe Cozzari.
35) Don Luigi Cozzari, lettera per il 1 ° anniversario.
36) Elisabetta Bartoccioni.
37) Domenico Mariotti.
38) Umberto Dominici.
39) Maria Luisa Rapo.
40) Elsa Caprini.
41) Elisabetta Bellarosa.
42) Franco Caldari.
43) Marinella Roselli.
44) Maria Luisa Rapo.
45) Giovanna Nanni.
46) Domenico Mariotti.
47) Emma Gagliardini.
48) Mario Barbagianni
49) Guerriero Gagliardini.
50) Maria Giovannoni, manoscritto del 2003.
51) Elisabetta Lisetti.
52) Franco Caldari.
53) Maria Giovannoni, manoscritto del 2003.
54) Comune di Umbertide, Relazione dell'Amministrazione comunale socialcomunista sull'attività svolta dal 1946 al 1952, Tipografia "Tiberina", Umbertide, 1952.
55) Francesco Martinelli.
56) Elvira Rossi.
57) Natale Lisetti.
58) Franco Caldari.
59) Silvia Pitocchi e Anna Cambiotti, dattiloscritto 16 dicembre 2003.
60) Francesco Martinelli.
61) Fausta Olimpia Pieroni.
62) Lidia Tonanni, Nella Gagliardini.
63) Bruno Porrozzi, Umbertide nelle immagini, Associazione Pro Loco Umbertide, 1977, p. 94.
64) Franco Caldari.
65) Pompeo Selleri.
66) Ornella Duranti.
67) Franco Anastasi.
68) Dina Batazzi, Bruno Porrozzi.
69) Franco Anastasi.
70) Mario Migliorati.
71) Pompeo Selleri.
72) Linda Micucci.
73) Vittorio Giornelli, Franco Villarini.
74) Annunziata Caldari.
75) Maria Pia Viglino.
76) Velia Nanni.
77) Assunta Baruffi.
78) Gianna Feligioni.
79) Silvia Pitocchi e Anna Cambiotti, dattiloscritto 16 dicembre 2003.
80) Concetta Mariotti.
81) Adriano Bottaccioli.
82) Paolo Mazzanti.
83) Marcella Casi.
84) Giovanna Mancini.
85) Bruno Porrozzi, Umbertide ed il suo territorio, Associazione Pro Loco Umbertide, 1983, p. 74.
86) Foto di Roberto Balducci, gentilmente messe a disposizione da Bruno Porrozzi. La prima è pubblicata in Umbertide e il suo territorio, Associazione Pro Loco Umbertide, 1983, pag. 75; le altre due sono inedite.
87) Foto di Roberto Balducci, inedita, gentilmente messa a disposizione da Bruno Porrozzi.
88) Ines Guasticchi.
89) Renato Silvestrelli.
90) Ines Guasticchi.
91) Ines Biti.
92) Lidia Tonanni.
93) Lidia Corradi.
94) Francesco Martinelli, Fausta Olimpia Pieroni.
95) Ornella Duranti.
96) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i125 aprile 1994.
97) Anna Caldari.
98) Annunziata Caldari.
99) Giovanna Nanni.
100) Don Luigi Cozzari, lettera per il 1 ° anniversario.
101) Mario Barbagianni, Orlando Bucaioni, Renato Silvestrelli.
102) Sirio Lisetti.
103) Piera Bruni.
104) Domenico Mariotti.
105) Elvira Rossi.
106) Franco Mischianti.
107) Silvana Bartoccioli.
108) Vittima: Letizia Santini.
109) Sergio Batazzi.
110) Francesco Martinelli.
111) Rina Alunno Violini.
112) Ines Guasticchi.
113) Guerriero Boldrini.
114) Francesco Martinelli.
115) Ines Guasticchi.
116) Silvia Pitocchi e Anna Cambiotti, dattiloscritto 16 dicembre 2003.
117) Fabrizio Boldrini.
118) Franco Caldari.
119) Elisabetta Bartoccioni.
120) Leonello Galina.
121) Fabrizio Boldrini.
122) Franco Mischianti.
123) Irma Mariotti, intervista raccolta da Leonardo Tosti il 25 aprile 1994.
124) Renato Silvestrelli.
125) Sergio Ceccacci.
126) Olimpio Ciarapica, da una poesia del 1952.
127) Bruno Tarragoni Alunni.
128) Assunta Baruffi.
129) Leonello Corbucci.
130) Fernando Zucchini.
131) Walter Biagioli.
132) Giorgio Pacciarini.
133) Silvia Pitocchi e Anna Cambiotti, dattiloscritto 16 dicembre 2003.
134) Giancarlo Guasticchi.
135) Bruna Brunori, testimonianza raccolta dal nipote Matteo - V elementare - 1985.
136) Rina Santini.
137) Renata Santini.
138) Giuseppe Rapo.
139) Clara Rapo.
140) Lea Rapo.
141) Betto Guardabassi.
142) Mario Simonucci.
143) Elisa Manarini.
144) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i1 25 aprile 1994.
145) Ornella Duranti.
146) Nella Gagliardini.
147) Renato Silvestrelli.
148) Elisabetta Bartoccioni.
149) Raffaele Martini.
150) Mario Migliorati.
151) PRO, London, Operation Record Book, War diary, n° 5 squadron S.A.A.F., 1944. Tratto da: Mario Tosti (curatore), Belli lavori!, Comune di Umbertide, 1995, p. 48.
152) Elisabetta Bartoccioni.
153) Raffaele Martini.
154) Betto Guardabassi.
155) Archivio del Gruppo Modellistico e Ricerche Storiche Foggia.
DAI DINTORNI
Dall'anfiteatro delle colline che degradano a conca verso la vallata, la gente ha assistito sgomenta alla tragedia. Paradossalmente il terrore consapevole di chi ha visto da lontano, ha avuto l'aggravante della razionalità rispetto a quello ancestrale di chi, direttamente coinvolto, non capiva niente(1).
La notizia del disastro si è sparsa in un baleno nei paesi e nelle città vicine.
Allo sgomento dell'impotenza subentra l'istinto di solidarietà verso il paese ferito. Da varie parti si organizzano aiuti.
Da Monte Acuto
Gli scoppi sordi, che però hanno fatto tremare la terra, hanno sorpreso i ragazzini che stavano correndo verso la sommità del toppetto della Valcinella, per vedere meglio lo spettacolo. Hanno visto gli aerei insistere con caparbietà, lanciare il loro carico d'oggetti scuri che, toccata terra, emettevano lingue di fuoco e sollevavano enormi colonne di fumo nerastro. Dopo alcuni secondi, lo scoppio. Ora Umbertide non si vede più: annega in un mare di fumo(2).
Sotto di loro, a Polgeto, la maestra Travaglini aveva fatto uscire dalla scuola elementare tutti gli scolari: scesi verso i campi di Zeppulino, hanno visto gli aerei che iniziavano la picchiata e poi sganciavano le bombe. "Oddio, lasciano cade'ji ovi!", ha esclamato uno dei compagni. Hanno sentito solo gli scoppi, senza vedere le case dove le bombe scoppiavano(3).
Dall'Arcelle
Un bambino raccoglieva per i campi delle strisce di carta argentata scura, piovute dal cielo. Ne aveva fatto un mazzetto quando gli aerei erano apparsi sopra 1'Arcelle, girando dietro Montacuto e riapparendo, in cerchio, uno dietro l'altro(4).
Da Niccone
A Niccone si era udito un botto seguito da un rimbombo che non finiva più. Mario (Tacconi), un ragazzino, è corso verso il terrazzo ed ha visto gli apparecchi che ronzavano, luccicando di tanto in tanto. Dopo qualche secondo, uno di loro si è abbassato scomparendo dietro a Montalto; una manciata di secondi ... ed ha visto salire da Umbertide un fungo silenzioso, sempre più alto; passato qualche attimo, ha sentito un fragore come quello di poco prima. Intanto l'aereo stava rientrando in formazione accodandosi agli altri, che avevano continuato a girare in carosello fino a quando se ne sono andati via, scomparendo verso Montecorona(5). Qui li chiamano Picchiatelli, con lo stesso nomignolo affibbiato allo Junker 87. A1 Niccone non si fanno distinzioni: ogni macchina di morte è "picchiata in testa".
Neanche Marcello (Milleri) è andato a scuola. Dalle colline sopra il Niccone, riparato dietro un vecchio noce, ha assistito alla stessa scena: ha girato continuamente intorno al tronco in modo da rimanere coperto rispetto agli aerei, che sbirciava appena con un occhio per la sensazione che puntassero verso di lui.
Pietro (Migliorati), lasciato il podere "Fondeo", (già chiamato "Cavaliere Secondo"), stava passando in bicicletta, diretto alla Fratta per far firmare dal maresciallo dei Carabinieri il foglio di una licenza di quattro giorni dal "Servizio del Lavoro" di Perugia. A1 rumore degli aerei, si è gettato in un fosso. Terrorizzato dalle esplosioni è rimasto per un paio d'ore nel suo nascondiglio(6).
Da Trestina
Da Trestina hanno visto gli aerei abbassarsi dietro Montalto ed una nube di fumo salire sopra Umbertide, tra tuoni lontani(7).
Da Città di Castello
Nonostante la confusione delle corsie, anche i ricoverati nell'ospedale civile di Città di Castello che i tedeschi hanno requisito, hanno udito il rumore di aerei vicini, ad ondate successive.
La notizia è corsa rapida: "Hanno bombardato Umbertide". Ma sono notizie imprecise; non esistono comunicazioni.
In ospedale ci si prepara ad accogliere i feriti, pensando, molto ingenuamente, che possano essere trasportati con qualche mezzo. È difficile ricordare che non ne esistono. Gli ufficiali medici tedeschi, impassibili, lasciano fare. Loro probabilmente già sanno della strage(8).
Man mano che si conoscono i dettagli, si percepiscono le dimensioni del disastro. Le voci si spargono in un lampo.
Ha fatto particolare impressione che fra le vittime ci sia Amleto B anelli, figlio dell'Ersilia, sorella di Ciliberti, un cognato di Venanzio Gabriotti.
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I pompieri sono partiti subito alla volta di Umbertide per portare aiuto(9). Nel loro mezzo hanno caricato la Sandra del Sellaro (Cecchetti) che era andata a parlare con i professori per sentire come va la nipote a scuola(10). Zia e nipote sono disperate, perché la gente dice che hanno bombardato il ponte del Tevere. La loro famiglia abita nelle immediate vicinanze.
«Improvvisamente un capitano, il comandante dell'ospedale, si avvicina alla Sorella Ispettrice Malwida Montemaggi, che era stata precettata in servizio insieme con altre infermiere volontarie della Croce Rossa: "Dovete venire con noi, in due, per una missione esterna". La Madre Veronica fa riempire le borse di servizio con materiale da medicazione, di nascosto. Si aspetta un'autoambulanza tedesca. Neppure una parola sulla destinazione, ma è scontato si tratti di Umbertide.
Sedute sul cassone del camion adibito ad autoambulanza, accanto a due soldati tedeschi - un altro è alla guida - non hanno parlato mai durante il viaggio, incredibile per la situazione delle strade e per il timore di altre incursioni. Sono in vista del paese. Umbertide è avvolta come in una nube di pulviscolo; la tragedia è leggibile anche da lontano. Case sventrate, in modo da non ricordare che possano essere state abitazioni. Umbertide è morta. I soldati scendono sulla piazza della Collegiata e fanno segno alle crocerossine di entrare; loro rimangono fuori. Le volontarie trovano, allineati entro la bella chiesa, i morti, che sembrano solennemente pronti ad un ultimo appello. Irreale che tanti abbiano raggiunto insieme il terrificante appuntamento.
Alcuni corpi sono dilaniati; altri sembrano dormire; molti conservano negli occhi ancora aperti il terrore. Un silenzio gelido, grande, che rimane dentro. Tutto avviene a cenni, senza parole; anche i riconoscimenti, le preghiere.
La gente di Umbertide sente il peso di ogni parola e quel silenzio straziante è fierezza, è rabbia, è un modo completo di esprimersi che stabilisce una sorta di parentela con ciascuno, un affetto incancellabile.
Poco possono fare le due crocerossine: ricomporre meglio i morti, abbassare le palpebre di chi ha visto la morte. Decidono con un'occhiata che è giusto lasciarli con le braccia tese lungo i fianchi, nella fierezza dell' "attenti", senza sovrapporre le mani sull'addome, nella postura rassegnata di chi è spirato per morte naturale.
Ci si abbraccia con i superstiti senza parlare. Quelle file di morti, quel silenzio intraducibile è la sola cosa importante»(11).
Con il treno da Castello è arrivato un gruppo di Camicie Nere, di cui fanno parte diversi umbertidesi. Hanno piazzato una piccola mitragliatrice puntandola verso il rettilineo, all'angolo della villa Zampa: forse vogliono sparare alle mosche(12)! Anche i privati si sono organizzati: una squadra di volontari guidata da Angelo Baldelli è partita in soccorso di Umbertide(13).
Da Montone
Montone si è fermata.
Nei campi zappavano granturco, quando si è presentata la terribile scena degli aerei in lontananza, verso Montaguto. A tratti si vedeva il luccichio riflesso dal sole delle bombe che cadevano; poi l'esplosione ed il fumo che si levava, sovrastato dal cupo rumore dei motori(14).
«Alla scuola elementare erano tutti in aula. La maestra Gina (Gallicchi) aveva iniziato a correggere i compiti; si facevano delle esercitazioni alla lavagna, quando all'improvviso hanno sentito fuori la gente che per le strade strillava: "Bombardano Umbertide!... Bombardano Umbertide!".
Si sono alzati tutti in piedi; spaventati, sono usciti dirigendosi lungo la strada da dove si sarebbe potuto vedere il paese martirizzato. Ma guardando verso il basso, Umbertide non si vedeva più: si sentivano soltanto dei boati. Una densa nube di polvere aveva coperto tutto.
A quella vista la maestra ed i suoi famigliari si sono disperati per la sorte toccata ai loro cari. La Vilma, sua nipote, ha cominciato a piangere: vuole tornare a casa, preoccupata per lo zio Tomassino che, paralizzato dalla nascita, non potrà fuggire sulla carrozzina a tre ruote e mettersi in salvo da solo. Alcuni bambini sono fuggiti verso le loro case; anche gli altri, accompagnati dai genitori che sono venuti a prenderli, sono andati via. Nella scuola non è rimasto nessuno»(15).
I seminaristi, che erano stati fatti trasferire da Città di Castello a Montone qualche settimana dopo un bombardamento nel tifernate, stavano svolgendo il compito in classe di francese quando si è sentito il rumore dei bombardieri. Qualcuno ha urlato: "Fuggite via! ... Andate fuori! ... Bombardano Umbertide!". I seminaristi sono corsi al piazzale delle monache, sotto le piante. Appoggiati al muraglione, hanno assistito alla scena tremenda: la picchiata, le bombe, la fiammata, l'aereo che risaliva, la fumaràa che si gonfiava. Ora sembra che tutta Umbertide sia incendiata(16)!
«Dal convento dei Cappuccini, il figlio del maresciallo stava scendendo diretto al Poder Grande, giù in basso, quasi in pianura, passando per Treppiedi, poi Valbonella, Capeccio. Teneva in una mano il pentolino per il latte che tutte le mattine va a prendere da una famiglia amica; nell'altra un'antologia di italiano: forse, anche se le scuole sono state dappertutto chiuse, una sessione d'esame per privatisti ci dovrebbe essere, se non proprio a fine giugno, ai primi dell'ottobre prossimo. Trotterellava allegro verso la meta, alle spalle la collinetta boscosa del convento; di fronte e in basso, a qualche chilometro, la piana in cui scorre il Tevere e giace Umbertide, nascosti entrambi da piccoli rilievi collinari. Stava percorrendo un breve pianoro, quasi un terrazzo con vista sul panorama, con una casa colonica.
L'antologia d'italiano era aperta su una poesia che stava ripassando: "La Caduta" di Giuseppe Parini. Ne stava ripetendo a memoria l'inizio: "Quando Orion dal cielo declinando imperversa / e pioggia e neve e gelo / sopra la terra ottenebrata versa...".
Non aveva fatto gran caso ad un ronzio d'aerei che gironzolavano su in alto: di questi tempi è cosa di tutti i giorni. Sollevata la testa dal libro, gli aerei, piccoli come moscerini, continuavano a girare nel cielo, intrecciandosi fra loro come stessero giocando. Aveva continuato ad andare, quando... quando gli era arrivato uno schianto terribile che si era ripercosso in tutta la vallata. Il primo pensiero era stato: due aerei si sono scontrati nel loro girotondo. Ma, un istante dopo, la verità: una densa colonna di fumo nero si era levata da dietro quegli ultimi rilievi, proprio là dove sta Umbertide. Contemporaneamente uno di quei "moscerini", improvvisamente ingranditosi, era sceso a 45 gradi verso il punto donde si era levata la colonna di fumo nero; una impennata per risalire e si era lasciato dietro un altro schianto terribile, con una seconda colonna di fumo denso. Anche il contadino era uscito a vedere e la verità si era imposta in tutta la sua tragicità: stavano bombardando Umbertide! Il pensiero era seguito immediato, terribile: laggiù c'era il papà. Il ragazzino aveva fatto dietro-front, arrivando trafelato al convento; affacciati al finestrone che guarda nella direzione del paese c'erano tutti, Realino, la sora Assunta, gli altri e ... la madre, in lacrime: "Giulio, e il papà?". Aveva afferrato una bicicletta da donna li trovata e via! Giù verso Umbertide col cuore in gola e con nient'altro in mente che il padre. È sceso per i tornanti a velocità che non raggiungerà più su di un velocipede; poi la strada diritta, Santa Maria da Sette, superata la quale ecco le prime case di Umbertide, sobborgo Santa Maria. Si è imbattuto in un compagno di scuola, Lucio Corbucci, che veniva a passo affrettato in direzione opposta, allontanandosi dall'abitato: "Che casino!" gli ha fatto allargando le braccia, col suo sorriso abituale nel viso biondo.
Col cuore in gola è arrivato al piazzale della Collegiata, ove gli si è parato dinanzi un enorme cratere disseminato di detriti all'intorno. Imperturbabile, nella stessa postura di sempre, calmo e tranquillo come era dato vederlo tutti i giorni e nello stesso punto, l'anziano signor Reggiani, il quale immediatamente gli si è rivolto in tono pacato: "Tuo padre sta bene, vai, è lì in piazza".
Si è precipitato: un lato della piazza, quello sinistro venendo dalla Collegiata, non c'è più, orribilmente trasformato in una montagna di detriti che l'hanno "sostituito". Suo padre e una guardia comunale sono chini su di un corpo femminile che giace prono, o meglio, sulla metà di quel corpo, le gonne sollevate, le cosce impolverate; l'altra metà, dalla vita in su, sta sotto la montagna dei detriti. La riconosce dalle fattezze: è Virginia, la studentessa di matematica. "Vai su, vai dalla mamma" - gli dice il padre sollevando appena la testa - dille che sto bene e che arriverò appena posso»(17).
Dal Faldo
Gino de Bufala (Cartucci) e Guido (Caseti) stavano pulendo dalle erbacce il piantinaro del tabacco vicino alla foce della Carpina, quando hanno visto fumo e materassi volare in alto dal centro storico della Fratta(18).
Da Corlo
All'arrivo degli aerei lavoravano il granturco con le bestie. Hanno visto che lasciavano cadere qualcosa. Il cugino di Bruno, il sarto, aveva gridato che erano bombe e si era messo a piangere, perché aveva visto che erano cadute nella zona vicino al ponte. Proprio in quegli attimi Bruno moriva(19).
Da San Benedetto
La Maria (Capoccetti) stava preparando la torta di farina bianca per la colazione dei suoi che lavoravano nei campi vicino a Righino, sopra Bertanzi. Quando ha sentito le esplosioni ha capito che bombardavano. Allora, scalza, si è precipitata verso valle per vedere la sorte che era toccata ai suoi parenti(20). A1 podere di San Lorenzo, della parrocchia della Collegiata, verso San Benedetto, stavano infornando il pane quando il rumore delle bombe ha fatto paralizzare tutti. Poi, chi è fuggito di qua, chi di là: il pane si è bruciato(21).
Dal podere di Zeppolotto sulle colline sopra San Benedetto, Nello - uno dei più giovani del gruppo di partigiani della San Faustino - ha assistito al bombardamento, immobile ed impotente(22).
Da Civitella
Bruno - ha 6 anni - parava le pecore sulla collina sotto Civitella, nel podere di Polenzano, quando sono arrivati i cacciabombardieri con il muso rosso che gli volavano sopra. Ha visto che sganciavano qualcosa: anche a lui sembravano ovi d'oca che, però, quando cadevano sul paese, alzavano una fumata nera.
Quando hanno finito, per lui è cessato il divertimento.
Dopo un po' sono venuti i suoi, che piangevano disperati, per portarlo a casa. II pastorello non riusciva a capire perché si disperavano tanto. Per lui non sarebbe potuto capitare niente di meglio: aveva evitato di passare una giornata da solo, insieme alle pecore. Per quelle bestiole, al contrario, è davvero andata male: si devono accontentare di un po' di fieno, dentro l'ovile(23).
Da Pietralunga
L'urlo lacerante dei motori spinti al massimo e poi il rombo cupo degli scoppi ripetuto dall'eco, giù nelle valli, è stato segnale di morte per i ragazzi alla macchia a Pietralunga: "Certamente bombardano Umbertide", hanno pensato(24).
A Giglioni, nella zona di Pietralunga, ancora non sanno niente. La processione nel giorno delle rogazioni sta sfilando dietro a Don Ivo (Andreani); i canti ripetono le antiche invocazioni per il buon esito delle semine e dei raccolti, che nell'occasione sono soprattutto suppliche per il ritorno alla normalità. In mattinata i contadini hanno messo le croci sui campi di grano: una canna infissa sul terreno; sulla cima una spaccatura, con incastrate in orizzontale - a formare una croce - la foglia piatta del giaggiolo e qualche spiga di grano del raccolto precedente. All'improvviso la notizia si diffonde con un brusio, lungo la duplice fila di fedeli, turbando la monotonia delle litanie: "Umbertide è stata ferita a morte ... È stato un disastro ... quelli della Posta sono morti tutti ...". La voce si smorza attorno all'Angelica, la maestrina sorella di Menco de Trivilino (Domenico Baldoni), impiegato postale, sulla quale si concentrano occhiate furtive di commiserazione(25). Il canto mesto delle litanie riprende con il ritmo ed il volume consueto: "A peste, fame et bello ... libera nos, Domine! ... A subitanea et improvvisa morte, libera nos, Domine! ...". Purtroppo sta accadendo tutto il contrario: il Signore non è riuscito a liberare il mondo dalla malattia, dalla fame, dalla guerra, ... dalla morte improvvisa. Ad Umbertide, decine di persone hanno perso la vita in un batter d'occhio, appena poche ore fa, senza ragione se non quella assurda della guerra.
Per fortuna i fedeli in processione non capiscono il significato delle loro preghiere, altrimenti potrebbero dubitare della volontà del Padreterno. Ma Lui capisce e condivide la supplica, tanto che ha fatto morire il Figlio sul Calvario per cambiare i comportamenti dissennati dell'umanità. Sono i destinatari finali della preghiera - i potenti del mondo - che non conoscono il latino o fingono di non capirlo.
Dai monti di Pietralunga, dove avevano visto gli aerei girare sopra Umbertide ed udito i colpi delle bombe, un gruppo di partigiani del battaglione Cairocchi, presso la Brigata San Faustino, è subito sceso a valle. Guidati dal vice-comandante Rossi, 26 anni, aiutano a raccogliere i morti per portarli in Collegiata ed i feriti all'ospedale(26). Non hanno rischiato poco, essendoci in giro i carabinieri repubblichini di Umbertide e di Castello.
Ancora da Pietralunga, dopo poco più di un'ora dalla ime del bombardamento, è arrivato un altro camion di soccorritori: sette od otto uomini con pale e picconi, guidati da Gildo Melgradi, hanno iniziato a scavare tra le macerie(27).
Da Gubbio
II Vescovo, Beniamino Ubaldi, saputa la notizia, ha subito applicato la santa Messa per le vittime del bombardamento(28).
In seminario a Gubbio, nell'intervallo fra una lezione e l'altra, avevano notato degli aerei in direzione di Monte Acuto, che giravano minacciosi nell'area di cielo presumibilmente sopra Umbertide, nascosta alla loro vista dalle colline a destra dell'Assino. Poco dopo, il susseguirsi del rimbombo cupo delle bombe ha annunciato la tragedia che si stava abbattendo sul paese.
Ora se ne ha conferma per le strade di Gubbio, dove la popolazione si è riversata sgomenta. Due seminaristi, Pietrino (Pietro Bottaccioli) e Romano (Bambini) si sono aggregati agli altri studenti umbertidesi che frequentano le scuole eugubine, per tornare a casa con il treno(29).
Anche Peppino del Sellaro (Cecchetti) era a lezione alle magistrali. Vincenzo (Fiorucci) lo aveva portato a pranzo a casa sua, a Madonna del Ponte, con una scusa: "Facciamo un compleanno". Finito il pranzo, ritornando a Gubbio, pian piano gli ha svelato che avevano bombardato il ponte ad Umbertide. A Corso Garibaldi hanno trovato una folla enorme che parlava del disastro. Con grande eccitazione sono arrivati i compagni di Peppino: lui, saputo che la parte più colpita del paese era vicino al ponte, si è messo a piangere, perché in quella zona abitano i suoi. Lo consolano gli amici, fra cui Gastone (Romanelli). Organizzano una colletta, per l'eventualità che, tornando a casa, non trovi nessuno; il ricavato gli è consegnato da Franco (Belardi), della famiglia Colonni, proprietaria del Cementificio Marna(30).
Dalla Valle dell'Assino
Per il sobbalzo al primo boato, era caduta l'Iliade dalle mani della Dina (Conti), una ragazzina che, a Pian d'Assino, si preparava al turno di scuola di pomeriggio(31).
La maestra Checca (Fornaci) aveva fatto uscire tutti gli scolari, mandandoli sotto il ponte del1' "Appennino". I più curiosi - Sirio e 'l Giappone - erano andati in cima al toppetto. Vedendo cadere `sti cazzini neri, credevano fosse uno scherzo; non sapevano niente che esistono i bombardamenti(32).
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La Maria (Ines Montanucci) stava falciando l'erba lungo uno stradello. Resasi conto del pericolo, ha preso in braccio il figlioletto che giocherellava nei paraggi e si è buttata nel riparo più vicino(33).
Poi, tutta la gente è salita sull'altura, da dove si scopre Umbertide: il fumo, che si era alzato come una nuvola da più parti, si è espanso dappertutto nascondendo alla vista il paese(34).
Peppe (Cardinali) ha assistito da dietro il tronco della quercia del molino al di là dell'Assino(35). Da Montelovesco hanno sentito i tuoni delle bombe provenire da Umbertide ed hanno visto la cupola di fumo ingrandirsi sempre di più(36). Era appena finita, a Camporeggiano, la messa per la benedizione delle croci. La gente sul sagrato ha visto gli aerei, i giri, il fumo, ma non ha sentito alcun rumore, schermato dalla schiera di colline verso la Fratta. La cappa di silenzio ha reso ancor più irreale la visione dell'apocalisse(37).
Da Pierantonio
Il maestro Federico Giappichelli tornava da Civitella d'Arno. Appena il treno è partito da Pierantonio, c'è stato l'allarme perché degli aerei minacciavano di bombardare Umbertide. Sono scesi tutti e si sono sparpagliati per i campi. Hanno sentito i boati: un finimondo. Il treno è ripartito verso mezzogiorno. Il maestro è sceso alla stazione; è passato a prendere la bicicletta che aveva lasciato dai Pambuffetti, dove va ogni mercoledì a comprare merce per il negozio di Lisciano Niccone. È arrivato a casa alle tre del pomeriggio, sfinito ed impaurito(39).
Da Collestrada
Renato (Codovini), con tutti gli umbertidesi aggregati al "Servizio del Lavoro", ha potuto udire distintamente fin da laggiù il tuono delle bombe che scoppiavano(40).
Da Perugia
A Perugia è arrivata la notizia: la città è piena di tensione e di commozione. Diversa gente è in lacrime(41).
1) Dina Bebi.
2) Mario Bartocci, manoscritto del 1986.
3) Elio Baldacci.
4) Giovanni Maria Bico.
5) Mario Tacconi.
6) Classe III A, Scuola Media Statale Mavarelli-Pascoli, Nonno, raccontami la guerra, 2004. Testimonianza di Pietro Migliorati.
7) Alda Pieroni.
8) Eliana Pirazzoli, manoscritto del 1986.
9) Alvaro Tacchini (curatore), Venanzio Gabriotti – Diario, Istituto di Storia e Politica Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1998, pp. 192, 193.
10) Sandra Cecchetti.
11) Eliana Pirazzoli, manoscritto del 1986.
12) Renato Silvestrelli.
13) Francesco Martinelli.
14) Giuliano Cappanna.
15) Gina Gallicchi, manoscritto del 1995.
16) Luigi Braconi.
17) Giulio Onnis, dattiloscritto 16 dicembre 2002.
18) Guido Caseti.
19) Lina Pippolini.
20) Maria Capoccetti.
21) Dina Lucchetti.
22) Leonello Galina.
23) Bruno Mastriforti.
24) Raffaele Mancini, ... A mezzanotte abbiamo scommesso sulla levata del sole..., Edizioni Nuova Prhomos, Città di Castello, 1993, p. 67.
25) Angelica Baldoni.
26) Mario Rossi.
27) Luigi Carlini.
28) Beniamino Ubaldi, vescovo di Gubbio, lettera del 6 maggio 1944 ai Salesiani.
29) Pietro Bottaccioli.
30) Giuseppe Cecchetti.
Gastone Romanelli, dopo qualche settimana, troverà la morte fra i 40 Martiri. Il Cementificio Marna diventerà Barbetti.
31) Dina Conti.
32) Sirio Lisetti.
33) Classe III A, Scuola Media Statale Mavarelli-Pascoli, Nonno, raccontami la guerra, 2004. Testimonianza di Maria Montanucci.
34) Dina Conti.
35) Giuseppe Cardinali.
36) Amelia Picciolli.
37) Francesco Silvestri.
38) Fotogrammi tratti da: Da Roma al Trasimeno: la liberazione del '44, Uguccione Ranieri di Sorbello Foundation. Le immagini sono di proprietà dell'Imperial War Museum.
39) Federico Giappichelli.
40) Renato Codovini.
41) Betto Guardabassi.
LA TRAGEDIA SI E’ CONSUMATA
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Solidarietà ed egoismo
La solidarietà, rinvigorita dalla disperazione o dallo scampato pericolo, pervade la comunità ferita: ci si aiuta, ci si consola, ci si incoraggia. Si aprono le case, le dispense; si preparano giacigli sotto ogni tetto. L'umanità oltraggiata risponde compatta alla disumanità della violenza.
Aldo Burelli era stato sorpreso dalle bombe mentre consegnava un preparato per le schiafine. II figlio Sandrino, farmacista come il padre, si è diretto verso la casa dei Gonfiacani, in Via Roma, dove si trovano i suoi; ma quando si rende conto del disastro e dei feriti che sono portati all'ospedale, senza indugio vi si reca per portare aiuto(2). Chiunque si sia accertato della sorte dei suoi, aiuta a scavare, a portare i feriti all'ospedale ed i cadaveri in chiesa.
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C'è anche chi sta pensando ad approfittarsi della sventura degli altri: si sono già messi in moto gli sciacalli, che riempiono balle di roba(3).
Lo sgomento per tanta sfrontatezza ha creato una specie di psicosi collettiva che favorisce lo spargersi di voci che sembrano proprio inverosimili o, quanto meno, esagerate.
Addirittura qualcuno sostiene di aver visto sfilare le fedi dai cadaveri in Collegiata. Non vogliamo crederci.
Si è diffusa la voce che delle "camicie nere", venute da fuori, abbiano arraffato a man bassa nelle case distrutte. Un milite avrebbe preso diversi gioielli d'oro: dalla discussione con un altro per dividerseli, uno dei due sarebbe rimasto ucciso(4). C'è solo da sperare che siano tutte dicerie senza fondamento.
I gruppi familiari cercano di riunirsi
Dalle stalle di Andrea del Sellaro (Cecchetti) lungo la Regghia, Guerriero de l'Elena (Boldrini) era scappato girando verso San Francesco, perché il Corso era immerso in una marea di polvere. All'arco di Piandana ha incontrato Giorgio (Bruni), un amichetto, vicino ad un gruppo di sfollati napoletani che recitavano 1'Ave Maria. È proseguito verso il Tevere dove ha rivisto la mamma, che era andata a lavare. Passando per casa, trovano il nonno Nìcole di fronte alle sue macerie, tutto bianco di polvere: era rimasto intrappolato nell'entròne della casa davanti a Ferruccio, insieme ad altri, fra cui Remigio(5). Questi, essendo molto esile, dal pertugio aperto da un'altra bomba era riuscito a trovare un varco, allargandolo di quel tanto da far passare anche il vecchio de Parigi (Miccioni) e Nìcole, appunto(6).
Dopo poco arriva Brizio (Boldrini), il fratello di Guerriero. Valicata la montagna di sassi, col cuore in gola si gira verso la sua casa: non c'è più. Seduto su di un sasso, tutto bianco di polvere, l'aspetta il nonno Nìcole: piange, le lacrime gli solcano il viso. Lo aiuta ad alzarsi, lo abbraccia. Il nonno sottovoce gli dice: "La mamma e Guerriero stanno bene, ci aspettano a casa dello zio(7).
Orlando (Bucaioni), vicino di casa di Brizio, è corso verso il paese, dopo aver abbandonato canna e ranocchie. Superata la stessa collina, corre verso Piazza San Francesco senza neppure voltarsi a controllare lo stato della sua casa: gli hanno detto che la mamma è andata verso la Caminella. Da lei, quando la trova, sa che la casa è distrutta e che il babbo è certamente morto, perché lo ha lasciato in cucina a fare colazione(8).
Sul cumulo di macerie si aggira il Commissario Ramaccioni, che è ridisceso subito in paese, dopo essersi rassicurato delle condizioni dei famigliari nella sua villa alle falde di Romeggio. Ha portato con sé la moglie, nota in paese come "la signorina" per distinguerla dalla madre, "la signora". Vuole rendersi conto del disastro e portare aiuto; lo sgomento e la preoccupazione sono ingigantiti dal pensiero della maledetta sirena che non è riuscito a far suonare.
La gente, quando li vede, inveisce. L'Elena de Bartulino impreca(9). Suo marito, in cima al cumulo con le braccia levate al cielo, urla: "Vigliacchi... vigliacchi!!"(10). Ma subito prevale la smania di scavare.
La Pia (Gagliardini) arriva per accertarsi della sorte della mamma e della sorella che erano in bottega al Corso; Gino (Sonaglia) cerca di bloccarla e portarla via, perché è pericoloso, ma inutilmente(11).
Il fumo sopra il luogo dove si trovavano presumibilmente i propri cari è un drammatico indizio per chi ha l'assillo di sciogliere il dubbio più drammatico: la morte o la vita di un famigliare. Per tutto il resto, la forza si potrà trovare.
Nino (Egidio Grassini) si era diretto con il babbo allo stabilimento dei tabacchi, dove lavorava la mamma. Sembrava che l'edificio fosse stato colpito, perché era sovrastato da un enorme nembo di polvere; invece era la nube lievitata sopra il centro storico, spostata laggiù da una bava di tramontana. Trovano la mamma incolume; tutti insieme fanno i fagotti e sfollano a San Benedetto(12).
Da Caldarelli, il contadino di fronte a Peppoletta, Franco (Villarini) riabbraccia il babbo che piange, perché ha visto colonne di fumo salire da Schiupitìno, vicino a casa sua; lo consola Zerullo (Luigi Ceccarelli) che ancora non sa di aver perso la moglie e le due figlie: tutta la sua famiglia(13).
Lo stesso fungo nero è vicino alla casa del sor Guidi che è subito corso verso la Regghia per rintracciare la cognata; anche suo figlio Walter è venuto a prendere la zia Checchina(14).
La Margherita (Tosti), messa la testa fuori della stalla di Secondo, ha creduto che il fumo denso verso il paese fosse proprio sopra casa sua. È corsa in quella direzione. Per fortuna subito dopo, all'inizio dell'argine di Fornacino, ha incontrato il babbo con il fratellino di quasi due anni a cavalluccio sopra le spalle(15).
... Fuggire aggrappato / ad una testa disperata / vagare alla ricerca dei sopravvissuti, / di una sopravvivenza inutile... (16).
Appena la Margherita li vede - sono vivi! - butta la cartella dentro un fosso, annunciando che non andrà più a scuola(17). Prosegue con loro verso il patollo, insieme agli zii. Qualcuno chiama e cerca i parenti, mentre arrivano le prime notizie di morti. II babbo, già disperato per conto suo perché ha perduto la moglie due mesi prima, a ognuno che incontra ripete, inorridito e angosciato: "Belli lavori! Belli lavori!"(18).
Gigino (Vestrelli), in cerca della moglie Giuditta, è sconvolto perché è convinto che sia quella povera morta in piazza, che in realtà è la Virginia (Cozzari). Invece la ritrova al Tevere, fra un gruppo di persone cui chiede se l'abbiano vista; non si rende conto che è fra loro, ma completamente irriconoscibile, tanto è sconvolta ed impolverata(19).
L'Eva (Rondoni) è corsa giù al Tevere per vedere se la casa delle suore era andata giù. Prende le sue fiole e l'Anna de Caldari, la figlia dell'Armida, che sta porta a porta.
II marito Peppino è andato su all'officina, ma i figli non li ha trovati. Alberto era in piazza, dove ha visto morire la Virginia de Cozzari, le Bebi...; lui grazie a Dio s'è salvato verso Bertanzi. L'altro maschio più piccolo, Pompeo, si è nascosto vicino all'officina. Peppino è tornato verso la moglie al Tevere. Fischia nel solito modo per rintracciarla. Quando l'Eva lo sente e vede che è solo, rimuove la disperazione intimandogli: 'I fioli du enno? [i figlioli dove sono?] Non vinì' [non venire] giù senza fiòli! Tu va a pia' [prendere] i fiòli e pòrteli giù"(20).
La Nunziatina de Saltafinestre (Bucatelli) cerca ancora di rintracciare la mamma ortolana; il maresciallo Onnis - che la conosce bene - le chiede cosa faccia lì, in mezzo a quel disastro. Lei risponde che sta cercando sua madre. II Commissario, che è con il maresciallo, le dice - senza alcuna cautela - che se è morta la trova in chiesa. Al che, il maresciallo s'inquieta molto(21).
Un'altra ortolana, 1'Annetta, ricompare al marito ed alla figlia, disperati: è irriconoscibile, per quanto è sconvolta e coperta di polvere. Davvero la riconoscono dalle vene varicose. Vanno verso la Collegiata, dove la Senta Reggiani cerca di allarmare tutti gridando: "Via... via! Andate via, `ché tornano!"(22).
«Tanta gente continua a risalire il corso della Regghia; chi urla, chi piange, chi maledice; ma nessuno dice niente alla piccola Luciana de Zúmbola, che cerca di ripulire le ginocchia, le mani ed il naso, feriti per una caduta; lei non riesce a capire cosa sia successo; si ferma sulla scarpata del torrente ed aspetta per un'infinità di tempo. Ad un certo punto vede avanzare sullo stradello, in sella alla sua "Legnano" nera, il babbo Gino. Quando lui la vede, salta giù dalla bicicletta, la prende in braccio e la stringe forte forte; un abbraccio che la Luciana non dimenticherà più! Non lo guarda, ma sente che piange. Si siedono sul ciglio del campo e restano abbracciati per tanto tempo: sente di essere salva! Dopo essersi ripreso un po', il babbo comincia a domandare alle persone che conosce se abbiano visto la moglie e la mamma; non avendo notizie, decide di tornare verso casa. Lascia la figlia a dei conoscenti. Dopo un po' torna con qualcosa da mangiare, che ha preso in casa. Ma non ha trovato né la moglie né la mamma, né il figlio più piccolo: è stravolto, perché ha saputo dove sono cadute le bombe. Cerca di far mangiare qualcosa alla figlia; poi decide di andare ancora più avanti. Quando sono sotto Viuliuo - la casa colonica sulla collinetta - sul campo che scende verso la Regghia, la Luciana vede stagliarsi la figura della nonna con in braccio Enzo, il fratellino: la chiama forte, ma il babbo è già partito come un razzo. Ha attraversato il torrente ed in un attimo è dall'altra parte. Zùmbola prende in braccio la mamma che, a sua volta, ha in braccio il nipotino di pochi mesi: un grappolo umano»(23). L'Elisa (Pucci), con l'inseparabile asciugamano bianco sulle spalle, si è fermata sulla strada dei cipressi: deve ritornare sui suoi passi, come sarebbe stato il suo primo istintivo desiderio, per tornare a casa all' "alberata" dove c'è Franco, il figlio di pochi mesi(24). Lo trova con la Giuditta (Alunni), che lo ha portato in salvo.
In Via Spoletini, alla scuola delle monache, le suore consegnano i figli ai genitori che via via si presentano con voce concitata e piangenti.
Guerriero Corradi, che ha trovato difficoltà ad uscire dal negozio da fotografo in Via Cibo, passa davanti alla scuola diretto verso il portone accanto, dove abita. "È tutta una rovina", continua a ripetere come in una cantilena. Procede in mezzo ad un fiume di gente piangente e smarrita(25).
Nella casa di fronte, Giovannino (Migliorati) ha trovato i suoi disperati, perché non sanno dove sia la Maria, sua sorella, che si è recata al forno di Quadrio(26). Arriva di corsa - i piedi nudi che tornano sulla polvere(27) - la sora Maria (Pambuffetti), una vicina di casa, con la speranza vana che la figlia Giovannina sia già tornata da lezione. È sfinita. Ha continuato a girare per tutte le strade, implorando notizie. Tutti hanno risposto in modo vago, senza il coraggio di toglierle la speranza: "Mi sembra d'averla vista fuggire con la Gina . . . "(28). Si siede fuori, disperata, al di sotto del davanzale della finestra a piano terra, con le dita aggrappate alla retina di protezione per le mosche: piange in silenzio(29).
In quel momento compare la figlia dei Migliorati, Maria; è talmente contratta che non riesce a rilasciare la presa della mano sul manico della borsa di pelle a spicchi, con cui era andata a comprare la conserva due ore prima(30).
Giovannino (Duranti) è stato preso per mano da Baldo (Ubaldo Morelli), un collega di lavoro del babbo, che lo riconsegna ai genitori al Tevere vicino a Taschino, dove si è radunata una fiumana di gente(31).
II Conte Ranieri ha preso in consegna Fausto (Fagioli), dai capelli rossi, che ha perso la mamma e la sorella. Lo porta al Castello di Civitella, sede del comando Tedesco(32), dove una cugina della mamma del bambino, da poco orfano, aiuta in cucina(33). Per la solidarietà è sufficiente una parentela alla lunga con una domestica.
Sotto la collina di Civitella la Mariolina e la Lea (Rapo), dopo la fuga da sotto il letto, si sono riunite alla nonna, che era stata sorpresa dal bombardamento sotto il ponte del Tevere ed aveva portato i panni con la carretta nella cantina di Camillo, nascondendoli sotto le botti(34).
Peppino (Lisetti), il calzolaio, è tornato a casa a Pian d'Assino ed ha trovato tutti in grande agitazione, perché si era sparsa la voce che "Peppino de Montecorona" era rimasto sotto il bombardamento; ma non sapevano se era lui o Giuseppe Pierini della Badia, il garzone del barbiere Galeno, che è morto davvero. Qualcuno si accorge che il piccolo calzolaio sanguina dalla gamba sinistra: lui non si è neppure accorto che una semenza, di quelle più lunghe, si è conficcata fra le due ossa della gamba, lasciando uscire solo la capoccia(35).
La Dina (Bebi) si era rifugiata al fosso di Lazzaro. Quando il babbo l'ha ritrovata, le ha confessato che le sue cugine, da cui si era da poco separata, erano morte. Insieme sono andati al Marro, come convenuto in caso di bombardamento. I padroni di casa hanno accolto tutti con molta ospitalità, facendo sdraiare sul letto la sora Teresa, mamma della Dina. Dopo un po' arriva Peppe (Chicchioni), il fidanzato, che a Pierantonio era tornato indietro, avendo sentito i rimbombi su Umbertide. Si abbracciano: è l'occasione per superare i piccoli dissapori che avevano fatto traballare il loro legame(36). Stranamente, le bombe possono avere anche piacevoli effetti collaterali, una volta tanto: rafforzano l'amore!
Silvano (Bernacchi), miracolosamente scampato al crollo che ha straziato i nonni, è soccorso dal dottor Porrozzi, che lo conduce verso casa sua presso il ponte in ferro del Rio. Il ragazzino è leggermente ferito. Incrociano il maestro Dino (Bernacchi), il padre, che, visti gli aerei ed il fumo su Umbertide, aveva consegnato i bambini e si era diretto verso casa in bicicletta. Ma non riconosce Silvano, fino a quando il dottore non gli dice: "C'è tuo figlio!"(37).
Non tutti, disgraziatamente, riescono a ricongiungersi.
Peppino (Baiocco), che era scappato per la Piaggiola, si è messo a cercare la mamma e la sorella. Ritrova la mamma con il cugino Franco (Mischianti); della sorella nessuna traccia ed un tragico presentimento(38).
Gigetto de la Posta (Luigi Gambucci) aveva rintracciato la mamma e la sorella dalle monache. II babbo Baldo non era né a casa, dove qualcuno l'aveva visto passare, né con loro; allora le ha fatte aspettare, assicurandole che sarebbe andato a cercarlo. Va verso piazza dalla Collegiata. Intravede per terra, all'angolo di Via Stella, la Virginia. Lo ferma Aldo Zurli che intuisce il motivo del suo girovagare. Gli indica il babbo, dopo averlo accompagnato per pochi passi: è a terra in piazza, morto, appena dietro l'angolo, verso gli archi del prete(39). Anche la Tittina (Fiorucci), verso le due, ha saputo che la mamma è morta: l'hanno trovata sullo scalino del negozio, con una trave a traverso che l'ha soffocata. La portano al cimitero con un carretto(40).
La Lina (Silvia Cambiotti), con la mamma, era andata in Collegiata per vedere se c'era la figlia ed i suoceri.
Della figlia nessuna traccia fra quei poveri corpi. All'improvviso, la conferma tremenda che l'Amalia è morta. Le dicono che l'hanno portata via: l'avrebbe trovata al cimitero. Difatti i cadaveri dalla Collegiata li portano via man mano che arrivano, perché non c'entrano più: carretti pieni di corpi, uno sopra l'altro, legati con le funi.
Straziata dalla disperazione, la Lina si trascina con la mamma fino al camposanto. Nella chiesina si getta sulla sua Amalia, che riconosce subito in mezzo a tanti corpi stesi sul pavimento: è la fine. Tutto il freddo insopportabile, patito nella casa senza vetri di San Cassiano per tenere la figlia al sicuro, non è servito a niente. L'ha portata a morire nella casa di Via Mancini, dopo averla fatta stentare inutilmente. Tutto vano: tanti sacrifici per niente!
Le sembra di riconoscere la suocera in uno degli altri cadaveri. Nel dubbio deve aprirle la bocca, per vedere se è sdentata come la Marianna. Ha tutti i denti: non è lei.
Prende in braccio la figlia, con la testina appoggiata al collo. A piedi, si dirige a Montecastelli, accompagnata dalla mamma. Vuole seppellirla nel cimitero vicino a casa dei suoi: "Tanto a mo' moro [ormai muoio] anch'io!", pensa. Si danno continuamente il cambio l'una con l'altra per portare quel corpicino senza vita. Attraversano il Tevere con la barca di Carosciolo in un silenzio irreale: nessuna parola, solo le gocce dei remi che sgrondano sul fiume, come lacrime. Attraccate all'altra sponda, procedono attraverso i campi, verso Montecastelli(41).
Riaffiora l'istinto di normalità
La nube di polvere non si è del tutto dissolta, che riaffiora nelle persone che non sono state colpite negli affetti più prossimi l'istinto di continuare, nonostante tutto.
La vita continua.
In fondo alla Piaggiola, appena si comincia a rivedere qualcosa, una donna spazza davanti a casa; Aldo (Fiorucci), il figlio, la prende per un braccio e la convince a fuggire verso il Roccolo, che il babbo aveva stabilito come punto d'incontro in caso di bombardamento4(42).
La Giovanna del torroncino (Mancini) e la Carla hanno perso un po' l'orientamento e rientrano nella tiberina, quasi all'altezza di Pian d' Assino. Si dirigono verso il paese ed incontrano, di fronte allo stabilimento dei Tabacchi, una conoscente che le rimprovera, come se avessero marinato la scuola: "Ma `ndu séte state [dove siete state], fin' adesso! Le vostre mamme è tanto che v'arcercono [cercano]! Sintiréte le bòtte!!". Mai la minaccia di un rimprovero è stata altrettanto gradita: è segno che le mamme sono vive. La Giovanna aveva temuto il peggio, perché la sua famiglia abita appena dietro la stazione, ritenuta fra i più probabili obiettivi del bombardamento. Alla stazione trova la mamma ed il nonno, che vuole portare tutti a casa sua, al Niccone. Prima però bisogna rintracciare il fratello più piccolo che è all'asilo dalle monache. Lì sono in tanti a cercare i propri bambini: ma di Luigino non c'è traccia. Per fortuna capita suor Adele, che lo fa uscire da sotto lo zinale dove si era rifugiato, avendolo ritenuto il posto più accogliente: "Eccolo, lo zio Luigi!", rassicura. Lo chiama così, affettuosamente, perché è il più piccolo di tutti4(43). La sottana [tonaca] di suor Adele è proprio diventata la culla pennuta di una chioccia.
Appena cessato il bombardamento, Nino (Grassini), in fondo alla Piaggiola, aveva rincontrato Bruno, da cui si era appena separato. "Nino! Nino!", "Bruno!", si erano chiamati. Insieme avevano saltato la rete che separa Via Vittorio Veneto dal campo della vecchia chiesa di Sant'Erasmo. Lungo la Regghia, Nino aveva incontrato il babbo che era sceso da San Benedetto, dove lavorava. Solo allora si era reso conto di non essersi mai separato dal libro di filosofia - 1-Emilio", di Rousseau - che avrebbe dovuto portare a lezione; lo aveva gettato via con un calcio. Ma subito dopo lo aveva raccolto, pensando che altrimenti avrebbe dovuto ricomperarlo: la scuola, come la vita, continuerà(44). La Maria di Gesuè gira intorno alla Collegiata per cercare la cartella che il nipote Vittorino (Tognaccini) ha perso mentre fuggiva dalla sagrestia verso la loro osteria(45).
Gigolétta (Mario Loschi), che ha una piccola bottega da fonditore vicino all'officina di Renzo, va a controllare se è caduta la statua di bronzo al Milite ignoto per poter eventualmente fonderne i rottami(46).
Dall'officina di Orlando Caldari, ripresisi dallo spavento, cercano di portare al riparo le macchine agricole a Civitella(47).
I parenti del proprietario del calzaturificio in fondo al Corso, hanno abbondantemente strapazzato il figlio Sirio (Lisetti) perché era scappato via, senza avvertire nessuno. Poi sono andati a recuperare le scarpe scaraventate dalle bombe sul greto del Tevere: ma la maggior parte le ha già prese la gente(48).
Lorenzo (Andreani) e la sua famiglia sono ripassati per casa a prendere le cose più necessarie. Tutti carichi, si dirigono verso la campagna. Mentre scendono per la Piaggiola, dalla testa della mamma scivola a terra la cesta con piatti e tazzine. Raccolgono tutti i cocci che, con colla e pazienza, riacquisteranno la primitiva funzione: in futuro ci sarà ancor meno da buttare(49)!
La Rosa (Baruffi), con la figlia Sunta, torna al Tevere a riprendere il carrettino, abbandonato con i panni che stava lavando(50).
I soldi, che pochi minuti fa svolazzavano indisturbati per la piazza dalla borsa delle Poste, hanno già riacquistato il loro valore.
Un uomo cerca la borsa che aveva tenuta pronta vicino alla porta di casa con tutto l'indispensabile, compreso quel po' d'oro ed i buoni postali da 100 lire l'uno che ha versato ogni mese per la figlia. La ritrova sotto l'arco di Via Mancini, ad una ventina di metri da casa: è rimasta solo la fodera, ma il contenuto è intattos(51).
La Vera è tornata a casa Vibi per prendere l'oro ed i soldi, ma dei militari le impediscono di salire. Tonino (Taticchi) - `l Bove - li convince a lasciarla passare, assicurandoli che è la proprietaria. L'accompagna e coglie l'occasione per recuperare una rivoltella che aveva fatto nascondere in un ripostiglio sicuro in quella casa(52).
Anche in Via Alberti i proprietari hanno ritrovato, in mezzo alle macerie, la borsa con i soldi - intatta - e mezza pacca di lardo, che sarà di grande compagnia di questi tempi(53).
Lo stomaco, infatti, non sente leggi; non conosce bombe, né morti; quando è ora, reclama con prepotenza la sua parte.
Peppino (Rondoni), verso le undici, è passato a casa. Ha trovato per terra tutta la pasta del pane che doveva essere portato al forno: lievitato, era esondato dalla mattra. Ha rimediato facendone frittelle. Le ha cotte e bruciate. Ma quando le ha distribuite ai suoi ed alla gente giù per il Tevere, nessuno ha,fatto la griccia(54).
All'ora di pranzo, nell'aia di Sciabone - il contadino dietro la Commenda, verso Civitella - c'è pane e prosciutto per tutti all'ombra del pagliaio; la fatica dell'Anna (Bartocci) per portarlo in salvo non è stata inutile(55). Manco fosse stata `nduvina [neanche fosse stata un'indovina]!
Guido (Lamponi) è andato a prendere sette file di pane, che aveva ritirato la mattina dal forno della stazione, ed una spalletta di maiale. Tutto è a disposizione dei presenti(56).
Lazzaro ha portato del vinsanto, di quello che ha preparato per quando il figlio Pietro canterà messa. Dalle bottiglie che si erano intorbidate sul fondo per lo sconquasso delle bombe, travasando la parte chiara, è riuscito a riempirne un fiasco(57). La Linda, ripresa la fióla dall'asilo, lungo il Tevere è arrivata da Palazzone, dove ha trovato una marea di altre tabacchine e ceramiste: qualcuno è in casa, altri dietro al pagliaio, altri ancora dietro la siepe. Sono in troppi per avere il coraggio di chiedere ospitalità. Ma non ce n'è bisogno: alle due e mezza i padroni di casa, Poldo e Rigo, distribuiscono a tutti un calderone di minestra con i ceci(58). Qualcuno, sollevato per averla scampata, ha perfino la forza di scherzare.
"Non si sono riconosciuti", si commenta - a tragedia compiuta - la collaborazione fra Alfredo (Ciarabelli) e Giovanni (Ciangottini), che hanno fatto la spola dalle macerie alla Collegiata, agli estremi della stessa barella con il morto da portare in chiesa: tutti sanno che sono d'idee opposte - comunista e fascista - con in comune la sola miopia.
Gamba de Balùllo riesce a fare lo spiritoso. Gli chiedono: "Quel'omo, `ete [avete] visto Trotta?". E lui risponde: "'n lu so [non lo so] ... trótton tutti!". In realtà l'aveva visto, il dottor Trotta con la famiglia, e non aveva esitato a buttarsi sopra la figlia del medico, la Licia, obbedendo alla splendida fanciulla che supplicava: "Copritemi, copritemi!"(59). Anche gli animali hanno bisogno di consolazione. Domenico (Duranti) attraversa il ponte sulla Regghia portando con sé la gabbia con il verdone Picchiottino, che sta zitto zitto; è sfiatato da quanto ha cinguettato per chiedere aiuto, da sotto il tavolino, dove la gabbia dalla finestra era stata scaraventata(60).
Le uova che erano state messe a covare in casa dei Boriosi si sono schiuse anzi tempo per il gran rumore: i pulcini non hanno resistito dal venire al mondo per vedere cosa fosse successo. Ora si consolano nel petto della padrona adattatosi a cova per l'emergenza, a Santa Maria da Sette(61).
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Per le gerarchie sembra non essere successo niente. Un ufficiale delle SS, accompagnato da uno della milizia, si è recato dal Marro, per verificare la sorte della borsa di soldi scomparsi dalla Posta. Chiedono spiegazioni a Peppe della Fascina (Giuseppe Venti) che aveva portato il plico dalla stazione: per fortuna lui può mostrare la ricevuta firmata da un impiegato. A fianco dei militari, Gigino Ceccarelli - dell'Ufficio postale - deve assistere all'incombenza burocratica, nonostante sia stravolto dal dolore per la sua famiglia sterminata(63).
Lo sfollamento
Appena ritrovati i propri famigliari, occorre cercare una sistemazione fuori del paese, per passare la notte e per sopravvivere nei prossimi giorni, fino a quando - chissà quando? - la vita non potrà rinascere - rinascerà? - nel paese distrutto.
Una moltitudine disperata si riversa nelle campagne: è un esodo biblico.
La famiglia di Guerriero (Corradi), il fotografo, è diretta verso la casa di Preggio. Lui ed il babbo Anteo davanti; sulle biciclette; dietro la moglie, le figlie con la tata (Emilia Matteucci) e l'indispensabile sul carretto trainato da un cavallone con la coda bianca, che Checco de Camillo è riuscito a mettere a disposizione. Hanno dovuto aspettare il ritorno della moglie Maria, che era andata a cercare Umberto, il ragazzo incaricato di prendere delle medicine: era ricomparsa, bianca di polvere, dopo essere stata rassicurata dalla farmacista che l'apprendista fotografo era salvo e che era fuggito nella direzione di San Benedetto. Altre persone si sono aggregate, approfittando del mezzo per caricarci qualcosa. Quando il carretto, svoltato il passaggio a livello, è poco oltre il ponte sulla Regghia, il babbo torna indietro per avvertire: "Fermi, ... passano i morti". Il calesse si ferma. Gli uomini in piedi si tolgono il cappello: sulla prima barella una donna, con i piedi viola. Passano altre barelle e qualcuno chiede di chi siano quei miseri resti. 1 trasportatori, diretti in Collegiata, rispondono come automi quel poco che sanno(64).
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La maestra Gina (Gallicchi) è rimasta sola con la figlia Luciana; non torna nella provvisoria dimora di Montone, ma s'incammina per la strada che porta al cimitero. Giunta alla curva del camposanto si mette a sedere sull'erba, scrutando i volti delle persone che vengono su da Umbertide, ansiosa di poter avere qualche notizia certa. Tutti la guardano e nessuno parla; sui loro volti si legge lo spavento. Camminano lentamente, perché hanno nelle mani borse, pacchi, indumenti che servono per una provvisoria sistemazione presso amici o parenti. Guarda quella gente che sfila in silenzio come in processione; non ha il coraggio di domandare niente, perché teme brutte notizie. Dopo alcune ore d'attesa angosciante, vede apparire tra le tante persone Peppe, il marito. Allora esulta di gioia; gli va incontro; si abbracciano. Lui prende in braccio la figlia e la riempie di baci. Assicura che tutti i loro cari sono salvi(65).
Verso mezzogiorno, il nonno Mancini parte verso il Niccone con la Giovanna del torroncino, la nipotina, sulla canna della bicicletta ed il resto della famiglia. Quando sono all'inizio del ponte, lo spettacolo è terribile: montagne di macerie... gente che grida... prega... invoca d'aiuto ... ; l'aria è rosso-polvere. Il nonno si raccomanda: "Non guardate ... non guardate!!(66).
Pistulino (Quintilio Tosti) con i suoi - il figlio a cavalluccio e la figlia per mano - attraversa il Tevere sotto la chiusa di Gamboni: l'acqua che gorgoglia sotto i suoi piedi rasserena, dopo tanto rumore. Sono diretti alla casa colonica della sorella Ida, verso il Niccone, la cui famiglia aveva sostituito Milli, il contadino che era stato mandato via dal podere perché d'idee socialiste(67).
Accanto alla casa dei genitori distrutta dalle bombe, Nino de Capucino (Domenico Mariotti) ha visto la bicicletta di Virgilio (Bovari) perfettamente efficiente: sarebbe utilissima per il trasferimento a Preggio che sta per affrontare, a piedi, con tutta la famiglia; anche se c'è poco da portare via, oltre quanto hanno addosso. Cerca inutilmente di chiederla in prestito al padrone, ma non lo trova. Decide di prenderla lo stesso: non è tempo di cerimonie. La famiglia parte per Preggio, con l'appoggio della bicicletta di Virgilio(68).
Bruto (Boldrini), informato da qualcuno che la figlia Cecilia è dal Caporalino, arriva tutto trafelato alle Petrelle, dove scopre che la segnalazione era sbagliata: trova la nipote Adriana e non la figlia, che è sepolta, insieme alle sue amiche ed a Bruno, sotto una montagna di sassi. Lo zio, quando si accorge del disguido, non riesce a nascondere nel viso la sua delusione(69).
Peppino da Milano (Feligioni) cerca i suoi famigliari scendendo da Civitella attraverso i campi; al podere dei Cornacchia ritrova la madre, la zia Ines ed i nonni, disperati per la sorte sua e del padre, che è ancora sotto le macerie, vivo(70).
L'Olimpia (Pieroni) ed i suoi hanno cercato di fuggire verso la Badia. Li obbligano a passare per la Madonna del Moro, dove incontrano Dante Baldelli e Giselda Ciangottini, che suggeriscono di riprendere il rettilineo anziché la sponda del fiume, altrimenti arriveranno con difficoltà. Lungo la strada si fermano a casa dei Fornaci, lontani parenti oltre che amici di famiglia, che offrono da mangiare; quindi ripartono in direzione del Colle, con i bambini Bettina e Marcello(71).
1) Disegno di Adriano Bottaccioli.
2) Maurizio Burelli.
3) Guerriero Boldrini.
4 Mario Rossi, vice-comandante del battaglione Cairocchi.
5) Guerriero Boldrini.
6) Lidia Tonanni.
7) Fabrizio Boldrini.
8) Orlando Bucaioni.
9) Fabrizio Boldrini.
10) Mario Migliorati.
11) Pia Gagliardini.
12) Egidio Grassini.
13) Franco Villarini.
14) Ines Biti.
15) Margherita Tosti, manoscritto del 1985.
16) Mario Tosti, Il giorno del bombardamento, poesia tratta da "Concorso nazionale XXV aprile", Comune di Umbertide, Centro socio-culturale S. Francesco, 1984.
17) Quintilio Tosti, testimonianza orale raccolta dal nipote Marco - V elementare – 1985.
18) Margherita Tosti, manoscritto del 1985.
19) Gigina Vestrelli.
20) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i1 25 aprile 1994.
21) Annunziata Bucatelli.
22) Giovanna Nanni.
23) Luciana Sonaglia, manoscritto del 2001.
24) Annunziata Caldari.
25) Lidia Corradi.
26) Giovanni Migliorati.
27) Lidia Corradi.
28) Ines Guasticchi.
29) Maria e Giovanni Migliorati.
30) Maria Migliorati.
31) Giovanni Duranti.
32) Sante Migliorati.
33) Fausto Fagioli.
34) Maria Luisa Rapo.
35) Giuseppe Lisetti.
36) Dina Bebi.
37) Silvano Bernacchi.
38) Giuseppe Baiocco.
39) Luigi Gambucci.
40) Annunziata Fiorucci.
41) Silvia Pitocchi e Anna Cambiotti, dattiloscritto 16 dicembre 2003.
42) Aldo Fiorucci.
43) Giovanna Mancini.
44) Egidio Grassini.
45) Vittorio Tognaccini.
46) Renato Silvestrelli.
47) Amedeo Faloci.
48) Sirio Lisetti.
49) Lorenzo Andreani.
50) Assunta Baruffi.
51) Annunziata Fiorucci.
52) Vera Vibi.
53) Maria Chiasserini.
54) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti i1 25 aprile 1994.
55) Anna Bartocci.
56) Ines Biti.
57) Classe III A, Scuola Media Statale Mavarelli-Pascoli, Nonno, raccontami la guerra, 2004. Testimonianza di Giovanna Bottaccioli.
58) Linda Micucci.
59) Luigi Guiducci.
60) Maria Duranti.
61) Rina Boriosi.
62 Bruno Porrozzi, Umbertide nelle immagini, Associazione Pro Loco Umbertide, 1977, p. 93.
63) Muzio Venti.
64) lidia Corradi.
65) Gina Gallicchi, manoscritto del 1995.
66) Giovanna Mancini.
67) Quintilio Tosti, testimonianza orale raccolta dal nipote Marco - V elementare – 1985.
68) Domenico Mariotti.
69) Adriana Ciarabelli.
70) Giuseppe Feligioni.
71) Fausta Olimpia Pieroni.
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LA SECONDA INCURSIONE
Si è sparsa la voce che il pomeriggio torneranno a bombardare, perché la mattina non hanno colpito il ponte.
Natalino (Lisetti) ha avvertito tutti quelli che ha incontrato. Anche l'Arciprete ha questo presentimento(1).
La poca gente rimasta in paese, perché impegnata negli scavi(2) o nel portar via dalle case l'indispensabile(3), è ad orecchie dritte.
Sono passate da poco le quattro(4).
In piazza, d'improvviso, s'innesca un fuggi-fuggi: al punto telefonico nella garitta del passaggio a livello, da Perugia è giunta la notizia dell'arrivo di un'altra incursione(5). Dopo poco, alle 16 e 25, suonano le sirene a Città di Castello(6).
L'allarme si diffonde tra la gente, da persona a persona(7).
Tutti scappano come fulmini verso il luogo sicuro più vicino, in ogni direzione: la Caminella(8), il mattatoio(9),1'ospedale, la fornace, i campi verso il Tevere(10).
Stavolta, dopo il disastro della mattina, nessuno sottovaluta il pericolo. Anche i soccorritori sono costretti a scappare.
Per i sepolti vivi è il colpo di grazia: quando se ne rendono conto, perdono ogni speranza.
ronino de Bronzone (Antonio Feligioni), che nella tarda mattinata era riuscito a segnalare la sua presenza ed a dare istruzioni su come fare per essere portato fuori, stava per essere liberato; a questo punto si sente definitivamente perduto(11) ed urla disperato.
Qualcuno ha il coraggio di rimanere per approfittare del silenzio, che potrebbe far percepire altre tracce di vita. Sentono i lamenti di una bambina. Forse è l'Adriana, la nipotina di Quadrio Bebi(12) che Bronzone aveva segnalato vicino a lui, insieme alla Cesira (Ceccagnoli).
Gli aerei dalla direzione del Pantano si avvicinano ad Umbertide, mitragliando di tanto in tanto. All'altezza dei Canadà - i pioppi che costeggiano il Tevere verso Montecorona - i cacciabombardieri sorprendono i Pieroni, che sono costretti a nascondersi; i loro bambini, ormai stanchi, si sono addormentati come ghiri(13).
La Loredana (Trentini) sta tornando verso il Pantano, capecióna come prima perché la Velia non aveva neanche cominciato a tagliarle i capelli nella parrucchieria del Corso. Alla Badia, proprio sopra di lei, sente crepitare la mitraglia di un aereo. Ha l'impressione che 1' omino che lo guida spari contro di lei. Si butta a terra in mezzo ad un campo con le stoppie; le esce del sangue. Pensa di essere ferita. Terrorizzata si mette a correre. Scavalca un muretto e cade dietro, battendo la testa in terra. Si sente spacciata(14).
Lo stormo di aerei, dalla punta rossa, è uguale a quello che ha bombardato la mattina. I cacciabombardieri procedono in formazione da Montecorona; superano Umbertide in direzione di Montone. Forse è stato un falso allarme.
Un bambino, Benito, para i maiali sulla collina. Per passare il tempo era salito sulla cima di un ciliegio molto sottile, alto come un albaróne, giocando a dondolarsi. Guarda, incuriosito, la batteria antiaerea tedesca che cerca di contrastare l'attacco aereo dalla postazione di Santa Maria da Sette: i proiettili scoppiano in alto, sfioccando come fuochi d'artificio; qualche pezzo di metallo ricade intorno a lui. Per nulla intimorito, assiste estasiato allo spettacolo, continuando beatamente nella sua altalena(15).
Sopra Corlo, un aereo improvvisamente vira a sinistra verso Sant'Anna(16), buttandosi poi in picchiata sul ponte con il sole alle spalle(17). Gli altri si mettono a girare sopra la piana del Faldo(18).
Sono le quattro e un quarto(19).
La moltitudine che dalla mattina si era allontanata dal paese, assiste dalle colline, sgomenta e muta, consapevole del nuovo imminente scempio.
La famiglia di Guerriero (Corradi), il fotografo, è arrivata a Montaguto sul carretto trainato dal cavallone con la coda bianca che, nonostante la stazza, riesce a stento ad arrancare lungo i tornanti in salita; hanno cercato di farlo riposare, approfittando delle soste per scambiare notizie con tutti quelli di passaggio. Alcune persone del gruppo sono rimaste a Romeggio, accolte da Don Checco (Francesco Corradi), che il nonno Anteo ha voluto salutare insieme agli altri fratelli. Hanno visto comparire all'orizzonte gli aerei che di colpo sono scesi verso il basso: "Fanno la picchiata!" dice qualcuno. "Sganciano le bombe", avverte un altro(20).
Gigetto (Luigi Gambucci) è a mezza costa del colle di Romeggio, insieme alla mamma. Vede cadere nella vallata sottostante la prima coppia di bombe, che avvolge la loro casa in un mare di fumo. "C'hanno preso la casa in pieno [hanno centrato la nostra casa]", sussurra(21): il palazzo Vibi è stato sventrato. In poche ore, la sua famiglia è stata privata del babbo e della casa. Scompaiono fra quelle macerie, al primo piano, anche i cimeli del passaggio di Garibaldi: il letto di ferro dove aveva dormito, una sciabola ed un quadro con il Generale, che era il terrore dei bambini(22); la tazza di smalto rosso usata dall'eroe dei due mondi, tenuta come un oracolo sul davanzale della finestrina sopra lo sciacquatóro(23).
Ricomincia la sinfonia(24): uno per volta, gli aerei si staccano dal cerchio, mitragliano(25) e, in picchiata, cercano di colpire il ponte.
La seconda coppia di bombe cade vicino a Trivilino; una rimane inesplosa(26).
Un'altra coppiola colpisce la casa di Camillo(27): le travi volano in alto, come in un fuoco d'artificio(28). Nino de Capucino (Domenico Mariotti) la vede saltare da Polgeto, dove è arrivato con tutta la famiglia e la bicicletta di Virgilio(29).
È polverizzato il magazzino dell'ANAS, vicino a Maddoli(30).
Altre bombe scoppiano sul greto del Tevere, scagliando sassi fino al mattatoio(31). Una resta inesplosa sul pietriccio davanti alla casa di Peppino Rondoni(32).
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Alcuni ragazzi che stavano scendendo dalla collina di Romeggio, dove erano andati per cercare le schegge, assistono allo spettacolo(34). Si alza, di nuovo, un gran polverone sopra il paese(35).
Altri giovani si sono nascosti dentro un piccolo fosso ai margini della stessa strada. Gli apparecchi che riprendono quota passano vicinissimi a loro, nel canalone tra Romeggio ed il Colle delle Vecchie. I ragazzi distinguono benissimo i piloti ed hanno l'impressione di esser visti. Si rannicchiano ancora più nel fosso, per paura di essere mitragliati; il cuore batte molto forte per la paura, ma soprattutto per l'emozione di vedere da vicino un aereo da bombardamento ed il suo pilota(36).
Sul versante opposto della vallata, verso il Marro, una donna terrorizzata non riesce a trattenere l'orina, che sparge per terra davanti a tutti(37).
Le signorine Fornaci, sempre impeccabili e raffinate, stanno sdraiate con i piedi a mollo nella Regghia, dietro al greppo che le ripara, troppo basso per contenerle(38).
Nelle periferie del paese, i soccorritori che erano impegnati negli scavi si sono acquattati nei momentanei ripari.
Alla Caminella si sono buttati dentro le buche lasciate dalle radici dei pioppi estirpati, dove di solito si seppelliscono le carcasse degli animali malati(39). Settimio (Burberi) ha il suo daffare per incapozzà' dentro la buca la testa del figlio Dolfo, che si alza indicando ogni aereo quando si butta in picchiata: "Eccolo ... eccolo!"(40).
Accanto a loro Carlo (Polidori), un altro adolescente, piagnucola: "Oddio, le mi' casine!". Nello stesso momento lo spostamento d'aria di una bomba lo fa cadere dentro il Tevere(41).
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Le schegge sibilano sopra la testa delle persone sdraiate a terra dietro gli argini del fiume(42). Diversa gente si è riversata sotto il greppo oltre la casa di fronte all'ospedale, verso la fornace. Arriva l'Emma (Roselletti) che stava caricando sul carretto con il cavallo l'ultima cassa di libri e controllava che questa non rimanesse a terra a favore di qualcosa cui tiene meno. È terrorizzata per aver già subito un bombardamento a Roma, nella zona dello scalo merci della Stazione Prenestina(43).
Dal mercato, in tanti sono fuggiti verso l'orto del Piobbico e si sono buttati dentro un fosso di raccolta dell'acqua piovana, sporcandosi tutti(44). Lungo il frutteto di Reggiani, al fosso di Lazzaro, la Clementina dice il rosario, mentre un'altra vecchia bestemmia perché mitragliano, anche(46).
Mario (Distrutti) ha assistito paralizzato alla scena dalla chiusa di Gamboni, abbracciato ad una pianta; all'incoscienza della mattina, l'esperienza appena vissuta ha fatto subentrare il terrore(47).
Dopo questa seconda impresa, i piloti appuntano nel diario di volo il risultato che è apparso ai loro occhi: asseriscono che la strada è stata centrata due volte ad ovest del ponte ed una volta ad est; che altri tre colpi sono caduti appena a nord rispetto al ponte, sul pietriccio; tutti gli altri non hanno colpito il ponte stradale, ma l'hanno avvolto di fumo e polvere senza infliggere danni.
In realtà anche stavolta gli ordigni hanno mancato l'obiettivo: solo la prima coppia di bombe ha sfiorato il bersaglio ed un'altra ha danneggiato la strada nazionale. 1 colpi successivi si sono allontanati sempre di più, a causa della nube di fumo, come la mattina. Anche quest'incursione è fallita. Si torna alla base senza crediti.
Quando gli aerei sorvolano lo spaccio di Ulderico a Montecorona, al passaggio a livello in fondo al rettilineo, nella casa di Pierini è uno strazio. Hanno perso le speranze. La Teresa, la nuova mamma di Peppino, sta confezionando il vestitino per seppellire il figlio che non è tornato dalla barbieria di Galeno(48).
Lassù, nelle carlinghe, non possono vedere né sentire niente.
Durante il ritorno al campo base, si consolano mitragliando un autocarro, che è distrutto dal fuoco, ed un locomotore elettrico: è il contentino regalato alla stazione di Pierantonio(49).
Visibilità: cattiva. Nessuna contraerea sopra l'obiettivo.
Atterraggio: ore 17.40.
Tempo totale di volo: 31.00 ore.
1) Don Luigi Cozzari, lettera per il 1° anniversario (1945).
2) Natale Lisetti.
3) Adolfo Burberi, Bruno Burberi.
4) PRO, London, Operation Record Book, Detail of work carried out, S.A.A.F., 239° stormo aereo "Wing Desert Air Force", 5º squadrone aereo.
5) Fabrizio Boldrini, Bruno Burberi.
6) Alvaro Tacchini (curatore), Venanzio Gabriotti - Diario, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1998, p. 192.
7) Franco Anastasi.
8) Fabrizio Boldrini, Bruno Burberi.
9) Betto Guardabassi.
10) Franco Anastasi.
11) Giuseppe Feligioni.
12) Mario Simonucci.
13) Fausta Olimpia Pieroni.
14) Loredana Trentini.
15) Benito Broncolo.
16) Angelo Santucci.
17) Franco Anastasi.
18) Willemo Ramaccioni, testimonianza orale raccolta dal figlio Carlo - V elementare - 1985.
19) PRO, London, Operation Record Book, Detail of work carried out, S.A.A.F., 239° stormo aereo "Wing Desert Air Force", 5° squadrone aereo.
20) Lidia Corradi.
21) Luigi Gambucci.
22) Renato Silvestrelli.
23) Ruggero Polidori.
24) Bruno Burberi.
25) Velia Nanni.
26) Luigi Gambucci.
27) Franco Anastasi, Luigi Gambucci.
28) Margherita Tosti.
29) Domenico Mariotti.
30) Luigi Gambucci.
31) Betto Guardabassi.
32) Eva Burocchi, intervista raccolta dal nipote Leonardo Tosti il 25 aprile 1994.
33) Bruno Porrozzi, Zlmbertide nelle immagini, Associazione Pro Loco Umbertide, 1977, p. 94.
34) Giorgio Bruni.
35) Franco Anastasi, Fabrizio Boldrini.
36) Willemo Ramaccioni, testimonianza orale raccolta dal figlio Carlo - V elementare – 1985.
37) Natale Lisetti.
38) Guerriero Gagliardini.
39) Fabrizio Boldrini.
40) Bruno Burberi.
41) Adolfo Burberi.
42) Giovanna Nanni.
43) Emma Roselletti. Tratto da: Simona Bellucci ed Edda Sonaglia (curatrici), "Gruppo donne 8 marzo" di Umbertide; videocassetta.
44) Domenico Manuali.
45) PRO: Public Record Office, London, Operation Record Book, Detail of work carried out, S.A.A.F., 239° stormo aereo "Wing Desert Air Force", 5° squadrone aereo.
Tratto da: Mario Tosti (curatore), Belli lavori!, Comune di Umbertide, 1995, p. 50.
46) Assunta Baruffi.
47) Mario Distrutti.
48) Fausta Olimpia Pieroni.
49) Archivio della Ferrovia Centrale Umbra.
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Volontà di risorgere
È passata solo qualche settimana dal disastro che già la natura - spinta dall'istinto di riproduzione della specie - ha cominciato a reagire. Forse non ha sentimenti: non si è accorta di nulla. Oppure ha già dimenticato quegli strani tuoni a ciel sereno. Oppure ha un'anima: vuole incitare gli uomini a rialzare la testa.
Le rondini di nuovo stridono, nelle loro garrule picchiate a caccia d'insetti fra le rovine. Nuovi semi hanno attecchito, riuscendo a bucare il tappeto di polvere: negli orti l'erbaccia sta allargando chiazze di verde. Perfino tra i detriti dell'apocalisse lo stelo di qualche papavero spande petali vividi di rosso. La natura sembra preannunciare il miracolo della resurrezione del paese, sfidando la malvagità ed incoraggiando alla speranza.
Quindicesima stazione
Gesù risorge dal sepolcro
Anche sul dolore degli uomini sta insinuandosi la volontà di reagire: la tragedia collettiva tempera i drammi individuali; il dolore del prossimo contiene e trattiene la disperazione propria, lenendola. Dagli spalti delle colline tutt'intorno al paese, dove siamo stati accolti, custoditi, curati, protetti(2), aspettiamo trepidanti che i soldati alleati portino pace e libertà. Non abbiamo tempo di accorgerci del paradosso che gli attesi liberatori vestiranno le stesse divise e sventoleranno le stesse bandiere dei dodici apostoli, che hanno seminato la morte lungo il calvario di San Giovanni. "Siamo costretti a desiderare l'arrivo di un nemico per cacciare un altro nemico più feroce ... Povera Italia! [Venanzio Gabriotti]"(3).
L'ansia di tornare a casa, la speranza di ricominciare ci fa sentire dentro di noi una forza straordinaria, inspiegabile, incredibile. La vita dopo la morte sfiorata, è vita nuova.
Abbiamo la sensazione che il martirio dei nostri morti non sia stato inutile: è stato il passaggio tremendo verso una nuova redenzione dall'ignavia di aver assistito passivamente al degrado dei valori fondanti della civiltà. Tutti gli uomini si sono purificati - in una catarsi globale - su una nuova Croce; su milioni di croci.
Gesù è morto un'altra volta con i nostri morti, per salvarci e per risorgere, insieme all'umanità.
Un mondo migliore
La vita rinascerà: lenirà i dolori, rimarginerà le ferite.
Paolino, il ferroviere, riuscirà a portare fiori, insieme a nuovi figli, sulla bara che contiene tutta la sua famiglia; così come Peppe de Moscióne (Bernacchi), il suo vecchio dirimpettaio del vicolo di San Giovanni.
Pompeo (Selleri) avrà la forza di riesumare il babbo calzolaio dal cimitero di Castello, dove tante volte, dal collegio tifernate, era andato a trovarlo per onorarne la memoria e trarne coraggio. Ne rivedrà le ossa, con l'anello d'argento al dito - quello d'oro l'aveva donato alla Patria - e con una gamba spezzata(4). Metterà uno accanto all'altro i resti dei suoi genitori ad Umbertide. Si rassegnerà ad immaginare vicini a loro anche i corpi dei fratellini che cercherà invano in tutti i camposanti(5): nessuno ne troverà più alcuna traccia(6), come se si fossero sublimati.
La mamma di Luciano (Bebi) ritroverà una mesta serenità, nella veste eternamente nera di lutto. Tutti insieme - noi, i tedeschi, gli alleati angloamericani - dovremo avere il coraggio di chiedere perdono, per gli atti di barbarie che ciascuno ha sulla coscienza ed il dovere di perdonare, come individui e come Stati.
Dalla tragedia nascerà un mondo migliore.
Un mondo imperfetto
Lo sappiamo che sarà un mondo imperfetto.
Gli eroi come Amleto, Luciano, la Linda, la Maria, Fausto e tutti gli altri che sono morti per amore dei loro cari, saranno dimenticati. Il maresciallo rischierà di essere epurato, nonostante il suo comportamento esemplare, in difficile equilibrio fra gli obblighi della gerarchia ed i doveri della morale. Gli sciacalli si arricchiranno con quello che hanno arraffato fra le rovine mentre gli altri piangevano 0 aiutavano i più sfortunati. Acquisiranno meriti gli opportunisti più acrobati, a scapito di chi ha davvero alzato la testa contro il male.
Anche quando fosse chiaro che la malvagità del singolo abbia superato i limiti delle regole della guerra, sarà facile conseguire l'impunità dietro l'alibi della catena di comando, dell'obbedienza al superiore, del rischio della vita in caso di disobbedienza: legittima autotutela. Ci saranno enormi difficoltà d'inchiesta nel risalire alle colpe individuali. Nella barbarie, con la fine della ragione, la responsabilità soggettiva sfuma nella spirale dell'odio, della vendetta, del terrore, dell'istinto di sopravvivenza da cui ogni individuo è risucchiato. "In guerra tutto è possibile(7).
Ma la guerra no!
Non ci sarà più guerra! Questa sarà l'ultima! Siamo convinti che il sacrificio dei morti e dei vivi sarà per sempre garanzia di pace duratura, eterna: non è possibile che la tragedia vissuta non abbia insegnato tutto all'umanità! Per sempre!
Ormai noi siamo vaccinati: contro la dittatura e contro la guerra. Non abbiamo imparato la lezione dai libri di storia che non siamo in condizioni di leggere e che potremmo facilmente dimenticare. Questa tragedia l'abbiamo vissuta(8)! I martiri del calvario di San Giovanni vivono oltre la vita, dentro le nostre teste: la testimonianza del loro sacrificio è stata impressa nei cromosomi sociali della nostra comunità, non solo come ricordo ma come insegnamento.
Siamo stati testimoni che non esiste una separazione manichea fra popoli del bene e popoli del male; ma che esistono parti buone e perverse, secondo la qualità degli obiettivi che perseguono. All'interno di ogni parte, l'individuo può mantenere l'autonomia di esprimere nel comportamento personale la propria natura, generosa o malvagia, nei limiti consentiti dai vincoli ambientali che la guerra ingigantisce. Abbiamo sperimentato che non esistono colpe collettive.
Stavolta l'abbiamo provato sulla nostra pelle che la guerra è un abominio: non solo perché tortura ed uccide, oltre ogni limite immaginabile di perversione; ma soprattutto perché, con la fine dello stato di diritto, svuota l'uomo - ogni uomo, da qualsiasi parte si trovi schierato - della sua facoltà di giudicare ed operare liberamente, secondo la propria volontà, natura, cultura.
La guerra castra l'uomo della capacità d'arbitrio che lo distingue dagli animali. L'uomo diventa animale.
Gli uomini diventano branchi di animali. Gli stati diventano barbari.
Il primo colpo d'arma genera un vuoto nelle categorie della ragione, del diritto, dell'etica, nel quale gli uomini di buona volontà perdono possibilità d'azione e di proposta: non possono parlare una lingua che non conoscono, usare gli strumenti che vogliono combattere. Sarebbe una battaglia ad armi impari. Debbono aspettare la fine della guerra per ricominciare, con il ripristino dello stato di diritto, l'opera di pacificatori.
Sono questi gli effetti più sconvolgenti dello stato di guerra.
L'ultima guerra utile
Questa, che ancora continua a seminare tragedie lungo il cammino di sangue verso Berlino, sarà l'ultima guerra - gli aggettivi riescono a malapena ad uscire dalle nostre bocche - giusta ed utile.
È davvero duro ammetterlo per noi che ogni giorno ci avviciniamo ai cumuli di terra ancora freschi dove riposano i nostri morti; eppure, forse, questa è la prima volta nella storia dell'uomo che la violenza è servita a qualcosa di buono. Questo conflitto ha sconfitto il progetto abominevole del nazismo, con le sue nefandezze diaboliche. Ha dimostrato - ed insegnato - che la spaventosa potenza distruttiva delle armi moderne ha dilatato fino alle città ed agli inermi i campi di battaglia, finora essenzialmente riservati agli addetti ai lavori, pur sempre uomini sventurati. Da oggi le guerre non sono più competizioni terribili fra soldati, ma strumenti tremendi di distruzione dei popoli.
Ora mezzo mondo lo sa, per averlo vissuto sulla propria carne ed anima: la gente comune non avrà più alibi per disinteressarsi né i capi avranno strumenti di plagio verso popolazioni inconsapevoli. Questo sarà l'ultimo conflitto: sulle tombe dei nostri morti si fonderà una nuova civiltà, basata sulla libertà, sulla democrazia che, unite alla consapevolezza, saranno garanzia di pace indefinita.
Dalle spade si costruiranno vomeri e dalle lance roncole(9).
La pace non è gratuita
Non sarà pace gratuita.
Si dovrà evitare il rischio che l'altra metà del mondo, domani ignara come noi ieri, ripeta i nostri stessi errori. Dovremo aiutarla a lottare contro l'ignoranza e la povertà, affinché possa capire. Prima ancora, dovremo noi capire che il nostro aiuto non risponde solo al dovere di solidarietà ma anche all'egoismo di tutelare la nostra stessa pace: l’indifferenza verso focolai lontani sarà pagata con maggior virulenza quando questi divamperanno su di noi. Se la cooperazione non sostituirà lo sfruttamento, i popoli emarginati - quando acquisiranno consapevolezza e scopriranno soprusi secolari - cercheranno giustizia con le armi improprie a cui sono stati addestrati: la ferocia, la crudeltà, l'odio, il fanatismo.
I pericoli
II primo pericolo, più subdolo, per il mantenimento della pace sta dentro le nostre teste. La storia c'insegna che la memoria degli errori passati è destinata a svanire con il tempo e con le generazioni. Man mano che le ferite - come è naturale - si rimargineranno ed i dolori si leniranno, anche nei sopravvissuti sbiadirà il ricordo dei singoli fatti. Ancor più la memoria della tragedia svanirà nelle menti di chi avrà potuto solo immaginarla da rare immagini in bianco e nero o da racconti che saranno percepiti come irreali, impossibili: fiabe tristi propinate da vecchi rincoglioniti. È impensabile che le generazioni del terzo millennio si commuovano di fronte a storie trapassate. così come noi non versiamo più lacrime per Cesare Battisti o i fratelli Bandiera.
Il nostro dovere
Spetta a noi - solo a noi - agire, subito, per prevenire il ripetersi del male.
«Alle origini della civiltà, nessuno si era posto il problema se una guerra fosse giusta o legittima: era semplicemente uno strumento della prepotenza dei forti, che non dovevano giustificarsi con nessuno. Poi, con il medioevo, sono sorte teorie sulla guerra giusta, legandola al perseguimento di scopi più o meno nobili. Dopo la conquista spagnola dell'America, si è introdotta una nuova, moderna legittimazione della guerra, con l'intento di giustificare il dominio sugli Indios e sul loro mondo: la guerra è il modo con cui il re, cioè lo stato sovrano, si rende giustizia. E siccome lo stato sovrano è tale nella misura in cui è sufficiente a se stesso e non può rivolgersi ad una autorità terza per aver giustizia, se viene violato un proprio diritto si fa giustizia con la guerra, perché non riconosce nessun'altra autorità sopra di sé. La guerra è lo strumento di giustizia del re; è una forma di giurisdizione. La guerra, come espressione della sovranità e della figura dello Stato moderno, è al centro del sistema delle relazioni internazionali: è un istituto legittimo e, anzi, ordinario.
Spetta a noi scardinare il concetto della sovranità assoluta: nessuno Stato può ritenersi autosufficiente. II compito di perseguire reati fra Stati, di rivendicare la giustizia, di assicurare la pace e la sicurezza appartiene alla Comunità internazionale, ad un terzo superiore che è la comunità dei popoli»(10).
Forti della libertà e della democrazia per la prima volta assaporate, dovremo subito costruire strumenti sovranazionali in grado di governare i conflitti fra i popoli in nome dell'intera umanità, evitando di confondere la giustizia con la vendetta, il diritto con la forza. Abbiamo il dovere di mettere in condizione i nostri figli di seguire un binario obbligato, naturale, definitivo, scontato. Apodittico: come il sole, l'aria, l' universo.
Se falliremo nel lasciare quest'eredità, li condanneremo a rivivere altre tragedie - sulla loro pelle - per capire quello che noi abbiamo subìto ed imparato. Avremo tradito il nostro principale dovere di padri, lasciandoli nudi.
Il dovere dei figli
Dovere dei figli sarà ricordare - senza commozione - la nostra storia, che è premessa della loro storia; non cedere all'istinto di minimizzare il pericolo di nuove guerre, di attentati alla libertà ed alla democrazia; difendere e rafforzare gli strumenti - che noi avremo costruito - per la prevenzione e la pacifica composizione dei conflitti fra i popoli.
Le future generazioni dovranno distillare e coltivare la morale della nostra testimonianza: la guerra c'è stata, terribile, anche in questa valle; le bombe, vere, sono cadute sulle loro case, hanno dilaniato i loro parenti; la comunità cui appartengono non ha privilegi d'immunità alla violenza. Quella appena vissuta deve essere l'ultima guerra; non potranno esserci più guerre utili, perché dovranno essere prevenute, in ogni caso; ogni malaugurata futura dichiarazione di guerra sarà il segno della più tragica sconfitta di un mondo di smemorati.
I nostri figli dovranno considerare come propri i problemi del resto del mondo, evitando il rischio che i1 benessere da noi conquistato diventi, per le loro coscienze, un anestetico alla solidarietà; mentre apparirà come un privilegio intollerabile agli occhi degli emarginati.
Per svegliarsi dal torpore dell'opulenza e dall'assuefazione alla violenza, non dovranno aspettare che succeda l'inimmaginabile: che diventino vittime della barbarie anche i potenti e non solo altri umili calzolai, scopini, muratori, come quelli del Borgo di San Giovanni; che crollino i simboli del potere e non povere casupole; che allo spettacolo atroce assista, per qualche marchingegno, mezzo mondo e non solo gli zappatori di Montone o i pastori della Valcinella.
Se, anche in questa tragica eventualità, i nostri figli sobbalzeranno sdegnati sulle poltrone, come se scoprissero solo in quel momento l'oltraggio della violenza, senza rendersi conto di assistere all'ultimo episodio di una serie continua, in ogni angolo del mondo; se risponderanno pervicacemente alla violenza con la cieca violenza anziché con il dialogo, sentendosi gli sceriffi buoni del pianeta: allora avranno la responsabilità di aver vanificato il sacrificio dei morti di San Giovanni e di quelli di tutte le altre guerre.
La speranza
Se questa fosse la prospettiva, non varrebbe
nemmeno la pena di rimboccarci le maniche
per ricominciare, nella speranza che ci sia
concesso di veder sorgere il mondo nuovo(11).
Siamo certi che l'uomo non potrà essere così
stupido da non aver imparato tutto, per sempre!
... Ora il mio cuore batte forte,
prendo a pugni il cuscino,
poi una mano vicina cerca il mio viso
e mi accarezza dolcemente.
Forse riuscirò a dormire,
ora sento la pace,
è bella la pace... (12)
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2) Raffaele Mancini, ... A mezzanotte abbiamo scommesso sulla levata del sole..., Edizioni Nuova Prhomos, Città di Castello, 1993.
3) Alvaro Tacchini (curatore), Venanzio Gabriotti - Diario, Istituto di Storia Politica e Sociale Venanzio Gabriotti, Petruzzi Editore, Città di Castello, 1998, p. 94.
4) Pompeo Selleri.
5) Linda Micucci.
6) Archivio Comunale Umbertide, 30 settembre 1944.
7) Albert Kesselring, Memorie di guerra, Garzanti, 1954, p. 263.
8) Francesco Martinelli.
9) Profeta Isacco, Cap. II.
10) Raniero La Valle, "La fine della modernità", Il ritorno della guerra, Edizioni "1'altrapagina", Città di Castello, 2002.
11) Bruno Orsini, dattiloscritto del 1990.
12) Giuseppe Avorio, È bella la pace, "Concorso nazionale XXV aprile", Comune di Umbertide, Centro socio-culturale S.Francesco, 1994.
13) Mario Tosti (curatore), Belli lavori!, Comune di Umbertide, 1995, p. 37.