storia e memoria
Monumenti, Musei e Luoghi sacri
L’abbazia di S. Salvatore di Monte Acuto, poi Montecorona
a cura di Francesco Deplanu
(giugno 2002)
L’abbazia di S. Salvatore di Monte Acuto, poi Montecorona, a 4 km da Umbertide, è stato un potente ente monastico, non eremitico di fatto, ma ben radicato nel territorio ed interlocutore sul piano economico e giurisdizionale del potere sia civile che ecclesiastico.
Nonostante le tradizionali attribuzioni della sua fondazione a San Romualdo, questa fondazione non sembra essere una verità storica; sebbene nel volgere di poco tempo la sua “gestione” fu affidata proprio alla corrente benedettina che si rifaceva a San Romualdo. La “gestione” fu assegnata poi ai cistercensi nel XIII sec.; ritornò, sostanzialmente, ai camaldolesi nel XVI sec. Da allora la sua storia si lega a quella dell’eremo sovrastante.
In questo articolo ci soffermeremo soprattutto sulla storia possibile relativa all’origine dell’Abbazia nell’XI sec. e fino al XVI sec.. Soprattutto ci soffermeremo sulla sua fondazione che, nonostante le “assegnazioni” erudite del XVII secolo, non è né certa, né conosciuta.
Nel proseguo ci soffermeremo sulla descrizione del bellissimo ciborio dell’VIII secolo riportato nell’Abbazia da San Giuliano delle Pignatte, perché ritenuto questo il suo luogo originario. La sua esistenza apre scenari, ancora non indagati archeologicamente, della presenza altomedievale di una preesistente struttura religiosa nel medesimo sito dell’abbazia.
Concluderemo con un approfondimento sui materiali di riutilizzo presenti nella cripta dell’Abbazia.
Da chi fu fondata realmente l’Abbazia di San Salvatore di Monteacuto ?
In un convegno storico del 2009 sull’Abbazia, la sua storia e le sue caratteristiche, (“L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE DI MONTE ACUTO - MONTECORONA NEI SECOLI XI-XVIII “), si è ripercorso il problema della fondazione, presentando le poche tracce a disposizione, ed evidenziando i punti fermi rintracciabili dopo la distruzione dell’archivio dell’Abbazia nella guerra tra gli Oddi e i Baglioni a metà del 1400.
Il prof. D’Acunto, durante le giornate di studio del giugno 2009 dedicate all’Abbazia, sostenne la possibilità che l’edificio originario fosse ancora più antico rispetto alle indicazioni di inizio millennio. Forse una struttura preesistente, ipotesi da indagare con metodi archeologici, poteva essere nata dal ruolo di élite nobiliari altomedievale locali. Ipotesi che potrebbe spiegare la presenza in zona del ciborio “carolingio” dell’VIII secolo di San Giuliano delle Pignatte.
La tradizione invece ha riportato il 1008 come data della fondazione e la persona di Romualdo come fondatore. Felice Ciatti nelle “Delle memorie annali, et istoriche delle cose di Perugia, Parte quarta, cioè Perugia Pontificia”, del 1638, sostenne la fondazione da parte di San Romualdo. Fondazione che non trova conferma, però, nell’insieme delle fonti che fanno riferimento diretto a San Romualdo. Ludovico Iacobilli, invece, nel suo Vite de’ santi e beati dell’Umbria, edito fra il 1647 ed il 1661, affermò per primo come l’abbazia di S. Salvatore fosse stata fondata nel 1008, ascrivendola all’Ordine cistercense… data probabile di esistenza ma non sappiamo da quali fonti abbia preso tale indicazione. Nei secoli successivi comunque furono i Camaldolesi a gestire l’ente.
Sicuramente, anche se non siamo certi che il riferimento sia all’attuale costruzione, visto che venne consacrata solo nel 1056, abbiamo notizia del ruolo di San Salvatore di Monte Acuto nel territorio già nel 1036. Infatti in questa data il papato assegnò l’esenzione a S. Salvatore di Monte Acuto dalla giurisdizione dell’ordinario diocesano, ovvero dal potere delle Diocesi che la circondavano (Perugia, Città di Castello e Gubbio). Segno questo di importanza nascente dell’ente. Queste notizie ci vengono fornite da Stefania Zucchini che si è occupata della questione in “Le fondazioni monastiche umbre fra X e XII secolo e S. Salvatore di Monte Acuto”.
Giovanna Casagrande in “L’abbazia di S. Salvatore di Monte Acuto nel periodo cistercense attraverso il Protocollo del notaio Achille di Bernardino di Montone (sec. XIII)”, sottolinea, invece, come sotto l’Imperatore Enrico VI, nel 1186, riusciamo ad individuare indirettamente l’indicazione dell’importanza già acquisita dal monastero, che la sua probabile posizione filo-imperiale nello scontro tra Impero e Papato. Infatti Enrico VI riconosce al comune di Perugia la giurisdizione sul contado, ma esclude da tale giurisdizione alcuni signori laici… e proprio il nostro monastero di S. Salvatore. Ciò troverebbe conferma ulteriore nei diplomi di Ottone IV (1210) e di Federico II (1220).
Per quanto riguarda la scomoda posizione filo-imperiale dell’ente, la prof.ssa Casagrande fa presente come Gregorio IX trovò una “soluzione” dopo la pace di S. Germano del 1230, nella stasi scontro tra papato ed Impero. Infatti un’abbazia di parte imperiale in territorio perugino, ma prossima al confine con Città di Castello, poteva ben essere un elemento di disturbo. “Così il 1234 segna di fatto una svolta… Il 26 giugno 1234 Gregorio IX scrive all’abate e al convento di Cîteaux affinché il monastero di S. Salvatore di Monte Acuto non rimanga «in spiritualibus et temporalibus desolatum» e intende «ibidem Cistercensem fundare ordinem» e ordina che «immediate subiaceat reverentia filiali» all’abbazia di Cîteaux.”. In questa maniera il monastero passò ai Cistercensi.
Successivamente, con il papa Eugenio IV, nel 1434, la gestione dell’ente cambiò di nuovo e tornò ai camaldolesi, ma il “passaggio di consegne” fu tutt’altro che immediato. Questo fu un periodo tormentato, si pensi ai conflitti nobiliari del perugino che comportarono la distruzione dei documenti dell’archivio dell’Abbazia quando gli Oddi, stanziati ad Umbertide, furono attaccati dai Baglioni. Le forze dei Baglioni si riversarono, infatti, anche sull’Abbazia provocando la distruzione di beni e documenti, solo alcuni portati dagli Oddi in salvo nella Rocca di Spoleto.
Il canonico Galeazzo Gabrielli da Fano, infine, commendatario dell’abbazia, la donò nel 1524 con tutte le sue pertinenze alla compagnia di San Romualdo, compresa una piccola chiesetta dedicata a San Savino, poco distante dall’Abbazia. La compagnia, nel capitolo generale del 1525 e più esplicitamente in quello del 1530, che si tenne proprio nell’abbazia di San Salvatore, deliberò la costruzione di un eremo che doveva fungere da casa madre, seguendo il disegno dell’Eremo di Camaldoli, e si scelse contestualmente di erigerlo nei pressi dell’abbazia sul monte denominato “Montecorona”. Da questo momento viene utilizzata anche la dicitura “coronesi” per indicare i monaci dell’abbazia di San Salvatore e dell’eremo sovrastante. L’eremo e l’Abbazia furono così collegati da un lungo percorso chiamato “mattonata”, largo anche due metri costruita con blocchi di arenaria sistemati a secco ancora oggi percorribile. Dopo la fondazione dell’Eremo, esso è ricordato come Eremo di Monte Corona, denominazione poi estesa anche all’abbazia, che diviene San Salvatore di Monte Corona.
L’abbazia, oltre alle pertinenze non ad uso religioso è strutturata in una chiesa superiore, con una grande navata in entrata e il Presbiterio rialzato sopra la cripta, diviso in tre navate con abside. Seminterrata insiste una cripta che può essere considerata essa stessa una chiesa inferiore con 5 navate e 3 absidi. Una torre campanaria che probabilmente in alcuni periodi, viste alcune feritorie, ebbe scopi diversi dall’attuale e momenti costruttivi diversi che la vedono passare da base circolare ad ottagonale.
La cripta:
La cripta seminterrata e del tipo “ad oratorium”, un vasto ed unico locale a 5 navate sebbene termini con 3 absidi, diviso in 30 campate voltate a crociera con decorazioni di gusto bizantino ravennate. Le volte a crociera sono sorrette da colonne di vario stile, materiale di riutilizzo dal I sec. a.C al IV sec. d.C, tranne una che è più tarda. Lungo i muri d’ambito gli archi delle crociere ricadono su semicolonne addossate a paraste, determinando un’arti- colazione delle pareti accentuata dalla presenza di rincassi ad arco, a loro volta forati da doppie nicchie.
Il materiale di spoglio, delle colonne e potrebbe provenire da un preesistente tempio pagano o paleocristiano. Per questo si sentirebbe la necessità di indagini archeologiche sul sito dell’attuale abbazia. Esternamente ad essa sono visibili delle lesene verticali.
La chiesa superiore e il Presbiterio
La parte della chiesa che insiste sopra la cripta venne costruita per prima e consacrata da San Giovanni da Lodi, vescovo di Gubbio; ad essa fu aggiunta nel XIII e nel XIV secolo la navata centrale; così la parte più antica svolse la funzione di presbiterio a 3 navate scandite da 4 archi a tutto sesto. Ogni navata si conclude con un abside. Un arco divide la parte più antica da quella più recente.
Al centro della grande navata dell’attuale Presbiterio, era presente un altare, la cui mensa è ora appoggiata alla parete della navata sinistra. Nel 1959, nell’esecuzione dei lavori di sistemazione e ripristino, al posto del grande altare fu sistemato un Ciborio dell’VIII secolo, presente nella vicina Chiesa di San Giuliano delle Pignatte. In seguito descriveremo il Ciborio e le tecniche di descrizioni che sono state indagate nel convegno del 2009 sull’Abbazia. Un coro ligneo del XVI secolo si trova nell’abside che presenta un arco ogivale. Qua abbiamo dipinti di autori ignoti, proprio sopra il coro ligneo: la TRASFIGURAZIONE - CRISTO IN GLORIA TRA I PROFETI ED APOSTOLI, sec. XVII, un olio su tela della dimensioni di cm 340 x 190; la MADONNA DELLE GRAZIE, del 1549, olio su tela di cm 174 x 167; l’ASCENSIONE, del 1602, olio su tela di cm 168 x 104; la FLAGELLAZIONE, sec. XVI, olio su tela di cm. 102 x 75 (che non appare nelle immagini del video perché coperta dal Ciborio) ; S. Andrea sec XVIII, tela a tempera di cm, 160 x 76; la MADONNA DEL ROSARIO E SAN DOMENICO, sec. XVII, olio su tela, cm 236 x 100.
La parte più recente della chiesa superiore è ad una sola grande navata con due volte a vela e con ai lati due cappelle ornate da altari barocchi.
La torre campanaria
La torre campanaria che probabilmente ebbe usi diversi nel corso dei secoli ha una particolare struttura diversificata in tre momenti: la base si presenta a forma circolare, forse di epoca longobarda, poi si presenta con 11 lati nel secolo XIVesimo, endecagonale con merli che sono stati integrati, infine, nel proseguimento ottagonale che mostra ora il grande orologio e campane.
Fonti:
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Atti del Convegno (Abbazia di San Salvatore di Montecorona, 18-19 giugno 2009)
a cura di Nicolangelo D’Acunto e Mirko Santanicchia in Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CVIII (2011), fasc. I-II (pp. 165- 183). Sezione monografica: “L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE DI MONTE ACUTO - MONTECORONA NEI SECOLI XI-XVIII” - Storia e arte -
- Nicolangelo D’Acunto: “Le origini del monastero di S. Salvatore di Monte Acuto e la sua rete monastica "
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Maria Teresa Gigliozzi: “Dai Benedettini ai Cistercensi: l’architettura dell’abbazia di San Salvatore a Montecorona nell’Umbria romanica “
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Giovanna Casagrande : “L’abbazia di S. Salvatore di Monte Acuto nel periodo cistercense attraverso il Protocollo del notaio Achille di Bernardino di Montone (sec. XIII)”
- Stefania Zucchini : “Le fondazioni monastiche umbre fra X e XII secolo e S. Salvatore di Monte Acuto”
-Le indicazioni sui dipinti dell’abside della chiesa superiore provengono in loco del Gruppo Archeologico “Alto Tiber” con il patrocinio del Comune di Umbertide: “Iniziativa “adotta un opera d’arte del tuo territorio” con il contributo di aziende locali.
http://turismo.comune.perugia.it/poi/abbazia-di-san-salvatore-di-montecorona
https://www.iluoghidelsilenzio.it/abbazia-di-san-salvatore-di-montecorona/nggallery/page/1
Per la visione delle immagini del Convegno del 2009 si veda:
https://www.comune.umbertide.pg.it/it/page/l-abbazia-di-san-salvatore-di-montecorona
Abbazia di San Salvatore - interno della cripta
L'Abbazia di Montecorona durante la piena del Tevere del 2005. Cliccando qui potete per scaricare la foto in risoluzione originaria. Per uno studio dell'entità dell'alluvione nell'Umbria si può vedere qua il report dell' IRPI (Autorità di Bacino del fiume Tevere).
Il Monastero, L'Eremo di Montecorona visto da Montacuto presso la "Croce".
IL CIBORIO DELL’ABBAZIA DI MONTECORONA già di San Giuliano delle Pignatte
A cura di Francesco Deplanu, dalle giornate di studio del 2009 dedicate all’Abbazia e indicate in fondo
(agosto 2022)
Questo manufatto è uno dei pochissimi cibori altomedievali che sono giunti a noi integri. Il suo baldacchino è a pianta quadrata, ed è costituito da quattro lastre uguali per dimensioni, a due e due, poste su altrettanti sostegni con capitello monoblocco e copertura con coronamento a piramide ottagonale concluso da un pinnacolo.
Da dove proviene il Ciborio
Il Ciborio venne spostato (o spostato di nuovo) negli anni ’50 del secolo scorso da “San Giuliano delle Pignatte” all’interno del Presbiterio della chiesa superiore dell’Abbazia di S. Salvatore di Montecorona. Questa scelta si basa sulla sicura non adeguatezza della posizione del Ciborio nella piccola chiesa di San Giuliano delle pignatte, una foto degli anni ’50 lo mostra posizionato con un lato addossato alla parete in una chiara posizione che non rispetta la sua funzione. L’ipotesi prevalente è che si tratti di uno “smontaggio”, forse proprio dal luogo dove oggi sorge l’Abbazia che nei XIV (?) sec. subì un periodo di quasi abbandono. E’ probabile a questo punto che il manufatto venne spostato in quel periodo tenendo conto anche delle decorazioni della parete della piccola chiesetta.
Cominciamo con una “conclusione” prima di descrivere nei particolari questo tesoro dell’Abbazia di S. Salvatore, quella di Donatella Scortecci in “IL CIBORIO DELL’ABBAZIA DI MONTECORONA” nelle giornate studio del 2009: “le stimolanti riflessioni che ha proposto Nicolangelo D’Acunto su una possibile fondazione laica del monastero ad opera di élites nobiliari bene spiegherebbero la presenza di un manufatto di lusso, come il ciborio, un oggetto liturgico da esposizione, da ostentare. Forse un donativo del fondatore, un tesoro esposto come era pratica diffusa nell’altomedioevo da parte delle classi egemoni che attraverso quelli che sono stati definiti tesori terreni e tesori celesti si autorappresentavano ribadendo il proprio status alla comunità religiosa e laica, guadagnandosi, semmai, anche un posto in paradiso”.
Il Ciborio è un manufatto del periodo “carolingio”, realizzato nell’VIII sec. d. C.. Con questa identificazione la prof.ssa Scortecci ricorda come non è possibile per le realizzazioni scultoree del periodo catalogarle come “longobarde” o “bizantine”, o “barbariche”, perché si ha “l’evidenza di una varietà di linguaggi che concorrono alla definizione di un contesto unitario”. Per di più va considerato anche che si deve considerare la differenza tra committente e maestranze che realizzano poi i manufatti, con la loro provenienza etnica, sociale ed economica più complessa. Potremo, dunque, in sintesi, indicare la scultura come “altomedievale”.
Si tratta chiaramente di un arredo liturgico che possiamo definire “di lusso", e che è testimonianza di una committenza religiosa di alto prestigio, probabilmente anche economica.
Indicando la lastra frontale che guarda i fedeli come lastra “A”, si può vedere che è di un materiale diverso rispetto al resto del manufatto.
Anche per quanto riguarda il Ciborio di San Prospero di Perugia, sempre “altomedievale”, appare chiara la tendenza a standardizzare la produzione riservando alla sola lastra frontale, la decorazione più complessa e carica di simbolismi. Infatti le due facce laterali “B” e “D” e la posteriore, indicata con “C”, sono anche analoghe nei motivi decorativi, con il corpo delle lastre presenta la medesima treccia a tre capi con bottoni che accompagna l’archivolto, e la stessa palma dalle lunghe foglie sfrangiate che campisce gli spazi di risulta. Solo le cornici del margine superiore presentano tre varianti comunque del consueto motivo a girali.
Nella lastra frontale si può vedere un “cantharos” dove si refrigeriano due grandi pavoni. Il pavone, uccello immortale, che si abbevera al cantharos è una iconografia che muove da l’antichità fino a tutto l’alto medioevo. Il suo utilizzo così esteso non rende possibile, però, risalire a committente o maestranze specifiche. Sicuramente qua non si ritrovano le forme armoniche nella disposizione del disegno di quello del già citato Ciborio perugino; i volatili nel nostro ciborio sono più ingombranti e sembra prevalere una specie di “horrori vacui” con “volutine” a S, cerchietti con fiori quadrilobati e un breve intreccio di maglia, questo sopra la “treccia” che percorre l’arco.
Come è stato realizzato il Ciborio
La struttura del Ciborio poggia su quattro colonne che formano un quadrilatero con capitelli monolitiche in pietra arenaria. Colonne e capitelli che sostengono quattro lastre lapidee variamente scolpite.
Indicando la lastra frontale che guarda i fedeli come lastra “A”, si può vedere che è di un materiale diverso, pietra serena, di un colore blu-azzurra, come le colonne, rispetto alle laterali tutte invece di materiali diversi, sempre sedimentari, ovvero calcari micritici compatti, che possiamo indicare come tendenti ad un colore bianco.
Superiormente alle lastre frontali si eleva una piramide costituita da 11 lastre: otto lastre maggiori in pietra, di forma triangolare, oltre a tre più piccole utilizzate per chiudere i vuoti lasciati dal collocamento delle prime otto. Ciò è possibile notarlo solo dall’interno per via dell’intonaco “scialbo”, grigiastro, applicato in precedenti interventi di restauro. Sulla parte sommitale è collocato un pinnacolo che può sembrare una campana anche se, sempre per via dello “scialbo” presente, è difficile vedere bene.
Queste indicazioni ci vengono da Laura Zamperoni in “Materiali lapidei, tecnica esecutiva e stato di conservazione” presentato sempre durante le giornate del 2009 indicate nelle note. Questa distinzione è importante perché oltre al differente colore che può subito essere individuato, la natura lapidea differente ha comportato un diverso destino di conservazione: la pietra serena della facciata frontale si è rovinata in maniera maggiore rispetto alle parti “bianche” delle tre facciate “secondarie” (“B”, “C” e “D”) in calcare. Nel particolare la lastra “A” ha una granulometria abbastanza sottile e priva di impurità colorate di rilevante grandezza; le altre tre sono caratterizzate, invece, di alveoli di diametro estremamente ridotto ed omogeneo. Ciò che preoccupa, come detto prima, è la tenuta nel tempo dell’arenaria delle colonne e dei relativi capitelli. Arenaria (e pietra serena) che è esposta ad un fenomeno di erosione importante che la “polverizzano”. Erosione presente anche nella lastra frontale visibile ai fedeli ma fortunatamente in misura minore rispetto ai capitelli. Erosione che non riguarda le parti “bianche” in calcaree.
Queste considerazioni fanno dire a Zamperoni (… e a noi tutti) che “data anche l’eccezionalità del manufatto sarebbe auspicabile un intervento di restauro conservativo sia per migliorarne lo stato di alterazione e per bloccarne il degrado, sia per valorizzarne l’importanza storico-artistica…”.
Inoltre Zamperoni scrive, dopo aver studiano il manufatto nei particolari che si possono trarre “interessanti considerazioni sulla tecnica lavorativa degli scalpellini. Gli attrezzi e il lavoro degli artigiani sono caratterizzati da un forte conservatorismo che ha contribuito a mantenere pressoché inalterati, fino XIX secolo, metodi di lavoro e strumenti, con una certa reticenza all’introduzione di elementi innovativi. Com’è noto, gli strumenti per lavorare la pietra appartengono essenzialmente a due grandi classi: percussivi ed abrasivi. Nel primo gruppo si inseriscono i vari martelli e gli strumenti da taglio (scalpelli e simili), nel secondo le seghe, i trapani, le lime e tutte le polveri usate per la lucidatura. Gli strumenti percussivi modellano la pietra colpendola e frantumandola, quelli abrasivi sfregandola. La maggior parte delle sculture lapidee altomedievali e medievali furono realizzate col procedimento del taglio diretto, senza fare uso dei modelli in materiale duttile: il disegno veniva tracciato direttamente sui piani del blocco (frontali e laterali) per poi essere inciso.”. Questo le permette di sostenere che per la realizzazione sono stati utilizzati scalpelli a bordo piatto ed affilato. Nello specifico sembra essere stato utilizzato uno scalpello detto “unghietto”: sottile ma robusto che permetteva di giungere ad intagli fini ma in profondità; ma anche un " gruppo degli scalpelli a bordo piatto ed affilato (da 3 mm fino ad 8 mm) capace di lisciare la superficie producendo effetti di ombreggiature che dipendono essenzialmente dall’angolo con cui lo strumento è stato tenuto sulla pietra e dall’intensità con cui è stato colpito”. Inoltre venne utilizzato anche lo scalpello piatto per le realizzazioni a basso rilievo; infine individua una serie di “bocciardature” negli intradosso degli archi ma anche sui fusti delle colonne e i capitelli nelle parti non decorate, queste ultime probabilmente non coeve.
Lastra frontale del Ciborio delll'VIII secolo d.C.
Scolpire la pietra nel XIX e XX sec.
L’aver posto l’attenzione sulle modalità di realizzazione del Ciborio, dell’uso degli attrezzi utilizzati ha messo in evidenza il forte conservatorismo nelle maestranze degli scalpellini nel corso dei secoli. Questo ci permette di indicare una ipotesi di “continuità”, chiaramente solo spaziale allo stato delle conoscenze, sulle modalità di scolpire la pietra nelle zone sotto l’influenza dell’Abbazia di San Salvatore e dell’Eremo di Montecorona. Ovvero di ricordare, senza chiaramente la pretesa di stabilire un reale collegamento, come anche le maestranze dei secoli XIX-XX degli scalpellini di Niccone utilizzavano strumenti in parte simili: si pensi alla “bocciarda” che era diventata nel nostro dialetto la “bugiarda”. Aggiungiamo inoltre, più per andare incontro a qualche curiosità, delle notizie di molto successive sulle pietre che si potevano trovare ancora nel XIX secolo nella zona del ritrovamento del Ciborio e dell’Abbazia di San Salvatore. Nel testo di Bernardino Sperandio, “Delle pietre dell'Umbria da costruzione e ornamentali” viene riportato un documento tra gli “Inventari” intitolato “Stato delle Miniere, Sorgenti Minerali, Cave, Officine esistenti nel Comune di Fratta, provincia di Perugia, circondario di Perugia”, ASCU anno 1861. Questo inventario indica le “Cave e Torbiere” di Fratta (citato nel testo "Umbertide" anche se in realtà il suo nome non era stato ancora cambiato). Nel documento vengono riportate varie tipi di pietre, tra queste vengono citate le “Pietre arenarie forti o pietra servono per uso […]” (la "pietraforte" in toscana è una arenaria molto solida) e la loro presenza viene indicata oltre che nella Parrocchia di Romeggio, anche un sito nella “parrocchia di M. Migiano in proprietà di soppresso Eremo di Montecorona”. Per quanto riguarda le Cave e torbiere le “sostanze” indicate nel 1861 erano “marmo bianco”, “Marmo Rosso cupo o bianco”, “Marmo cenerino”, “Marmo Rosso venato bianco”, “Marmo bianco venato”, “Marmo nero”, “Cava di sabbia”, “Cava di Argilla”, “Cava di Pozzolana”, “Cava per Macine” oltre alle “Pietre arenarie forti”. La “cava per macine” si trovava presso la Parrocchia di San Giuliano, ovvero nella zona di San Giuliano delle Pignatte. Proprio la zona di Montecorona, lungo il torrente Nese vedeva caratterizzarsi per la presenza di “calcareniti”, ovvero “marmi”.
Fonti:
-Donatella Scortecci, “Il ciborio dell’abbazia di Montecorona”, con un contributo di Laura Zamperoni, “Il ciborio e il materiale scultoreo altomedievale. In “L’ABBAZIA DI SAN SALVATORE DI MONTE ACUTO - MONTECORONA NEI SECOLI XI-XVIII” -
Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CVIII (2011), fasc. I-II (pp. 165- 183).
Atti del Convegno (Abbazia di San Salvatore di Montecorona, 18-19 giugno 2009)
a cura di Nicolangelo D’Acunto e Mirko Santanicchia
- Bernardino Sperandio, Delle pietre dell'Umbria da costruzione e ornamentali., Perugia, Quattroemme, 2004 (p. 265, pp 288-289).
Foto:
-Immagine del Ciborio posizionato a San Giuliano delle Pignatte di Mons. Renzo Piccioni Tignai edito in “Bollettino della Deputazione di storia patria per l’Umbria, CVIII (2011), fasc. I-II (pp. 165- 183).”
- Altre immagini e video: Francesco Deplanu.
La Chiesa della Madonna della Costa e la Statua lignea
A cura di Francesco Deplanu
(agosto 2022)
La Chiesa della Madonna della Costa di Monte Acuto
Questa piccola chiesa sulle pendici di Monte Acuto, detta tra gli altri nomi nel tempo “S. Giovanni della Costa”, “Santa Maria della Costa” e poi conosciuta come “Madonna della Costa”, si trova sulla costa sud-ovest di Monte Acuto. Questa chiesa oggi è cadente ma fino a 70 anni fa era luogo di culto popolare ancora vissuto e molto sentito. Anticamente era alle dipendenze dell’Abbazia di San Salvatore di Montecorona, poi passò sotto quella delle diocesi perugine. La chiesa ha pianta rettangolare, con porta di ingresso sotto il campanile e, opposta ad essa è ancora visibile una porticina a destra dell'altare collegata ad una piccola sacrestia. L'edificio mostra le sue diverse fasi costruttive con una parte inferiore in muratura in pietra ben lavorata cessante su di un piano sottolineato da una cornice sopra la porta di ingresso. Sopra questa cornice, nella facciata maggiore a capanna, è stato costruito il campanile a vela. Sull’ingresso una piccola nicchia sopra l'architrave recava una iscrizione dedicatoria ora illeggibile. La facciata sinistra della chiesetta è in parte incassato verso Monteacuto. La facciata opposta, a destra, porta la traccia di una feritoia e “guarda” un panoramiche si apre tra valli ed alte colline. Le murature aggiunte sono in pietra non lavorata ed il tutto era stato intonacato sia all’interno che all’esterno. Le coperture sembrano essere state a capriate e sulla parete di fondo è visibile ancora una nicchia dove era alloggiata la statua della Madonna con il bambino. Diverse foto del passato recente mostrano segni che sembrano quelle di affreschi nella parte vicino alla zona dell’altare.
Immagine 1: Chiesa della Madonna della Costa. Campanile a vela visibile tra la boscaglia; facciata principale (foto di Fabio Mariotti, scattata circa nel 2000).
La Storia
Una struttura per il culto è presente fin dal 1145: è documentata la sua presenza nella Bolla di Eugenio III del 1145 vche ede tra i beni confermati all’Abbazia di San Salvatore la “Cellam Sancti Joannis in Monte Acuto, cum Ecclesiis, & pertinenti suiis”. Nel primo elenco delle comunità perugine del 1258 è indicata come “Villa S. Iohannis de Costa”. Dal 1361 la parrocchia “eccelse S. Iohannis de Costa Montis Acuti” possiede un catasto di beni propri e nel 1367 si ha notizia della dotazione di una campana. Nel 1564, sotto il Vescovo Della Corgna, alla parrocchia di San Giovanni, denomina in questo periodo sembra anche Santa Maria, fu unita la chiesa diroccata di Santa Lucia, che sorgeva presso il castello della Fratticiola di Montacuto. Altre notizie più recenti ci attestano della diminuita importanza del luogo, perlomeno dal punto di vista dell’organizzazione parrocchiale, tanto che nel 1821 la parrocchia di San Giovanni/Santa Maria fu unita provvisoriamente alle parrocchie di San Simone in Monestevole, San Bartolomeo in San Bartolomeo dei Fossi e San Michele Arcangelo in Racchiusole. La chiesa, in tempi più recenti, venne chiamata della “Madonna della Costa” di Monte Acuto, per via della statua lignea medievale della Madonna con il bambino che lì si trovava.
L’insediamento in età alto medievale attorno a questa zona vide una quasi costante presenza di una quarantina di “fuochi” (come media gli storici riferiscono che un fuoco era composto da 4 persone. n.d.r.): nel 278 sono riportati 42 “fuochi”, nel 1882 sono 32, nel 1410 supponiamo circa 38 (perché si contarono 152 “bocche”, cioè persone); ma già tra il 1438 ed il 1501 si contavano un numero minore di popolazione dimorante, tra i 20 e i 29 fuochi. Sicuramente l’insediamento sparso dei secoli a venire mantenne parte della popolazione nelle zone nelle vicinanze della chiesa, vista la necessitata di un popolamento connesso al sistema produttivo. Quasi in concomitanza con la fine della mezzadria, che possiamo datare ad inizio anni’60, nel 1954, crollò il tetto della chiesetta che fu dichiarata inagibile. Fino a quel momento, la domenica dopo l’Ascensione, veniva festeggiata in loco la festa della “Madonna della Costa”, che vedeva anche la presenza della Banda di Preggio; notizia attestata almeno fino al 1947 a causa di uno scontro politico che in quell’anno ebbe un certo risalto.
La statua della Madonna con il bambino
Che sappiamo al momento della storia della “madonna con il bambino” nella chiesetta della Costa di Monte Acuto ? E’ una statua lignea di un autore ignoto del romanico umbro del secolo XII (datata 1150 - 1199), alta cm 132 e dipinta in maniera policroma. E’ difficile pensare che nel corso di 8 secoli dalla sua realizzazione datata già dalla seconda metà del 1100, cambiando la tipologia di popolamento e di conseguenza il valore e la funzione dei luoghi di culto, la locazione della statua sia stata la stessa. Anche le indicazioni delle fonti storiche indicano un “peregrinare” della statua, “peregrinare” influenzato anche dalla dottrina della Chiesa dopo il Concilio di Trento. A questo proposito si può affermare che la statua lignea della madonna con bambino non fosse posizionata fin dalla sua realizzazione nell’attuale chiesa, ridotta quasi in cumuli, o nelle strutture originarie dedicate al culto in quel luogo. Seguendo le indicazioni di Elvio Lunghi, professore di Storia dell’arte medievale a Perugia, lo spostamento sulla “costa” di Monte Acuto della scultura lignea dovrebbe essere avvenuto successivamente alla seconda metà del XVI sec.: da San Giuliano delle Pignatte dell’Abbazia di Montecorona dove venne descritta come una “madonnam rilievi” nelle fonti delle visite pastorali del Vescovo Fulvio Della Corgna . Infatti nei decenni seguenti la conclusione del concilio tridentino i vescovi furono particolarmente rigidi verso le immagini obsolete o semplicemente mal conservate oltre che all’uso di statue lignee utilizzate in maniera lontana dalla liturgia, in questo periodo è anche possibile che le immagini sacre meno adeguate fossero destinate a una sede meno prestigiosa. Questo potrebbe essere stato il destino della nostra statua ritenuta comunque di “valore” e, piuttosto che eliminata, venne spostata in un luogo meno importante. Spostamento funzionale a salvarne il valore popolare di devozione; devozione molto sentita nella zona tra Romeggio e Preggio e proseguita fino al dopoguerra.
Immagine 8: Statua della Madonna della Costa da: https://www.beweb.chiesacattolica.it/benistorici/bene/5504739/Bottega+umbra+sec.+XII,+Statua+della+Madonna+della+Costa
Immagine 9: Statua della Madonna della Costa pubblicata in: Elvio Lunghi, “Considerazioni e ipotesi sulle sculture lignee nelle chiese dell’Umbria tra XII e XIII secolo” in “Umbria e Marche in età romanica. Arti e tecniche a confronto tra XI e XIII secolo”, a cura di E. Neri Lusanna, Todi, Ediart, 2013, pp. 203-212
Il destino delle opere lignee delle nostre zone sotto il potere temporale della Chiesa, risentì notevolmente del Concilio post-tridentino. Basti pensare al bellissimo gruppo della “Deposizione” di Montone, originario della Pieve di San Gregorio, che fu trasformato per secoli in “Crocifissione” con braccia e piedi non coevi e con la sparizione certa, perché poi ritrovata, della statua di Giuseppe d’Arimatea. Questa statua fu “ricomposta” con la testa ritrovata sempre nella Pieve di San Gregorio nel 1956, mentre il resto del corpo venne ritrovato sempre qui, nel 1977, tra le macerie di una volta crollata, e poi individuato come parte del San Giuseppe dal prof. Toscano nella Galleria Nazionale dell’Umbria. Solo da allora si prese consapevolezza dell’originaria disposizione e funzione che si può godere oggi nel Museo di San Francesco a Montone.
Immagine 9: Deposizione della Croce di Montone (particolare) (foto di Francesco Deplanu).
Immagine 10: Deposizione della Croce di Montone (particolare). Statua lignea di San Giovanni d’Arimatea ricomposta (foto di Francesco Deplanu).
Per capire la portata del cambiamento che avvenne nel periodo post-tridentino basta leggere, riportate nelle pagine di Lunghi riprese dall’Archivio Vescovile di Perugia che riporta le visite pastorali sempre sotto il Vescovo Fulvio Della Corgna. Ad esempio nella chiesa di San Giustino alle porte di Perugia una statua della Madonna fu direttamente data alle fiamme: “Visitavit figuras virginis in quadam nicchio cum filio in brachio vetustate consumptas / quas igni comburi iussit». Ovvero: “In una nicchia ispezionò una statua della Vergine col figlio in braccio consumata dal tempo che ordinò fosse bruciata dal fuoco.”.
Ma vediamo cosa scrive a proposito della statua lignea della madonna Elvio Lunghi, in “CONSIDERAZIONI E IPOTESI SULLE SCULTURE LIGNEE NELLE CHIESE DELL'UMBRIA TRA XII E XIII SECOLO”: “Nel Museo del Duomo di Perugia è conservata una scultura romanica in legno policromo di una Madonna in trono con il Bambino benedicente in grembo, che vi è stata depositata per esigenze conservative dall’abbazia di San Salvatore di Montecorona. È agevole riconoscervi una statua della Madonna che il vicario del vescovo Fulvio Della Corgna vide il 24 novembre 1564 sopra l’altare maggiore della chiesa di San Clemente nel villaggio di San Giuliano delle Pignatte, nelle immediate vicinanze di quell’abbazia cistercense. La Madonna era in rilievo e era posta tra due tavole dipinte con le storie del Santissimo.”
Riportiamo per intero, vista la brevità, il passo che nelle note il Lunghi ripropone della visita pastorale, testo sempre conservato nell’Archivio Diocesiano di Perugia: “«Visitavit madonnam rilievi cum tabulis pictis Santissime inde / quas reaptari si potest santissimi aut retineri quanto decentius». Ovvero “Ispezionò una madonna in rilievo con tavole dipinte della storia del Santissimo, poi le quali se è possibile siano restaurate o conservate nel modo più decente”.
Il passo è brevissimo ma accerta la presenza certa di una statua della madonna nella zona, difficile pensare che non fosse quella poi finita sulla Costa di Monte Acuto. Gli sportelli laterali sono andati perduti ma la madonna in legno con il bambino ha “proseguito” il suo cammino. In una data imprecisata, ma successiva chiaramente a questa visita pastorale del Della Corgna, arrivò alla chiesa di San Giovanni della Costa .”. Lo scopo di queste visite pastorali post tridentine era anche di “correggere la dottrina cattolica, espellere le eresie, promuovere i buoni costumi, e per quanto riguarda l’aspetto degli edifici religiosi era accertare l'idoneità degli edifici di culto e la celebrazione degli uffici liturgici secondo le nuove regole stabilite a Trento.
Fonti:
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Elvio Lunghi, “Considerazioni e ipotesi sulle sculture lignee nelle chiese dell’Umbria tra XII e XIII secolo”, in Umbria e Marche in età romanica. Arti e tecniche a confronto tra XI e XIII secolo”, a cura di E. Neri Lusanna, Todi, Ediart, 2013, pp. 203-212.
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Luca Mor : “Esposte a Montone le sculture lignee medievali della deposito Christi, Bollettino d’arte” del Ministero per i beni e le Attività Culturali”, n. 108 - Aprile Giugno 1999. Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato
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Giovanna Sapori, “Il Gruppo Ligneo di Montone”, in Museo Comunale di San Francesco a Montone - Regione dell’Umbria - Electa Editori Umbri Associati, Perugia 1997.
- https://www.iluoghidelsilenzio.it/chiesa-della-madonna-della-costa-monte-acuto-di-umbertide-pg/
- http://www.umbrialeft.it/node/33429
In costruzione...
La "Croce" di Montacuto e la catena appenninica alle sue spalle. Foto prima del restauro.
La Collegiata nel 1918
Piazza XII settembre nel 1912
Piazza San Francesco e la Deposizione del Signorelli
FONTI:
- Foto di Francesco Deplanu, Giulio Foiani ed Anna Boldrini.
- Foto: foto storiche di Umbertide dal web e da diversi archivi privati alle quali abbiamo applicato il watermark "umbertidestoria" in questa maniera cerchiamo di evitare che l'ulteriore divulgazione da parte nostra favorisca scopi non consoni ai nostri intenti esclusivamente sociali e culturali.