storia e memoria
Le croci nei campi
a cura di Francesco Deplanu
Siamo fatti di storia... di tradizioni millenarie tramandate di gesto in gesto...
Uno scatto ci mostra un campo alla fine della mietitura nella zona sud di Umbertide, di fronte al cosiddetto “Grattacielo”.
Se guardiamo questa foto in una prospettiva di storia economica si può vedere un mondo produttivo modificato dalla meccanizzazione. Cambiamento che noi possiamo subito individuare nelle “rotoballe”. La meccanizzazione iniziò ben prima, ai primi del ‘900 e portò ad una forte diminuzione di lavoratori nei campi. Ciò contribuì ad un radicale cambiamento nella tipologia di insediamento: da sparso ad accentrato. Da noi significò l’inizio di una netta crescita dell’insediamento cittadino e anche l’allungamento dell’abitato in direzione sud, soprattutto a partire negli anni ’60... fino ad arrivare a “mangiare” i “campi” e le case rurali.
Se ci poniamo nella rispettiva della “cultura immateriale”, però, vediamo anche un segno folkloristico-religioso, di una religiosità semplice che si tramanda da secoli: la “festa della santa croce” o “Inventio Crucis”. Una croce intrecciata con i rami d’ulivo benedetti per proteggere il raccolto, per “garantire” così la propria vita, gestire la paura del futuro a protezione delle proprie fatiche. Insomma un rito propiziatorio.
L’origine si fa risalire al recupero da parte dell'imperatore Eraclio della “Vera Croce” dalle mani dei Persiani nel 628 dopo Cristo, ma si sostiene che, con il festeggiamento di questo “recupero”, si sia cristallizzata definitivamente una festività del periodo primaverile già presente fin dal IV secolo dopo Cristo, insomma, più di due secoli prima.
Si festeggiava a maggio o a settembre?
Nell’Italia centro-settentrionale, solitamente la “festa della santa croce” si “festeggia” il 3 maggio, sebbene la festa religiosa sia collocata a settembre. Infatti nell’usanza gallicana, a partire dal VII secolo d. C., la festa della Croce si teneva il 3 maggio ma la festività in questo mese, già formalmente di secondo piano per il rito cattolico, venne tolta la calendario liturgico romano nel 1960/1962, in seguito alle riforme del “Missale Romanum” avvenuta con Giovanni XXIII.
Ma non c’era la ripresa della natura a settembre... e nelle campagne si continuò a festeggiare in maggio.
Queste ritualità di primavera funzionali a propiziarsi l’andamento delle vita agricola avvenivano durante il periodo delle “Rogazioni”, ovvero due festività: la maggiore il 25 aprile e la minore di tre giorni a maggio, dove con preghiere e processioni si chiedeva alla divinità clemenza per il raccolto. Questo è attestato in diverse parti dell’Umbria, ad esempio a Trevi, oltre che in numerose zone d’Italia. Oggi le processioni delle “rogazioni” sono completamente scomparse… restano però "le croci nei campi", anche nelle nostre campagne.
Lo stato attuale delle ricerche archivistiche non ci permette di attestare in che periodo si definì in forma stabile la ritualità della “festa della santa croce” nel territorio attorno ad Umbertide; ci resta perfino il dubbio che possa esistere per il passato meno recente una documentazione “laica” che riporti questo aspetto, perché appartiene alla cultura degli umili di chi non sapeva scrivere o aveva "voce". Si dovrebbero indagare, piuttosto, l’archivio diocesano per i secoli passati, gli elementi secondari presenti nelle fonti fotografiche dai primi del ‘900 ed infine le fonti orali. Per fortuna ci resta il ricordo del prof. Angeletti nel suo testo del 2019 "Se a parlare sono solo le pietre" che fissa alcuni momenti delle "rogazioni" a Montemigiano, sopra Niccone, durante il periodo del conflitto mondiale. Siamo certi, inoltre, che nella “Fratta” esisteva la ritualità delle “rogazioni” da tempo visto che nel periodo della dominazione francese, e poi specificatamente Napoleonica, il “Seminario”, dipendente dalla Diocesi di Gubbio, chiudeva per festeggiare nei giorni dedicati a questo festività. Cesarina Giovannoni, nel suo lavoro di Laurea inedito “Vicende di un paese Umbro nell’età francese. Fratta (ora Umbertide) dal 1796 al 1814”, elenca, infatti, tali periodi festivi. In una nota appare una “Tabella delle vacanze nelle scuole dipendenti dal Seminario vescovile di Gubbio”, dove viene indicato che la scuola era chiusa per il mese di maggio per “I tre giorni delle Rogazioni, il 15 vigilia di S. Ubaldo ma solo il dopo pranzo e per la festa del Santo, il 26 per la Festa di San Filippo Neri”. Ad Aprile era già indicato come festività il 25 del mese per la “Festa di San Marco Evangelista”.
La persistenza della tradizione della “croce nei campi” è visibile anche in questa altra foto, presso Niccone lungo la strada che porta verso Mercatale di Cortona, tra il torrente Niccone e la strada statale. Qua vediamo come in maniera simile i cambiamenti storici, ovvero, la coltivazione del tabacco e la moderna tecnologia per irrigare, non hanno fatto scomparire questa usanza millenaria. La “santa croce” si staglia sulle colline con il castello di Montalto in evidenza.
E poi diverse croci sono visibili in vari appezzamenti che salgono verso il Castello di Civitella Ranieri… per propiziare il raccolto di diverse tipologie di coltivazioni.
Nella zona nord di Umbertide detta delle "Petrelle" la si vede nelle graminacee… e anche nei primi metri dopo il limite con il Comune di Montone, presso il bivio di S. Lorenzo, si può notare una croce tra le piante da frutto. Ma l'usanza è presente su tutto il territorio visto che si trovano anche nei pressi dell'abitato di Spedalicchio di Umbertide, nella pianura ed all'inizio della strada che sale verso S. Anna. Infine si possono vedere di nuovo nella pianura a sud di Umbertide, nelle vicinanze dello stadio e con lo sfondo di Monte Corona.
Ma osservando sempre nella prospettiva della “cultura immateriale” vediamo come i riti e le tradizioni si riadattano, sovrascrivendo usanze precedenti, anche con sistemi culturali e religiosi profondamente diversi. Il propiziarsi la divinità per proteggere il frutto del proprio lavoro, infatti, è una azione ancestrale.
Siamo insomma una complessa stratificazione di “storie”...
Storie che hanno il dominatore comune nella connessione tra la vita materiale e la spiritualità degli uomini che hanno abitato questo territorio, legati dal bisogno di sopravvivere. Ingraziarsi la divinità per proteggere il frutto del proprio lavoro non è, infatti, una impellente esigenza che risale solo alle origini della cristianità occidentale: le “rogazioni” infatti inglobarono le “Ambarvali” del periodo romano (termine che che possiamo tradurre con “intorno al campo”: etimologia: dal lat. ambarvalĭa, termine neutro pl., comp. del pref. ămb- ‘intorno’ e un deriv. di ărvum ‘campo’).
Fu Papa Liberio nel IV secolo dopo Cristo che spinse per sostituire ed inglobare nel sentimento religioso e rituale cristiano le festività dei “Ambarvali” che si continuavano a svolgere nelle campagne il 25 aprile e nei primi di maggio. Per la data del 25 aprile un’altra festività romana è collegabile e "sovrapponibile" ed era sempre legata ad un'altra “propiziazione”, ovvero un rito funzionale all'allontanamento del flagello della ruggine: la Robigalia. Queste ritualità era svolta, stavolta, in un bosco dedicato alla dea divinità secondaria a doppio aspetto della “ruggine del grano” (Robigus). Come la maggior parte dei genî della vegetazione e della vita rustica era funesta e allo stesso tempo propizia, di sesso maschile o femminile. In questo caso nell’antica Roma era presente il sacrificio di animali. Insomma diversi riti propiziatori nello stesso periodo dell’anno e con le stesse date, nel periodo delle “messi”, risalgono al sistema culturale romano e rimandano alla stessa funzione.
Particolare dell'iscrizione (raggiungibile anche cliccando sull'immagine) da: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Inscrição_dos_sacerdotes_arvais.jpg
Quello che possiamo notare è che anche nei riti “pagani” preesistenti del mondo romano la richiesta rivolta alle divinità era la caratteristica dominante . Inseriamo qua una traduzione dell’iscrizione relativa agli “Ambarvali” in latino antico dove si può vedere la richiesta al “crudele Marte” di “ passare oltre”, ovvero di risparmiare il raccolto. Il testo in latino dell'iscrizione sopra è rintracciabile in più fonti online, la traduzione in italiano è presa, invece, dalla pagina di wikipedia citata in fondo, assieme all'immagine dell’iscrizione del “carmen arvale” presente solo nel wikipedia portoghese.
«[...] enos Lases iuvate
neve lue rue Marmar [si]ns incurrere in pleores Satur fu fere Mars limen sali sta berber. [sem]unis alternei advocapit conctos
enos Marmor iuvato.
Triumpe triumpe triumpe
«Oh Lari aiutateci,
non permettere Marte, che la rovina ricada su molti,
Sii sazio, crudele Marte. Vai oltre la soglia. Rimani fermo lì. Invocate tutti gli dèi del raccolto.
Aiutaci oh Marte.
Trionfo, trionfo, trionfo, trionfo e trionfo!
Simili invocazioni erano presenti anche nelle “Rogazioni” che erano fino a pochi decenni fa erano ancora stabilite liturgicamente.
Nel “Benedizionale” del rituale romano della CEI possiamo ancora leggerle tra le “Altre benedizioni per occasioni particolari” (Appendice 1), specificatamente nelle “suppliche”, alle quale andava risposto ogni volta “ascoltaci Signore”, le frasi:
“Donaci una stagione clemente”,
“Donaci i frutti della terra”,
“Dona a tutti saggezza prosperità e salute”.
Per quello che sappiamo durante le Rogazioni a Monteleone di Orvieto venivano declamate le “invocazioni” per la Benedizione delle acque”:
«dai fulmini e dalle tempeste, liberaci o Signore;
dal flagello del terremoto, liberaci o Signore;
dalla peste, dalla fame e dalla guerra, liberaci o Signore;
per il mistero della tua santa Incarnazione, liberaci o Signore.»
Queste ultime notizie vengono da Fernando Corgna che scrisse "Monteleone d'Orvieto: Storia del paese, delle Chiese e della vita sociale e religiosa”.
A Umbertide il Prof. Angelo Angeletti racconta alcuni aspetti legati alle "invocazioni" che venivano recitate durante le processioni tra Montemigiano e Niccone quando era bambino, nel periodo a cavallo della seconda guerra mondiale: << in primavera si facevano le Rogazioni che avevano come santo patrono S. Vincenzo, festeggiato, onorato ed invocato per impetrare buoni raccolti e per scongiurare le molte calamità che potevano mettere a rischio il pane; per questo in aprile, nel periodo più delicato per la campagna, si recitavano le Rogazioni...>>. Durante le cerimonie gli uomini delle campagne ascoltavano il latino delle litanie e rispondevano in maniera più sentita a ciò che sentivano proprio, ovvero la paura per il raccolto, o che riuscivano realmente a capire nella lingua della liturgia: <<C’erano altre cose che mi lasciavano perplesso: si trattava delle litanie cantate durante la processione alle quali la gente rispondeva all’unisono “Libera nos Domine!” Ma quando il sacerdote cantava “A peste, a fame et bello” il “Libera nos” calava di tono fin quasi a diventare poco più che un mormorio perché, dopo l’invocazione per tener lontana la peste e la fame su cui tutti erano d’accordo, quel “bello” suonava alquanto stonato; molto più chiaro e condiviso era invece il “Libera nos”, quando il sacerdote cantava “a flagello terraemotus, a morte improvisa” e tutti, ma proprio tutti avrebbero voluto rispondere cento volte alla invocazione “a folgore et tempestate”: era quella la preghiera veramente importante cantata da uomini e donne mentre guardavano i loro campi e le loro vigne.>>. Quel liberaci dal "bello", ovvero dalla "guerra", non era capito, mentre era ben inteso il riferimento alle calamità naturali.
Siamo stratificazioni di storie... sempre nel nostro territorio, infatti, possiamo notare che la stessa esigenza di propiziazione dei prodotti dolo proprio lavoro è facilmente rintracciabile anche nella precedente società ad economia agro-pastorale del periodo tra il V e IV secolo avanti Cristo. Qua i bronzetti del mondo umbro-etrusco, ritrovati a Monte Acuto, a forma di bovino, ovino ed altri animali servivano da “ringraziamento e richiesta di protezione per l’allevamento del donatore” cita Luana Cencaioli riportando l’opinione di D. Monarchi nel suo lavoro sulla “Stirpe votiva di Grotta Bella”.
Concludiamo mostrando qua sotto l’entrata al santuario di Monte Acuto visto da sud e dal basso. Nella stipe votiva, le cui tracce sono state individuate all'interno del "recinto", subito dopo l’entrata evidenziata in foto, sono state recuperate le statuette votive oggi conservate presso il Museo di Santa Croce ad Umbertide.
L’esigenza di “propiziazione”, ovvero di invocare protezione per il bestiame che si ritrova nei “bronzetti di monte Acuto”, appartiene a quella stessa esigenza di proteggerci dal futuro incerto e spaventoso che ha assunto nel tempo diverse forme in base al proprio sistema di riferimento religioso… e che ritroviamo nelle nostre “croci dei campi”.
FOTO: Francesco Deplanu, immagini scattate tra maggio e giugno 2020.
FONTI:
- Liturgia Chiesa Romana:
http://www.liturgia.maranatha.it/Benedizionale/a1/A2page.htm
-Carmen Arvale:
https://latin.packhum.org/loc/149/1/0#0
http://www.mikoflohr.org/data/texts/CIL_6_2104/
https://it.qwe.wiki/wiki/Carmen_Arvale
https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Inscrição_dos_sacerdotes_arvais.jpg
-Rogazioni e Ambarvali:
Angelo Angeletti: “Se a parlare sono rimaste solo le pietre”, Digital book S.r.l., Città di Castello, 2019 ( pp.54-55).
https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=ambarvali
http://www.treccani.it/enciclopedia/rogazioni_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://www.storiaromanaebizantina.it/ambarvali/
https://storiediterritori.com/2020/05/18/un-tempo-questa-era-la-settimana-delle-rogazioni/
https://it.wikipedia.org/wiki/Tradizioni_di_Monteleone_d%27Orvieto
Robigalia
http://www.treccani.it/enciclopedia/robigalie_%28Enciclopedia-Italiana%29/
-Tesi inedita di Cesarina Giovannoni: “Vicende di un paese Umbro nell’età francese. Fratta (ora Umbertide) dal 1796 al 1814;" 1968. (p. 38).
-“Umbri ed etruschi . Genti di confine a Monte Acuto e nel territorio di Umbertide”, a cura di Luana Cenciaioli, Ministero per i Beni culturali e Ambientali Soprintendenza archeologica per L’Umbria - Comune di Umbertide, 1996; (p. 41-44).