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I PERCORSI DELLA MEMORIA

 

 

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A cura di Fabio Mariotti

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Il 1944 è ricordato ad Umbertide come l’anno più drammatico nella storia della città. La II Seconda Guerra Mondiale si è portata dietro una lunga scia di sangue, distruzione e disperazione per i tragici eventi che hanno preceduto la liberazione della città, il 5 luglio.

Il bombardamento alleato di borgo San Giovanni, nel cuore della città, con 70 morti; la rappresaglia di Serra Partucci, con 5 morti; l’eccidio di Penetola, con 12 morti; la strage di Monsiano, con 8 morti. Altri 6 civile persero la vita tra il 3 e il 15 luglio nel territorio tra Preggio, Monestevole e Montemigiano. Sigifrido Bartocci, ucciso da soldati tedeschi l’8 maggio presso Civitella Ranieri e poi tante altre vittime civili di bombardamenti, cannoneggiamenti e scoppio di granate ad Umbertide e nelle zone limitrofe (per i dettagli consultare “l’Atlante della Memoria” di Alvaro Tacchini).

A tutti loro, eroi involontari della follia umana, e alle loro famiglie, dedichiamo questi percorsi della memoria, per non dimenticare e per trasmetterli alle nuove generazioni.

 

 

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Il bombardamento di borgo San Giovanni

 

Dodici aerei Curtiss P – 40 Kittyhawk inglesi partirono dall’aeroporto da campo di Cutella in Puglia per distruggere il ponte stradale sul Tevere e rendere più difficoltosa la ritirata dei tedeschi.

Era il 25 aprile 1944. Una data che gli umbertidesi non dimenticheranno.

Tra le 9 e le 9,30 la squadriglia alleata sorvolò il cielo di Umbertide, con il suo carico di due bombe di grosso calibro per aereo (complessivamente circa 4 tonnellate di esplosivo). Dopo vari volteggi sopra Romeggio, gli aerei si diressero verso Serra Partucci, a favore di sole, da cui discesero in picchiata verso il ponte sul Tevere. Ma le bombe (come scrisse Roberto Sciurpa nel suo volume “Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946) non erano ancora “intelligenti” (se mai ci saranno bombe intelligenti) e sbagliavano spesso il bersaglio.

Questo purtroppo accadde anche ad Umbertide. Le bombe, fatte cadere ad intervalli regolari di circa 30 secondi tra una coppia e l’altra, invece di colpire il ponte andarono a finire tutte, salvo due, sopra le case del centro storico. Fu una strage. 70 persone, di cui 46 donne, rimasero sepolte sotto le macerie.

Lo spettacolo che si presentò ai primi soccorritori fu tremendo. Corpi orrendamente mutilati giacevano sulla piazza e il borgo San Giovanni era un cumulo di macerie fumanti da cui si alzavano lamenti e invocazioni di aiuto. Nonostante lo spavento e il rischio di nuovi bombardamenti, la gente si prodigò nel prestare soccorso ai feriti ed estarre dalle macerie i corpi dei caduti adagiandoli provvisoriamente intorno alla Collegiata. Era una corsa contro il tempo perché il ponte era rimasto intatto e gli aerei sarebbero potuti ricomparire in qualsiasi momento. Questo accadde nel pomeriggio, alle ore 16, e questa volta le bombe risparmiarono l’abitato ma non riuscirono a distruggere il ponte stradale la cui arcata nord fu distrutta soltanto il 30 aprile.

Tanti morti, tanto dolore, una comunità sconvolta, per un’azione militare probabilmente inutile e che non ha nemmeno raggiunto l’obbiettivo prefissato. Questa è la guerra. Questi sono quelli che oggi chiamano “effetti collaterali” che colpiscono sempre e inesorabilmente i civile, le persone più indifese. Per evitare anche questi effetti, c’è un solo sistema universale, non fare più guerre e lavorare sempre per la pace.

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L’elenco delle 70 vittime:

Alunni Pierucci Antonio, Arrunategni Rivas Mario, Baiocco Giulia, Banelli Anna, Banelli Amleto, Barattini Scartocci Neodemia, Barbagianni Antonio, Bartoccioli Giulia, Bebi Ceccarelli Elda, Bebi Luciano, Bebi Fileni Maria Domenica, Bebi Banelli Tecla, Bendini Annunziata, Bernacchi Anna Maria, Bernacchi Benedetto, Bernacchi Raffaele, Bernacchi Valentino, Boldrini Cecilia, Boldrini Bellezzi Elisabetta, Boncristiani Tommasi Rosa, Borgarelli Armede Gina, Borgarelli Ester, Cambiotti Amalia, Caprini Selleri Assunta, Ceccarelli Marianella, Ceccarelli Rosanna, Ciocchetti Fausto, Ciocchetti Giuseppe, Cozzari Galmacci Veronica, Cozzari Verginia, Donnini Domenico, Donnini Gianfranco, Fagioli Franca, Ferrari Alfonso, Galmacci Realino, Gambucci Ubaldo, Grandi Giuseppina, Leonessa Licinio, Manuali Bernacchi Marianna, Massetti Anna Paola, Mastriforti Cambiotti Marianna, Mazzanti Graziella, Merli Mazzanti Argentina, Mischianti Angelo, Mischianti Ida, Monfeli Galeno, Montanucci Fiorucci Felicia, Mortini Elvira, Orlandi Sonaglia Augusta, Palazzetti Bernacchi Angela, Palazzetti Assunta, Pambuffetti Giovanna, Perini Giuseppe, Pierotti Coletti Giulia, Porrini Elisei Assunta, Renato Simonucci Bergasina, Renga Rosalinda, Renzini Pazzi Maria, Romitelli Rina, Rondini Mischianti Luisa, Sabbiniani Romitelli Leopolda, Santini Batazzi Letizia, Scartocci Mario, Selleri Angelo, Selleri Giuseppe, Selleri Pasquale, Tognaccini Fagioli Delma, Tognaccini Barbagianni Zarelia, Violini Lina, Villarini Bruno.

 

Fonti:

- Mario Tosti: “Belli lavori” - Ed. Comune di Umbertide – 1995

- Mario Tosti: “Il nostro calvario” - Ed. Petruzzi – Città di Castello

2005

- Roberto Sciurpa: “Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946” -

Ed. GESP – 2006

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Foto di Roberto Balducci dal volume di Bruno Porrozzi

"Umbertide nelle immagini - dal '500 ai giorni nostri -

Pro loco Umbertide - 1977 

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La lapide che ricorda le vittime

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Sulle macerie alla ricerca dei superstiti
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A destra, le rovine del borgo San Giovanni

A destra, sotto, via Cibo dopo il bombardamento

A sinistra,sotto. le rovine della sagrestia della Collegiata

 

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Il bombardamento di Borgo San Giovanni

La rappresaglia di Serra Partucci

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Il 24 giugno 1944 era sabato. A Serra Partucci si festeggiava San Giovanni Battista e il giorno prima, secondo l’antica usanza, si raccoglievano i petali dei fiori di campo e si mettevano a bagno in una bacinella. Con quell’acqua profumata la mattina dopo ci si lavava.

Così avevano fatto gli abitanti della Serra che quel sabato si erano ritrovati nella piccola chiesa per la messa celebrata da don Giuseppe Filippi.

Improvvisamente alcuni tedeschi con il loro comandante erano entrati in chiesa e, urlando, avevano

fatto uscire tutti all’aperto disponendoli in fila davanti ai soldati con le armi spianate.

L’ufficiale tedesco, in un italiano stentato, spiegò cosa stava succedendo. Il giorno prima, nelle vicinanze, un soldato tedesco in motocicletta era stato ferito lungo la strada. Per cui, nonostante non fosse morto, era scattata l’inumana legge della rappresaglia che prevedeva la fucilazioni di 5 ostaggi per il tedesco ferito (in caso di morte sarebbero stati 10). Dal momento che quattro “banditen” erano stati già arrestati, erano venuti a prendere il quinto.

Va detto, per la verità, che i tedeschi avevano già arrestato cinque ostaggi ma uno di questi, Quinto Centovalli, era privo di una mano e i tedeschi avevano ritenuto di escluderlo dalla fucilazione.

La scelta tra i presenti alla messa cadde su Domenico Cernich, giovane sarto 26enne di Gorizia che si trovava ad Umbertide, insieme ai suoi fratelli, in attesa dell’arrivo degli alleati.

Domenico, insieme a Radicchi Mario (24 anni – colono), Radicchi Giuseppe (17 anni – colono), Centovalli Natale (20 anni – studente) e Ciribilli Domenico (26 anni – sarto) furono portati presso l’essiccatoio del tabacco e qui tricidati da alcune raffiche di mitragliatore.

Alle otto del mattino, sopra due tregge trainate dai buoi, i cinque corpi furono trasportati al cimitero di Serra.

Una stele e un cippo ricordano la terribile rappresaglia.

Nel cippo, realizzato nel ventennale della Resistenza, sono scritte queste parole:

“Qui il barbaro tedesco lasciava raccapricciante ricordo di iniqua rappresaglia. Cinque giovani innocenti cadevano vittime del suo furore il 24 giugno 1944. Giustizia, preghiera, pace invocano dai superstiti gli scomparsi.”

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Domenico Cernic
La rappresaglia di Serra Partucci
La porta della chiesa
Il muro della fucilazione

L’eccidio di Penetola

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Quella che viene esposta in queste pagine e la vicenda di una famiglia umbra e del suo tragico incontro con la storia. Aspetti e circostanze risulteranno comuni a tanti altri italiani e la vicenda è quella di cui tutti coloro che sono vissuti nel 1944 possono rendere testimonianza.

Nel raccontare esperienze particolari di alcuni individui a loro sconosciuti, spero di trasmettere ai miei figli e a quelli dei miei coetanei una conoscenza meno asettica e più consapevole delle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale e delle positive trasformazioni sociali e democratiche della società italiana.

Perchè, anche i più umili tra i cittadini italiani, uscendo dalla guerra e dalla dittatura fascista sostenuti dai valori della democrazia e della Costituzione rcpubblicana, hanno potuto superare lutti e ingiustizie, affrancarsi da pratiche sociali medievali e, in appena due generationi, fornire a figli e nipoti tutte le opportunità che solo una società libera e democratica può offrire.

La grande storia, quella nota a tutti noi per ampi o sommi capi, è un insieme di piccole, a volte grandissime, storie personali. Esse costituiscono la memoria collettiva condivisa o, in altri casi, divisa, di una nazione. Mettere ordine e ricercare la verità oggettiva in ognuna di queste piccole storie impedirà, a chi ne avesse meschino interesse, di mistificare la realtà inconfutabile degli eventi e, alle giovani generazioni, di dimenticare ciò che è stato, traendone il necessario insegnamento.

Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1944, nell'altotevere umbro, in un casolare denominato località Penetola di Niccone, a sei chilometri a nord-est di Umbertide, dodici persone vengono barbaramente uccise dai soldati appartenenti al 305º battaglione genieri dell'esercito tedesco di stanza nella vallata del Niccone.

Le dinamiche operative dell'eccidio sono oggi a nostra conoscenza, mentre permangono forti dubbi e perplessità sulle cause e sulle modalità della strage stessa, per molti aspetti atipica rispetto alle tante altre di cui l'esercito tedesco si è macchiato durante la ritirata verso la linea gotica nell'estate del 1944.

A Penetola si è consumato uno degli episodi più atroci tra quelli accaduti in Umbria durante il secondo conflitto mondiale. Come per molte stragi “nascoste”della guerra ai civili che si è scatenata in Italia dopo l'8 settembre 1943, anche nei sopravvissuti alla strage di Penetola bruciava la rabbia di non conoscere i colpevoli e in quella dei loro discendenti, come me, il desiderio di placare quella stessa rabbia che, a distanza di tanti anni, impediva il superamento definitivo del lutto.

Mai, neanche per un istante, nel corso della ricerca della verità, sono stata spinta da un desiderio di vendetta nei confronti degli esecutori morali o materiali della strage. Ho solo voluto e dovuto sostituirmi a quanti avrebbero dovuto indagare e non l’hanno fatto, non sapendo o non volendolo fare.

Ai primi appartenevano anche i miei familiari, ai quali è mancata la forza, 1'istruzione, la sfrontatezza e il denaro, per aprire porte che avrebbero dovuto trovare spalancate.

Ai secondi, a quelli che hanno preferito tacere, a quelli che hanno scelto di non scegliere, a quelli che se ne sono disinteressati sottraendosi ad un loro dovere, posso solo dire che essi avrebbero saputo e potuto far meglio e di più al momento e nel luogo giusto. ……………

(Premessa dal libro “Tre noci” di Paola Avorio)

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Fonti:

- Paola Avorio: “Tre noci” – Ed. Petruzzi – Città di Castello - 2011

 

- Giovanni Bottaccioli: “Penetola, non tutti i morti muoiono” –

Comune di Umbertide, 2005

 


Le vittime:

Avorio Antonio, di Mario, anni 11
Avorio Carlo, di Mario, anni 8
Avorio Renato, di Mario, anni 14
Forni Canzio, di Edoardo, anni 58
Forni Edoardo, di Canzio, anni 16
Forni Ezio, di Canzio, anni 21
Luchetti Guido, di Avellino, anni 18
Nencioni Conforto, di Menotti, anni 36
Nencioni Eufemia, di Menotti, anni 44
Nencioni Ferruccio, di Menotti, anni 46
Ferrini Milena, moglie di Ferruccio Nencioni, anni 41
Renzini Erminia, vedova di Menotti Nencioni, anni 68

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Il casolare, il cippo e la lapide che ricordano l'eccidio
 
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Paola Avorio durante la presentazione del suo libro

A destra, la scritta sul cippo che ricorda  l'eccidio (1974)

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Sotto, due immagini interne del casolare teatro dell'eccidio

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L'eccidio di Penetola

La strage di Monsiano (Preggio)

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Nel 2015, in occasione del centenario dell’inizio della prima grande guerra mondiale, in tutta Italia ed anche in Europa, è stata avvertita la necessità di testimoniare gli eventi tragici, soprattutto quelli ancora sconosciuti, di persone innocenti scomparse e dimenticate. Per questo si è deciso di ricordare con una lapide una strage poco conosciuta avvenuta nel nostro territorio a Monsiano, poco distante da Preggio, il 4 luglio del 1944, durante il passaggio del fronte e la ritirata dei tedeschi verso nord. Un bombardamento delle forze alleate ha colpito un casolare dove si erano nascosti un paio di tedeschi in fuga.

L’intero fabbricato rurale, ora ricostruito, fu raso al suolo sterminando un’intera famiglia, i coniugi Gelindo Braconi e Isolina Bellezzi e i loro sei figli, Maria (4 anni), Anna (8), Lorenzo (11), Francesco (14), Rina (16), Luigina (19).
La lapide che ricorda questo terribile evento è stata applicata su un piccolo masso roccioso, posto all’incrocio della strada provinciale con quella vicinale che porta a Monsiano.
L’Amministrazione Comunale e la popolazione di Preggio hanno voluto così rendere testimonianza a tutti coloro che, fermandosi davanti alla lapide, potranno conoscere la storia di questa famiglia di Preggio e del suo tragico destino.

Alla cerimonia hanno partecipato il sindaco di Umbertide Marco Locchi, Alberto Bufali, presidente della Pro loco di Preggio e promotore, insieme al Comune e alla sezione di Città di Castello dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi di guerra, della commemorazione, la presidente regionale dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi di guerra Rosanna Tonnetti, Gianfranco Braconi, familiare delle vittime della strage, Paola Milli e Pierino Monaldi dell'Istituto di storia politica e sociale “Venanzo Gabriotti” di Città di Castello. L'inaugurazione è stata accompagnata dalla benedizione impartita dal parroco di Preggio don Francesco Bastianoni e dalla deposizione di una corona ai piedi della lapide sulle note della tromba del maestro Galliano Cerrini. Durante la cerimonia sono stati inoltre ringraziati Mario Tosti e Alvaro Tacchini per le preziose ricerche storiche sui fatti che accaddero a Preggio il 4 luglio di settantuno anni fa.

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Fonti:

Alvaro Tacchini: Sito “storia tifernate e altro”

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Il cippo che ricorda il tragico evento 
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Il manifesto per l'inaugurazione del cippo
La strage di Monsiano (Preggio)
LE BATTAGLIE A MONTE MURLO, MONTE ACUTO E MONTE CORONA

(2-3 luglio 1944)

 

Dal libro “Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere (1943-44) di ALVARO

TACCHINI, Petruzzi Editore, Città di Castello 2015

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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I combattimenti stavano per investire le montagne a meridione della valle. In seguito allo sfondamento della Linea Albert da parte degli Alleati, i tedeschi si ritirarono lungo la successiva linea difensiva Monte Murlo - Monte Acuto - Monte Corona - fiume Assino - Montelovesco. Nutrivano la convinzione di poter resistere accanitamente su quelle alture. In effetti l'attacco scatenato dalla 10ª e dalla 25ª brigata indiana nella notte tra il 2 e il 3 luglio ebbe un esito contraddittorio. Il battaglione gurkha della 10ª, appoggiato dall'artiglieria, da uno squadrone di carri armati degli Hussars e dalle mitragliatrici dei Northumberland Fusiliers, si mosse da Castel Rigone e riuscì a conquistare Monte Murlo difeso da una settantina di tedeschi, resistendo poi a un loro contrattacco. Invece i reparti garhwali e beluci delle due brigate non furono in grado di sopraffare le difese germaniche a Monte Acuto e Monte Corona. In particolare l'attacco dei beluci a Monte Acuto si risolse, per ammissione degli stessi britannici, in un "costoso insuccesso" (1), con 32 perdite. Si resero così conto di aver sottovalutato, per errate informazioni, la forza dei tedeschi. Quanto a Monte Corona, quel 3 luglio un reparto attaccante dei garhwali fu inchiodato sulle sue posizioni dal fuoco di sbarramento tedesco per oltre nove ore. Fonti germaniche forniscono ulteriori dettagli sulla battaglia di Monte Acuto. Un reparto di 120 inglesi e indiani riuscì in un primo momento a occupare due basi del 132° reggimento della 44ª divisione presso il villaggio di Galera, a Monte Acuto. Ma la reazione tedesca fu immediata: "Visto il valore di queste posizioni in un territorio molto frammentato e molto difficile, il comandante del reggimento colonnello Hoffmann decise di fare subito un contrattacco. 35 uomini sotto la guida del tenente Zacke, sostenuti in modo eccellente dall'artiglieria del reggimento, riuscirono ad attaccare queste basi ai fianchi e riprenderne possesso. Il nemico ebbe 35 morti e feriti e 12 prigionieri. Il bottino: una mitragliatrice, un lanciagranate, 22 fucili, 8 machine-pistole e una grande radio-trasmittente" (2). In un altro scontro gli uomini del sergente maggiore Eder respinsero l'assalto di una trentina di nemici, che ebbero 12 morti e un prigioniero. Qualche giorno dopo, poco più a nord, lo stesso Eder si sarebbe guadagnato la prestigiosa Croce Tedesca in Oro per il valore dimostrato in combattimento: "Nella lotta uomo a uomo, che fu molto feroce, il nemico patì perdite sanguinose, ma anche Eder subì una brutta ferita per un colpo ai reni; tuttavia continuò il contrattacco fin quando perse conoscenza". Il comandante generale del 51° corpo d'armata di montagna si compiacque per l’“eccellente comportamento” della 44ª divisione: “Granatieri! Voi avete lasciato, con la vostra gloriosa fermezza, una traccia nella storia della nostra divisione H.u.D. Le battaglie del 27 giugno, ad entrambi i lati del Tevere e l'assalto a Monte Murlo e Monte Acuto del 3 luglio 1944 sono degli esempi lampanti del vostro coraggio eroico” (3). La tenace resistenza tedesca fu comunque vana. Soprattutto la caduta di Cortona il 3 luglio, sul fronte della Valdichiana, e i progressi degli Alleati nella pianura tiberina verso Pierantonio e lungo l'Appennino umbro-toscano verso Preggio rischiavano di mettere in trappola le truppe attestate sulle roccaforti di Monte Acuto e Monte Corona. Due brigate indiane supportate dai mezzi corazzati degli Hussars avevano cominciato a muoversi da Perugia lungo il Tevere verso nord il 30 giugno. L’indomani avevano raggiunto Colombella e Ramazzano senza incontrare resistenza. L'avanzata lungo le alture a oriente del Tevere stava invece richiedendo - e da allora divenne una mossa abituale in questo settore del fronte - manovre di aggiramento che disorientavano i tedeschi e provocavano il cedimento delle loro posizioni. Nelle prime ore del 2 luglio gli anglo-indiani erano a Civitella; al tramonto raggiungevano Solfagnano. Il 3 luglio, proprio mentre i combattimenti infuriavano su Monte Corona e Monte Acuto, potei-ano dunque attaccare Pierantonio, fortemente difeso dai tedeschi appostati sulle colline sovrastanti. Negli scontri che prelusero alla conquista del paese, il 4 luglio, rifulse il valore del soldato semplice A. J. Baldwin, del 1° battaglione del King's Own Royal Regiment. Mentre gli uomini del suo plotone erano bloccati dal fuoco nemico, riuscì a strisciare fino alla postazione della mitragliatrice nemica e a catturare i cinque tedeschi che si trovavano nella trincea (4). Ma la conquista di Pierantonio costò un prezzo elevato ai fanti del Punjab e del King's Own, che ebbero 36 uomini uccisi, tra cui tre ufficiali (5).

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A prendere Preggio, il 3 luglio, fu lo squadrone D del 1° reggimento del King's Dragoon Guards. I britannici definirono quella intorno al paese una “dura battaglia”. Aprì la strada verso la valle del Niccone, ma i carri armati ebbero a che fare con un percorso ostruito da crateri e con un intenso fuoco di sbarramento di artiglieria, mortai e mitragliatrici. Le prime pattuglie di fanti riuscirono a raggiungere il torrente Niccone il 4 luglio, “dopo aver trovato innumerevoli mine e demolizioni” (6). Come di prassi nella loro ritirata, i guastatori germanici avevano reso inservibile la strada della valle del Niccone, da essi considerata una via di rilevanza strategica (7).

Proprio quel 4 luglio il passaggio del fronte seminò la morte per la prima volta in dimensioni drammatiche tra la popolazione civile. Avrebbe dovuto essere il giorno lieto della liberazione e della fine del conflitto per quanti erano asserragliati da giorni in ogni genere di rifugio. Non fu così per i Braconi di Monsiano, vicino a Preggio. Una granata centrò la casa dove vivevano e uccise otto componenti di questa famiglia contadina: insieme al padre Gelindo e alla madre Isolina, decedettero i sei figli, di età da 4 a 19 anni. Li seppellirono nel cimitero di Preggio, in tre bare: in una dovettero sistemarci tre bambini (8). Altri quattro civili persero la vita per esplosioni di granate tra il 3 e il 6 luglio nel territorio che va da Montecastelli a Preggio: due donne a Monestevole e Montemigiano, un anziano arrotino a Montecastelli e un colono.

Note:

1) The campaign in Italy 1943-45, Official history of the Indian Armed Forces in the Second World War 1939-45, edited by Bisheshwar Prasad, D. Litt., 1960, p. 266 (Traduzione dell’autore). L’attacco a Monte Acuto partì da Pantano.

2) Friedrich Dettmer – Otto Jaus – Helmut Tolkhitt, Die 44,. Infanterie-Division Reichsgrenadier Hoch-Und Deutschmeister, Wolfersheim Berstadt, Podzung Pallas Verlag, s. d., pp. 319-320.

3) Ibidem.

4) 1 Battalion, King’s Own Royal Regiment, The Campaign In Italy June 1944 – July 1944 (in http:/www.kingsownmuseum.plus.com/1koitaly01.htm). Cfr. anche The campaign in Italy 1943-45 cit., p. 266.

5) Claudio Biscarini, Il passaggio del fronte in Umbria (giugno-luglio 1944), Fondazione Ranieri di Sorbello, Perugia 2014, p. 313.

6) 1 The King’s Dragoon Guards (The Welsh Cavalry), in MBRS.

7) Avorio, Tre noci per la memoria cit., pp. 63-67

8) Testimonianza di Fortunato Rossi. Nel 71º anniversario della strage, per iniziativa della Pro Loco di Preggio, è stata posta a Monsiano una lapide commemorativa del tragico evento.

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Le battaglie prima della liberazione - A. Tacchini
Titolo 6
Titolo 6
LA LIBERAZIONE DI UMBERTIDE (5 luglio 1944)

 

Dal libro “Guerra e Resistenza nell’Alta Valle del Tevere (1943-44) di ALVARO TACCHINI,

Petruzzi Editore, Città di Castello 2015.

 

Teodorico Forconi scriveva nel suo diario il 3 luglio: Il rumore spaventoso della truppa in ritirata incute terrore. [...] Intanto saltano mine e ponti; colpi da ogni parte. [...] Sulla strada secondaria comincia il passaggio serale dei soldati e mezzi in ritirata". Quello stesso giorno, a Città di Castello, pochi chilometri a nord di Falerno, dove Forconi era sfollato, i guastatori germanici facevano saltare in aria la stazione ferroviaria e procedevano con l'opera demolitrice della linea. Dall'altra parte del Tevere, sul colle di Serra Partucci a oriente di Umbertide, i contadini recatisi di buon mattino a mietere il grano s'accorsero che il fronte bellico stava ormai incombendo: "Abbiamo dovuto abbandonare in fretta il lavoro, perché si sentivano i cannoni molto vicino; cadevano granate. Tornando a casa abbiamo cominciato a lavorare vicino a casa, ma presto anche da qui siamo dovuti fuggire. Sempre più forte sparavano con l'artiglieria: una vera offensiva". La notte dal 3 al 4 luglio nessuno riuscì a dormire: "Di notte ci ha svegliato un gran boato, tutta la casa tremava, ci siamo subito alzati, vestiti e usciti fuori. Abbiamo visto saltare in aria un ponte e poi anche altri ponti. Tutta la notte sparavano terribilmente" (1). A crollare erano i ponti della valle dell'Assino, minati dai tedeschi. Le esplosioni si susseguivano da un lato all'altro della valle. Il 5 luglio il maestro Forconi annotava: "Un fortissimo rombo: cade il ponte che unisce Trestina a Cornetto. [...] Verso sera colpi di cannone tedesco sulla via di Montecastelli".

Poco prima dell'alba di quel 5 luglio, senza incontrare particolare resistenza, la 25a brigata indiana entrò a Umbertide con il 1° battaglione del King's Own Royal Regiment e ne acquisì il pieno controllo a sera con i1 3° battaglione del 1° reggimento Punjab (2). La notte stessa alcune pattuglie in avanscoperta entrarono in contatto con i tedeschi presso Montone. Costretti ad abbandonare Monte Acuto e Monte Corona, erano dunque retrocessi sulla linea di difesa Monte Bastiola - Montone – Carpini. Contemporaneamente gli anglo-indiani consolidavano le posizioni a ovest del Tevere, portando il quartiere generale tattico della l0a brigata a Polgeto, alle pendici di Monte Acuto. Un'annotazione nel “Diario di guerra” del 1° battaglione Durham rivela come, in una guerra che pure vedeva impiegati mezzi tecnici d'avanguardia, non si potesse ancora prescindere dall'apporto dei muli su un terreno montagnoso: "I muli sono arrivati al quartier generale tattico, in quanto è impossibile usare mezzi di trasporto" (3). Questi umili quadrupedi si sarebbero mostrati ancora essenziali nel prosieguo della guerra sulle montagne altotiberine.

Intanto, in Valdichiana, gli Alleati avevano raggiunto Castiglion Fiorentino e Monte San Savino. Invece, sul fianco destro della 10a divisione indiana, procedevano più lentamente. I mezzi corazzati del 12° Lancers stavano portando avanti un "pattugliamento aggressivo" in direzione di Gubbio, ma la conformazione del territorio permetteva ai tedeschi di tener bene sotto controllo la sola via di comunicazione attraverso i monti in quella zona: "La gola era profonda e le sue pareti ripide, così che con forze esigue si poteva controllare il passo indefinitamente. I tedeschi non subirono una dura pressione a Gubbio e difesero quel nodo viario per circa un mese dalle pattuglie del 12° Lancers" (4). Mentre a Umbertide continuavano ad affluire truppe anglo-indiane, festosamente accolte dalla popolazione, il governatore alleato il 9 agosto nominava sindaco Mariano Migliorati, al quale sarebbe succeduto di lì a pochi giorni Giuseppe Migliorati (5).

Nella campagna umbertidese veniva rinvenuto il corpo di un carpentiere di 65 anni, Emilio Paoletti, ucciso a colpi d'arma da fuoco - presumibilmente da truppe tedesche - intorno a1 24 giugno.

 

Note:

1) Testimonianza di Daniele Cernic, in Domenico e Daniele Cernic, “Due fratelli in un diario”.

2) Secondo Raffaele Mancini (Gruppo autonomo San Benedetto – Sue origini e attività svolte nel periodo settembre 1943-luglio 1944), il 5 luglio alcuni membri del gruppo partigiano umbertidese di San Benedetto scesero nella cittadina abbandonata dai tedeschi e non ancora liberata, costituendo “un nucleo armato per impedire furti nelle case abbandonate”; si incontrarono con gli anglo-indiani “nel pomeriggio dello stesso giorno in località Buzzacchero”.

3) Diario di guerra del 1º Battaglione Durham, 5 luglio 1944, in Tosti, “Belli lavori”; il 6 luglio il quartiere generale era avanzato al castello di Montalto. Cfr. anche “Il Passaggio del Fronte. Diario di guerra di un battaglione inglese. 1º giugno 1944-31 luglio 1944”, a cura di Mario Tosti, Rotary Club Città di Castello, per il 50º anniversario della Liberazione, Città di Castello 1994.

4) The campaign in Italy 1943-1945.

5) Entrarono a far parte della prima giunta amministrativa Nello Boldrini, Tramaglino Cerrini, Angelo Martinelli, Renato Ramaccioni, Giorgio Rappini, Aspromonte Rometti, Giuseppe Rondoni e Attilio Scannavin.

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La Liberazione di Umbertide - A. Tacchini
LE VITTIME CIVILI DELLA GUERRA NEL TERRITORIO DI UMBERTIDE 

Nel 1944, con l’avvicinarsi del fronte, la guerra arrivò nel nostro territorio con il suo drammatico carico di distruzione e morte. Furono circa 130 le vittime civili che persero la vita nei mesi che precedettero la liberazione della città, a partire dalla terribile devastazione del centro storico di umbertide il 25 aprile con 70 morti. Poi la rappresaglia di Serra Partucci il 24 giugno (5 morti), l’eccidio di Penetola il 28 giugno (12 morti) e la strage di Monsiano il 4 luglio (8 morti). Oltre a questi, molti altri umbertidesi sono morti in conseguenza della guerra in modi diversi fino al 1946.
 

Qui, vogliamo rendere omaggio alla loro memoria riportando le pagine che lo storico tifernate
Alvaro Tacchini ha a loro dedicato nel suo bellissimo libro “Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944”.

 

Vittime di mine e residuati bellici nel 1944-1946

- Alunni Violini Marsilio, di Dario, nato a Umbertide il 3 marzo 1910, bracciante, coniugato con Antonia Contadini, deceduto il 13 marzo 1945 a Sant'Orfeto per scoppio di ordigno esplosivo.

- Mannucci Letterio, di Annibale, nato a Montone il 22 dicembre 1912, residente a Santa Giuliana, bracciante, coniugato con Zaira Ceccagnoli, deceduto il 13 marzo 1945 a Sant'Orfeto per scoppio di ordigno esplosivo.

- Pannacci Francesco, di Antonio, nato a Montone l'8 maggio 1915, residente a Umbertide, fabbro, deceduto il 13 marzo 1945 a Sant'Orfeto per scoppio di ordigno esplosivo.

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L'esplosione della mina che uccise Alunni Violini, Mannucci e Pannacci avvenne alle ore 11.30 presso il ponte sul torrente Mussino.

 

- Arcelli Vittorio, di Luigi, nato a Perugia il 2 agosto 1887, residente a Pierantonio, coniugato con Cecilia Borchiellini, deceduto il 12 febbraio 1945 presso il ponte sul fiume Mussino di Pierantonio per scoppio di ordigno esplosivo.

- Bacini Pietro, di Attilio, nato il 24 aprile 1930 a Umbertide, dove risiedeva, colono, deceduto il 6 maggio 1946 a Felceto (Città di Castello) per scoppio di residuato bellico.

- Lisetti Vincenzo, di Leopoldo, di anni 19, colono, coniugato, deceduto il 13 marzo 1945 all'ospedale di Perugia forse per ferite da scoppio di ordigno bellico esploso a Romeggio.

- Broncolo Lazzaro, di Filippo, nato il 28 febbraio 1874 a Umbertide, dove risiedeva, colono, vedovo di Clelia Mochi, deceduto il 29 luglio 1944 a San Bartolomeo, presso Preggio, per scoppio di ordigno esplosivo.

- Iposolfito Margherita, nata il 7 marzo 1894 a Umbertide, dove risiedeva, casalinga, coniugata con Luigi Ambrosi, deceduta il 18 marzo 1944 a Romeggio per scoppio di ordigno esplosivo.

- Moroni Renato, di Sante, nato a Umbertide il 25 ottobre 1924, residente a Racchiusole, colono, deceduto il 30 agosto 1945 a Lugo di Romagna per scoppio di ordigno esplosivo.

- Picottini Amedeo, detto Vittorio, di Mariano, nato il 19 giugno 1915 a Umbertide, dove risiedeva, colono, coniugato con Ines Montanucci, deceduto il 12 dicembre 1944 a Camporeggiano (Gubbio) per esplosione di mina.

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Mitragliamento aereo di Montecastelli

Il 28 maggio 1944 morì a Montecastelli per mitragliamento aereo Carlo Belardinelli, di Vincenzo, nato il 20 novembre 1909 a Umbertide, dove risiedeva, bracciante, coniugato con Iolanda Citti.


Vittima di granata a Montemigiano

- Baldoni Filomena, di Domenico, nata il 17 dicembre 1894 a Umbertide, dove risiedeva, casalinga, coniugata con Nazzareno Palazzetti, deceduta il 6 luglio 1944 a Montemigiano per scoppio di granata.

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Vittime di bombardamenti e cannoneggiamenti a Umbertide

- Alunni Esposto Franco, di Luigi, nato a Umbertide il 5 maggio 1939, residente a Preggio, di famiglia colonica, deceduto il 26 luglio 1944 a Racchiusole, presso Preggio, per ferite da scheggia di granata.

- Baffetti Domenico, di Andrea, nato a Lisciano Niccone il 16 novembre 1904, residente a Preggio, colono, coniugato con Concetta Tamagnini, deceduto il 6 luglio 1944 presso Preggio per scoppio di granata.

- Belardinelli Ennio, di Giuseppe, nato il 19 maggio 1922 a Umbertide, dove risiedeva, insegnante elementare, deceduto il 7 luglio 1944 per le ferite provocate dallo scoppio di una granata presso Rocca d'Aries (Montone).

- Bottaccioli Stefano, di Domenico, nato il 9 maggio 1867 a Umbertide, dove risiedeva, arrotino, coniugato con Clotilde Alunni, deceduto il 5 luglio 1944 a Montecastelli per ferite all'addome prodotte da scheggia di granata.

- Marconi Giuseppe, di Antonio, nato il 24 settembre 1923 a Umbertide, dove risiedeva, colono, celibe, deceduto il 25 luglio 1944 a Preggio per ferite da schegge di granata.

- Simoncelli Stefano, di Napoleone, nato a Umbertide il 26 dicembre 1912, residente a Montecastelli, colono, coniugato con Olga Bazzurri, deceduto il 15 luglio 1944 all'ospedale di Perugia in seguito a ferita da mitragliatrice (o scheggia di granata).

- Trinari Ugo, di Angelo, nato a Umbertide il 9 giugno 1943, residente a Preggio, di famiglia colonica, deceduto il 14 luglio 1944 a Preggio per ferite da scheggia di granata.

- Vagliani Rosa, di Leopoldo, nata a Cortona il 13 gennaio 1889, residente a Umbertide, casalinga, coniugata con Giuseppe Ferranti, deceduta il 3 luglio 1944 a Monestevole per ferite da scoppio di granata.


Sono inoltre deceduti per la stessa causa a Umbertide i non residenti

- Betti Angelo, di Vincenzo, nato e residente a Perugia, di anni 72, coniugato con Oliva Bistocchi, deceduto il 23 giugno 1944 all'ospedale di Umbertide per ferite all'addome da scheggia di granata.

- Bistoni Achille, di Luigi, nato a Perugia nel 1867, residente a Perugia, colono, vedovo di Emilia Bottoni, deceduto il 29 giugno 1944 in voc. Sollicelli di Santa Giuliana in seguito a scoppio di granata.


Vittime dell'artiglieria britannica a Monsiano (Preggio)

4 luglio 1944

- Braconi Gelindo, di Pietro, nato a Passignano il 16 marzo 1899, colono, coniugato con Isolina Bellezzi.

- Bellezzi Isolina, di Francesco, nata a Passignano il 25 febbraio 1903, colona, coniugata con Gelindo Braconi, deceduta al Policlinico di - Perugia il 4 agosto 1944 in seguito alle ferite subite.

- Braconi Anna, di Gelindo, nata a Umbertide il 17 giugno 1936.

- Braconi Francesco, di Gelindo, nato a Umbertide il 24 agosto 1930.

- Braconi Maria, di Gelindo, nata a Umbertide il 7 novembre 1940.

- Braconi Luigina, di Gelindo, nata a Umbertide il 20 giugno 1925.

- Braconi Lorenzo, di Gelindo, nato a Umbertide il 17 giugno 1933.

- Braconi Rina, di Gelindo, nata a Lisciano Niccone il 30 gennaio 1928.

 

Vittime di altri bombardamenti aerei oltre a quello del 25 aprile

29-30 aprile 1944, Umbertide. Di nuovo preso di mira il ponte ferroviario sul Tevere. Il 30 aprile aerei in picchiata da Monte Acuto riuscirono a colpire l'arco a settentrione e a danneggiare la strada nazionale Tiberina 3Bis.

- 6 maggio 1944, Pierantonio (Umbertide). È bombardata la zona della ferrovia.

- 13 maggio 1944, Umbertide. Bombardata la zona della stazione.

- 21 maggio 1944, Umbertide. Distrutto il ponte di Pian d'Assino; bombardati altri ponti e mitragliati i treni nella stazione ferroviaria.

- 22 maggio 1944, Ranchi (Umbertide) e Promano (Città di Castello). Alle ore 14.50 mitragliamento del treno viaggiatori alla stazione di Ranchi e dell'abitato di Promano. Morirono due uomini; furono danneggiate tre vetture ferroviarie e incendiato un camion tedesco. La mattina, per un mitragliamento aereo della Ferrovia Appennino Centrale presso Torre dei Calzolari (Gubbio), persero la vita due umbertidesi.

- 28 maggio 1944, Umbertide. Incursione di aerei P. 47D del 57° Fighter Group: colpiti il piazzale della stazione di Umbertide, con l'officina ferroviaria, e l'abitato di Montecastelli, dove si ebbe una vittima.

- 31 maggio 1944, Umbertide. Incursione aerea contro la ferrovia.


Altre vittime di bombardamenti e mitragliamenti aerei

- Boriosi Roberto, di Giacomo, nato a Gubbio il 4 gennaio 1894, residente a Umbertide, commerciante in legna, coniugato con Alessandra - Bocci, deceduto il 22 maggio 1944 a Torre dei Calzolari (Gubbio) per mitragliamento aereo.

- Boriosi Ruggero, di Fortunato, nato a Gubbio il 20 luglio 1903, residente a Umbertide, commerciante in legna, coniugato con Clarice Curina, deceduto il 22 maggio 1944 a Torre dei Calzolari (Gubbio) per mitragliamento aereo.

- Bruni Giuseppe, di Luigi, nato l'8 dicembre 1891 a Umbertide, dove risiedeva, colono, coniugato con Filomena Bovari, deceduto il 27 giugno 1944 in frazione Badia per mitragliamento aereo.

- Gattaponi Luigi, di Giuseppe, nato a Città di Castello l'8 aprile 1885, residente a Umbertide, colono, celibe, deceduto l'8 luglio 1944 presso Santa Giuliana per mitragliamento aereo.

- Giombetti Antonio, di Giuseppe, nato a Fossato di Vico il 28 dicembre 1884, residente a Umbertide, ferroviere capotreno, coniugato con Anna Lena Baccellini, deceduto nell'incursione aerea su Ponte San Giovanni del 19 dicembre 1943.

- Nanni Alfredo, di Luigi, nato a Montone il 5 maggio 1915, residente a Umbertide, manovale ferroviere, celibe, deceduto il 19 dicembre 1943 nell'incursione aerea su Ponte San Giovanni.


Vittime di esecuzioni sommarie da parte dei tedeschi

- Bartocci Sigifrido [sic], di Angelo, nato a Umbertide il 18 aprile 1927, dove risiedeva, ucciso da soldati tedeschi in rastrellamento l'8 maggio 1944 presso Civitella Ranieri.

- Falcini Giuseppe, di Antonio, nato a Pietralunga il 30 ottobre 1913, residente a Umbertide, autista, coniugato con Rosina Vescarelli, ucciso il 7 maggio 1944 dai tedeschi in rastrellamento a Molino della Casella (Pietralunga).

- Paoletti Emilio, di Eugenio, nato a Perugia il 28 marzo 1879, residente a Umbertide, carpentiere, coniugato con Alessandrina Paolucci, ucciso verosimilmente da soldati tedeschi intorno al 24 giugno 1944 a Sant'Orfeto (Perugia), presso Pierantonio.

- Porrini Enrico, di Domenico, nato a Umbertide il 21 agosto 1883, impiegato, coniugato con Fidalma Gnagnetti, ucciso da soldati tedeschi intorno al 1° luglio 1944 a Badia di Montecorona.

- Sonaglia Gaudenzio, di Sante, nato a Umbertide il 10 gennaio 1865, colono, vedovo di Concetta Veschi, ucciso dai soldati tedeschi il 28 giugno 1944 a Santa Giuliana.


Vittima di militari alleati

Gonfiacani Ettore, di Giosafat, nato a Perugia il 16 giugno 1866, residente a Umbertide, deceduto l'8 luglio 1944, “ucciso da soldati indiani”, a Sioli, loc. Vignola (Gubbio), dove era sfollato.


 

Si annovera inoltre tra le vittime civili Palazzoli Natalino, di Giovan Battista, nato il 25 dicembre 1929 a Umbertide, residente in loc. Cioccolanti, investito e ucciso da un automezzo britannico il 15 agosto 1944 presso Montecastelli.


Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il volume di Alvaro Tacchini “Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.

Vittime civili ad Umbertide - A. Tacchini
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Partigiani di Umbertide
PARTIGIANI DI UMBERTIDE NELL'APPENNINO UMBRO E ALL'ESTERO

 

Partigiani di Umbertide e dintorni riconosciuti dalla Commissione umbra ed elencati nel Ruolino della “San Faustino”

 

- Cecchetti Guido, di Vittorio, di Umbertide, 1913-1999; carrettiere; partigiano dall'11 febbraio 1944.

- Loschi Francesco, di Nello, di Umbertide, 1926-1979; partigiano dal 1° maggio 1944; volontario nel Gruppo di Combattimento “Cremona”.

- Loschi Luciano, di Nello, nato a Umbertide nel 1924; partigiano dal 1° febbraio 1944.

 

Partigiani delle formazioni di Capelli e Montelovesco riconosciuti dalla Commissione umbra

 

I nominativi in questo elenco, sebbene non compaiano nel Ruolino della “San Faustino” o in altri suoi elenchi, sono stati riconosciuti dalla Commissione partigiani combattenti della Brigata. La data di conclusione della loro attività partigiana è il 15 luglio 1944.

 

- Baiocco Guido, di Luigi, di Umbertide, 1922-1981; partigiano dal 10 novembre 1943.

- Bonucci Raoul, di Giulio, di Umbertide, 1923-1970; maestro; partigiano dal 25 settembre 1943.

- Fiorucci Aurelio, di Luigi, Montone 1925 - Umbertide 2005; residente a San Faustino; colono; partigiano dal 10 settembre 1943.

- Fiorucci Giulio, di Domenico, nato a Gubbio nel 1901, residente in loc. San Faustino (Pietralunga); colono; riconosciuto partigiano combattente dal 15 ottobre 1943.

- Fiorucci Luigi, di Domenico, nato a Montone nel 1889, residente in loc. San Faustino (Pietralunga); colono; riconosciuto partigiano combattente dal 15 ottobre 1943.

- Gennari Addo, di Valerio, di Umbertide, 1920-1997; partigiano dal 15 marzo 1944; volontario nel Gruppo di Combattimento “Cremona”.

- Gennari Aspromonte, di Valerio, di Umbertide, 1917-1992; partigiano dal 15 marzo 1944.

- Giubilei Aurelio, di Antonio, di Umbertide 1925-1980; partigiano dal 15 ottobre 1943.

- Lazzarini Oscar, di Zino, di Umbertide, 1924-2005; studente; partigiano dal 1° dicembre 1943.

- Mancini Raffaele, di Domenico, Montone 1923 - Gualdo Tadino 2008; partigiano dal 15 maggio 1944.

- Migliorati Giuseppe, di Luigi, Città di Castello 1915 - Umbertide 1987; partigiano dal 10 novembre 1943.

- Nanni Ramiro, di Silvio, di Umbertide, 1909-1985; meccanico; partigiano dal 15 novembre 1943. - Ramaccioni Renato, di Angelo, di Umbertide, 1919-1994; avvocato, partigiano dal 5 novembre 1943.

- Simone Raffaele, di Ciro, nato a Manfredonia (FG) nel 1924, sfollato a Umbertide; partigiano dal 22 settembre 1943.

- Taticchi Antonio, di Gaetano, di Umbertide, 1903-1977; barbiere; partigiano dal 1° ottobre 1943.

- Urbanelli Pietro, di Giuseppe, Pietralunga 1909 - Umbertide 2001; colono; residente presso San Faustino di Bagnolo; partigiano dal 20 settembre 1943.

 

Partigiani di Umbertide nella banda di Capanne

 

- Feligioni Giovanni / Gianni, di Stefano, di Umbertide, 1924-1988; colono; partigiano dal 10 novembre 1943.

- Feligioni Giuseppe, di Carlo, Umbertide 1924 - Perugia 2005; colono; partigiano dal 10 novembre 1943.

 

Partigiani di Umbertide all'estero

 

- Baldoni Torquato, di Agostino, Passignano 1919 - Perugia 1990, residente a Racchiusole; colono; “si aggrega ai partigiani albanesi il 12 settembre 1943, rimpatria a Bari il 29 giugno 1945”.

- Brachelente Giuseppe, di Ginesio, di Umbertide, 1921-1991, residente a San Giuliano; colono; “si unisce con i ribelli greci il 13 settembre 1943”.

- Giovannoni Antonio, di Domenico, Umbertide 1920 - Perugia 1992, residente a Case Sparse; colono; partigiano combattente nella 4a Brigata Jugoslava, rimpatriato il 9 luglio 1945.

- Rometti Ugo, di Luigi, Umbertide 1918 - Perugia 1980, residente a Niccone; colono; partigiano nella Divisione “Garibaldi” in Jugoslavia dal 9 settembre 1943 all'aprile 1945.

- Rosignoli Stefano, di Rinaldo, di Umbertide, 1922-2013, residente a San Giuliano; bracciante; “coi partigiani nel Montenegro il 16 settembre 1943, rimpatriato col Battaglione Matteotti a Udine il 22 giugno 1945”.

- Valdambrini Arnaldo, di Giuseppe, di Umbertide, 1909-1999; barbiere; partigiano nella Divisione “Garibaldi” in Jugoslavia.

 

Componenti della banda di San Benedetto che non chiesero il riconoscimento ufficiale da parte della Commissione umbra

 

Beccafichi Aldo (1921), colono; Beccafichi Pio (1922), colono; Cuccarini Giuseppe (1905), colono; Fiorucci Anselmo (1902), colono; Fiorucci Guido; Floridi Giovanni (1925), coltivatore diretto; Floridi Ulisse (1925), coltivatore diretto; Fofi Antonio (1923), colono; Gianfranceschi Elio (1926), colono; Grassini Fernando (1923), colono; Grassini Giovanni (1923), colono; Grassini Terzilio (1926), colono; Moretti Corinto (1924), colono; Moretti Giuseppe (1921), colono; Pauselli Pasquale (1910), colono; Pauselli Pietro (1916), colono; Pedana Natale (1914), operaio; Vannini Marino (1924), colono (Tra parentesi è indicato l'anno di nascita).

 

Per il testo integrale con le note e i riferimenti iconografici, si veda il volume di Alvaro Tacchini “Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere 1943-1944, Petruzzi Editore, 2016.

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IL DIARIO DI RINO PUCCI

Da San Faustino a Po di Primaro

 

Nel 1975, in occasione del 30º anniversario della Resistenza e della Liberazione dal nazi-fascismo, nei Quaderni della Regione Umbria è stato pubblicato “Il Diario di Rino Pucci”, testimonianza umana e storica di quel periodo tragico della nostra storia italiana e locale.

Lo riproponiamo oggi, attraverso umbertidestoria.net, perché pensiamo che l’impegno e l’entusiasmo per la libertà di quei giovani, e il sacrificio di Rino, siano ancora un esempio per i giovani di oggi, in questo mondo che, nonostante il drammatico passato che si porta dietro, non è riuscito a bandire la guerra, a sconfiggere povertà e fame e a vivere in armonia con la natura e l’ambiente che ci circonda, sempre più fragile e minacciato.

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PRESENTAZIONE

 

La Consulta Comunale di Umbertide per le celebrazioni del trentennale della Liberazione, nel proporre all'attenzione dei propri concittadini, dei giovani specialmente, il «DIARIO» di Quirino Pucci, non ha cercato un mezzo o un'occasione, se volete, per rinvangare a fini speculativi, agendo sul sentimento, uno dei periodi più tragici del nostro recente passato. No. Il nostro è ben altro obiettivo: noi vorremmo far conoscere, attraverso un comune episodio, uno dei tanti, come è nata la Resistenza.

Rino non scrisse il suo «DIARIO» per la storia. Ma, senza volerlo, scrisse pagine di Storia, vera, immediata, vissuta.

Rino scrive le proprie impressioni, analizza i propri stati d'animo, cerca di fermare alcuni aspetti d'una vita nuova che vive all'improvviso, con un gruppo d'amici.

Perché scrive? Non certo per i posteri. Forse il suo intento sarà stato quello di poter rileggere un giorno, tanto tempo dopo, le pagine sbiadite di un diario sgualcito che ricordano l'episodio della montagna, per magari riderci sopra, con gli amici, con i familiari, con gli stessi protagonisti, come si ride di una storia di gioventù che, a pericolo scampato, assume il sapore di una allegra scampagnata. O, forse, per risognare con la sua «ELA» una gioventù ormai lontana, la loro gioventù difficile, ma pur sempre una gioventù intensamente vissuta.

E invece quel «dopo» quel «domani» per il quale il «DIARIO» fu scritto, per Rino non venne.

E non solo per Rino.

Il nostro Paese fu spazzato da una ondata di terrore e di odio: lacrime e sangue scorsero ovunque.

Per tanti, non venne il domani!

E, per chi venne, non fu certamente quello sognato da Rino e dai suoi amici. Fu duro, doloroso, implacabile nello smorzare i sogni e le speranze nate sui monti di S. Faustino, sui monti d'Italia.

Però non tutto il bagaglio ideale di quei giorni ormai lontani è andato perduto. Qualcosa è rimasto.

E quando, come oggi, sentiamo risorgere intorno a noi le forze del male, quelle stesse forze che credevamo d'aver disperso per sempre allora, trenta anni fa, quando vediamo messe in forse quelle verità e minacciate quelle Istituzioni per le quali i migliori caddero, allora ci ritroviamo tutti insieme e riprendiamo il dialogo, per ritrovare quella forza, quella stessa forza, che allora ci mosse e ci guidò al sacrificio ed alla vittoria.

Lo riprendiamo dalla casa di Anacleto, lo riprendiamo dalla vecchia pieve di San Faustino, famosa una volta per le sue campane dal canto d'argento, e oggi conosciuta anche per il nome dato alla formazione partigiana che operò in quella zona e nel pietralunghese, di cui, Tu, nel «DIARIO» fai già presagire la nascita.

Lo riprendiamo con tutti gli amici che erano con te, con quelli che sono venuti dopo, con quelli che ti sono stati vicini nell'ora del sacrificio supremo.

Lo riprendiamo con i giovani d'oggi, che non ti conoscono ancora, perché appunto imparino a conoscerti e, con Te, possano conoscere anche la Resistenza.

Ecco perché sono state riaperte le pagine del tuo «DIARIO». Oggi sono parte di una storia più grande di quella che tu ci racconti: sono parte della storia del nostro popolo che allora lottò, vinse e riconquistò la libertà perduta, rischiando e morendo, pur amando tanto la vita.

E perché da questa piccola finestra, aperta sul panorama della locale Resistenza, si possa più agevolmente guardare il panorama che offre, pensiamo giovi inquadrare gli avvenimenti nella cornice e nell'epoca in cui essi si svolsero.

 

Umbertide 1943

Nel capoluogo vivono poco più di 3.000 persone, nelle campagne, ancora fortemente abitate, 14.000 circa.

La guerra infuria da oltre tre anni. Prima lontana, ora vicina. Gli anglo-americani sbarcano in Sicilia.

Il 25 aprile cade il fascismo.

L'8 settembre il governo Badoglio firma la resa e scappa al Sud.

L'esercito italiano, lasciato senza guida, sbanda. I tedeschi dilagano nel paese.

Mussolini, liberato, costituisce la repubblica di Salò, serva dello straniero occupante.

L'anello della catena nazi-fascista torna ben presto a saldarsi intorno al collo degli italiani.

Tornano le «cartoline precetto».

I giovani, smarriti in così rapidi avvenimenti contraddittori, devono decidere.

Che fare ?

Molti scelgono la via della montagna. E, tra questi, un gruppo di otto ragazzi, di diversa condizione sociale e di diversa formazione politica, di diversa cultura e di diversa educazione, la notte tra il 22 e il 23 settembre 1943, s'avvia verso i monti di San Faustino, «affratellati da un comune sentimento di libertà e di italianità».

Di preciso non sanno cosa l'aspetta.

La lotta partigiana non è ancora organizzata.

Il loro è solamente un atto di ribellione, un anelito verso una vita migliore.

Visto oggi, possiamo definirlo un atto fondamentale, grande e coraggioso, poiché con quello nasce nella nostra zona la prima Resistenza.

Il «DIARIO» racconta la storia di quella fuga, dei primi giorni trascorsi in montagna.

Una storia appassionata, vera, che contiene tutte le speranze e tutte le delusioni di quei giorni d'attesa sui monti.

Una storia scritta in fretta, senza pretese, che scopre però l'impazienza propria dei giovani che vorrebbero passare subito all'azione. Azione che deve, invece essere organizzata, e che, per diverse ragioni tarda troppo a venire.

Il gruppo di casa Anacleto lentamente si sfalda, scompare. Il «DIARIO», aperto sui monti di San Faustino, dall'ampio e libero orizzonte, si chiude nel campo di lavoro di Collestrada, «prigione senza sbarre», come la definisce il suo autore. Sembra il tramonto di ogni speranza. Ma non è così.

Si chiude solo - e provvisoriamente - l'ultima pagina del «DIARIO».

Non quella della Resistenza che è nata veramente, che vive, che cresce in fretta.

Ben presto i giovani saranno di nuovo sui monti. In armi, questa volta.

E' l'ora. La lotta armata inizia: tra difficoltà ed errori, ma inizia.

I cento, i mille episodi che la compongono si snodano, si saldano insieme rapidamente. Alcuni di vasta portata e risonanza, i più silenziosi, modesti, oscuri, ma altrettanto importanti per la realizzazione dell'unico fine che la Resistenza s'è prefisso: liberare il nostro paese dallo straniero e dall'oppressore fascista.

Gli «Anacleti» ora sono tanti perché tanti sono i giovani accorsi sui monti. L'ospitalità dei contadini è piena, completa. Anzi, è più che ospitalità. E' partecipazione diretta alla lotta: dei giovanissimi, degli anziani, delle donne. Quelle di Vallescura, ad esempio, non esitano ad accorrere a spegnere il fuoco che arde la casa dei partigiani, quando ancora fascisti e tedeschi sono così vicini che si sentono le loro rauche voci.

Da San Faustino a Morena, da Montebello a Vialba, da Moravola a S. Leo, da Montone, a Pietralunga, a Gubbio, a Umbertide, è un fiorire di episodi grandi e piccoli, di atti di eroismo e di piccole azioni di disturbo, è un pungolo continuo che finisce per logorare i nervi ed il morale dell'esercito invasore che non si sente più sicuro sul suolo italiano.

Cadono, intanto, intorno a noi le vittime della guerra. Alcune hanno un lungo passato di lotta al fascismo, come il tenente colonnello Venanzio Gabriotti, fucilato dai nazi-fascisti a Città di Castello, altre sono giovani reclute della Resistenza, come il tenente Aldo Bologni, caduto a Montone con le armi in pugno, altre ancora uccise mentre cercano di organizzare la resistenza e la lotta, come Ennio Belardinelli e Giuseppe Falcini, caduti a Rocca d'Aria e Colle di Vialba, come Giuseppe Bernardini trucidato a Montecastelli. Altre del tutto innocenti, travolte dalla furia cieca della guerra, come le 70 vittime del bombardamento di Umbertide, i cinque fucilati di Serra Partucci, i dodici bruciati vivi di Niccone, il giovanissimo Sigfrido Bartocci, assassinato dai tedeschi tra il grano verde dei campi di Civitella e gli anziani Enrico Porrini, Gaudenzio Sonaglia, Luigi Gattaponi, uccisi per rappresaglia, rispettivamente nei cascinali di Badia di M. Corona, di S. Giuliana e di S. Cassiano. Ed ultimi, in ordine di tempo, i volontari Giuseppe Starnini, morto a Firenze, e Giuseppe Rosati, caduto a fianco di Rino.

Altri sono presi e rinchiusi nelle carceri fasciste, spesso torturati. Sono giovani ed anziani : è l'Italia tutta che si ribella e combatte.

Tra questi, ricordiamo una delle maggiori figure di animatore della resistenza nel pietralunghese: Bonuccio Bonucci, alla cui casa di San Faustino tanti giovani accorsero per avere un consiglio nell'ora difficile ed oscura, come fece il tuo gruppo, Rino, in quel lontano settembre del '43, o per avere un'arma, dopo, quando la lotta divampò più cruenta, come facemmo noi, nel '44. Bonucci, per l'arresto del quale fascisti e tedeschi si scomodarono in forze finché non riuscirono nel loro turpe intento.

E vicino a questo nome prestigioso, vogliamo ricordarne altri, più umili, che nessuno conosce, che solo pochi intimi ricordano: quello del colono Luigi Fiorucci, detto «Baldilino», arrestato durante un rastrellamento sui monti di S. Faustino, insieme ad un invalido della 1° guerra mondiale, Domenico Mancini, ed entrambi rinchiusi nelle carceri di Perugia, dove soffrono interrogati e maltrattamenti, ma non parlano. E, tra i più giovani, ricordiamo il M° Lamberto Beatini e Giuseppe Antonelli che, arrestati, rimangono per oltre sei mesi nelle carceri perugine, rei d'aver preferito la libertà e la lotta al servaggio fascista.

Intanto gli anglo-americani avanzano, arrivano a Umbertide. Ma la guerra non è finita.

C'è ancora bisogno di giovani gagliardi e generosi, disposti a combattere per la totale liberazione del Paese.

Partono i 24 volontari umbertidesi della «Cremona».

Il campo d'azione si sposta dalle nostre montagne alle vaste pianure del ravennate.

Rino è tra loro. Dove c'è una causa giusta da difendere, Egli non può mancare.

Il «DIARIO» riprende sotto forma di «BOLLETTINO». E' quello che per 18 giorni gli umbertidesi leggeranno in una bacheca della piazza Matteotti, ancora invasa di macerie.

Lo spirito goliardico, apparentemente scanzonato, riappare, torna a pizzicare fraternamente amici e commilitoni. Ma il «BOLLETTINO» appare più impegnato, più ufficiale, diremmo. Il giovane che lo redige s'è maturato in brevissimo tempo: s'è fatto uomo.

Rivelano questa maturità anche le poche lettere inviate dal fronte alla Madre. Rino è sempre il figlio affettuoso, ma più contento e laconico, quasi voglia nascondere alla madre il pericolo che incombe, quasi voglia rassicurarla che a difenderlo basterà la sua preghiera.

E poi, Po di Primaro, 3 MARZO 1945.

Una raffica di mitraglia stronca la Sua giovane vita.

Rino tace per sempre. Ma non la sua voce del Suo spirito. Quella continua con noi il colloquio ideale che unisce i vivi con i morti.

L'anno scorso, quando ci si chiese di indicare una breve epigrafe per il cippo commemorativo delle dodici vittime innocenti di Penetola, ci suggerì le parole del Tuo verso della «NOTTE» del «DIARIO»: ..... «Rino parlò: NON BISOGNA ODIARE» ..... Ed oggi, Rino, da un ruvido masso posto sul bordo della strada cortonese, i Martiri della Penetola ripetono il Tuo messaggio, parlano ai vivi con il Tuo cuore. Perché il cuore dei martiri è UNO. Uno solo. Ed ha un solo linguaggio. Universale. Come universale è la VERITA' per la quale siete caduti, per la quale vivete nell'animo nostro, per la quale vivrete nell'animo di coloro che verranno, per la quale ci ripetete:

 

NON ODIO

CHIEDIAMO A CHI RESTA

SOLTANTO MEMORIA

PERCHE' ALTRI

NON DEBBAN MORIRE

PER MANO ASSASSINA.

 

Umbertide, 14 settembre 1975

 

                                                                                                                                                                               Raffaele Mancini

 

 

IL DIARIO DI RINO

 

 

22 settembre – NOTTE

Nella notte stellata, ricamata da densi banchi di nubi, il silenzio assume un mistica religiosità, il viale bianco, fiancheggiato dai neri cipressi che maestosamente tentano scalare l'infinito, si distende, contorcendosi come un serpente, fra i campi verdeggianti, dove l'odore dei mosti novelli s'alza, fragrante di natura buona e generosa. II rumore degli scarponi ferrati che battono sicuri la terra dura rompe la calma serenità della notte.

Da un cascinale giunge l'abbaiare affannoso di un cane, un gallo si sveglia e tenta uno stridulo acuto mentre altri cento piccoli insetti della notte tentano invano, di accordare le loro voci misteriose.

Otto ragazzi marciano con giovanile baldanza verso la vita nuova, verso la libertà. Hanno lasciato dietro di loro una umanità falsa ed egoista, hanno disprezzato la bieca amicizia di uno straniero odiato, hanno abbandonato le care famiglie, gli agi, le persone che amano, hanno abbandonato tutto e tutti per vivere liberi, per sfuggire ad una odiosa schiavitù.

Un giorno: quando nell'alba radiosa un sole più splendente e limpido saetterà i suoi raggi caldi di fuoco e di vita sulla terra italiana tornata libera e pacifica, essi ritorneranno, ricominceranno la solita vita e di questi giorni duri, ma intrisi di ore felici, serberanno un dolce, eterno ricordo.

Siamo otto giovani, dai 18 ai 22 anni, alcuni studenti, altri operai, altri impiegati, affratellati da un comune sentimento di libertà e di italianità, pronti a dividere insieme rischi, pericoli, pane ed allegria. La strada è lunga e dura, ma noi non ce ne accorgiamo. C'è in noi la forza armoniosa della gioventù, quella forza che scaturisce dai cuori, che esala al di fuori di noi e colorisce tutte le cose intorno, anche le più inanimate, e le fa parlare e cantare di gioia.

Claudio, come al solito, anima la compagnia con le sue ignobili freddure, Ruggero marcia silenzioso e si perde con la natura, Piero forse penserà al suo bianco lettino, Aurelio insegue colonne aride di numeri, Guido sogna una bruna bambina della laguna, Peppe intravvede tra le foglie degli alberi teste ispide e barba folte, Menco si perde tra una nuvola dì fogli stampati e spera di poter scrivere presto un manifesto: «L'ITALIA E' LIBERA ! ITALIANI TORNATE ALLE VOSTRE CASE, AI VOSTRI LAVORI; DIFENDETE LA VOSTRA ITALIA!».

Io?... Un visetto pallido di bambina ed un turbine di capelli neri. E cammina e cammina, come nelle vecchie favole, i bravi ragazzi arrivano alla Torre..... E' la prima tappa, è il riposo agognato. La Torre : sono quattro mura disperse fra le piante di un boschetto, quattro mura diroccate, che un giorno videro le gesta eroiche di cavalieri erranti. Invano cerchiamo un ricovero nella torre: consigli, opinioni, ma si finisce per non capirci più niente. Stendiamo, infine, le coperte ai piedi di un muro che la patina del tempo ha tinto di colore grigiastro, ci accomodiamo alla meglio e, come Dio vuole, ci corichiamo. La terra è dura, non è un letto molto piacevole; il vento si insegue tra le fronde degli alberi che, con un brusio sordo, si sussurrano dolci ed intimi colloqui.

Frizzi allegri e motti salaci percuotono le vecchie mura che ci guardano austere, quasi rimproverandoci di aver rotto la loro secolare severità. Poi tutto tace.

lo non dormo, come forse non dormono gli altri ..... ognuno di noi insegue un fantasma che danza davanti ai nostri occhi : i ricordi battono alla porta dei nostri cuori con note dolci e tristi...... Piano, piano, gli occhi si chiudono nell'ultima visione ..... io..... Ela.

 

23 settembre

Una pioggerella fitta che si schermiva con le fronde, ci ha svegliati. Ho fatto il segno della Croce... Qualche cosa d'arcano che nasceva tra gli alberi mi ha spinto a farlo. Era la luce nuova del nuovo giorno, era il miracolo divino che si ripeteva con veste e colori nuovi, che ha parlato al mio cuore.

Avevo le ossa rotte, non sapevo se ero quadrato o rettangolare ; certamente ero una figura geometrica.

Erano le sei. L'alba svegliava gli uomini e le loro case, accendeva sentimenti e passioni nuove, riscaldava negli animi odio e amore che la notte per un istante aveva sopiti.

La valle sotto di noi sì velava di una scialba cortina di nebbia, cime di alti pini e di querce vetuste s'alzavano al di sopra di quel mare bianco e mite e sembravano oasi ridenti sorte per incanto pel tocco d'una bacchetta magica. I comignoli delle povere casette disperse fra le colline gentili ed i monti severi, mandavano con, torte spire di fuma : un fumo quasi timido di alzarsi verso il cielo, un fumo che ha l'odore di sudato lavoro e di serena gioia familiare.

Gli uccelli cinguettano garruli per l'aria e le note tristi e gioconde s'incontrano in una gara di bellezza e di gentilezza....

Ho tardato ieri sera ad addormentarmi.... le stelle tremolanti mi sorridevano dall'alto, timide nel loro splendore ed io vedevo il volto d'una cara bambina che mi sorrideva con loro.

Anche gli altri si svegliano: negli occhi ancor gonfi ognuno insegue l'ultima visione della notte..... Piero ha chiamato la mamma..... La mamma: Vangelo buono che veglia su noi, la dolce, cara, creatura che ci accompagna con le sue preghiere, che ci insegue con i suoi pacati ed affettuosi consigli, che riposa sui nostri cuori cullandoli ed accarezzandoli con quella voce dolce e cara che tante volte ci ha fatto dormire quando eravamo bambini, quando ancora la vita era una favola con le fate buone e gli orchi cattivi. Mammina cara, forse stanotte, nel sonno agitato, ti sei svegliata.... è stato l'orologio della torre a svegliarti con i suoi battiti lenti.... ti ha ripetuto il mio nome e ti ha fatto sussultare di paura per il tuo figliolo lontano... forse hai pianto e nella tua calda fantasia di madre mi hai visto camminare stanco..... fra uomini cattivi..... Allora dal cuore è nata una preghiera e gli angeli buoni sono scesi dal cielo, hanno preso la tua preghiera e l'hanno portata in cielo, al Signore..…

Zaini in spalla e, avanti march! Riprendiamo il cammino. L'aria fresca e pungente del mattino penetra nelle membra e le filtra di umore e di forza nuova. Si marcia : prima in silenzio poi s'alza un canto leggero che via via si alza e rimbomba. Sorge dai nostri petti. Siamo liberi.....

Sulla cima di una collina ci fermiamo e facciamo colazione. Sardine in scatola

- Lo sapete - dice Claudio - perché le sardine si mettono sott'olio ?

- Perché quando il mare è calmo..... è come un olio.

Claudio è un gran bravo ragazzo, però sì rovina con le sue freddure che io.... boicotterò sempre, finché avrò un po' di fiato. E' un ragazzo intelligente, studia medicina, come me.

Siamo compagni di scuola ed anche nella vita. Non è molto bello, ma si salva per via di un paio di baffi che fin'ora nessuno è riuscito a vedere. In fatto di donne, quando non ci sono io, ha abbastanza fortuna. Sa stare in compagnia.... ed anche in plotone. Il caro amico mi scuserà per questa piccola freddura. Chi va con lo zoppo - dice un proverbio - impara a zoppicare.

La colazione mattutina è stata buona ed ha stretto ancor più i nostri legami. Il « Secco » - Giubilei Aurelio per chi non lo sapesse - nel frattempo era andato in perlustrazione e dopo mezz'ora circa è tornato con la buona novella: un contadino era disposto ad ospitarci. Ci siamo messi subito in marcia per l'ultima tappa. Siamo stati accolti nel cascinale dall'abbaiare del cane, lo starnazzare delle oche e il grugnito dei maiali.

 

23 settembre

NOTTE

 

Scendevan lievi l’ombre della sera:

radunati pensavamo a ciò che era,

guardavamo nell'intimo del cuore

per cercarvi il conforto dell'amore.

 

E il pensiero nostro era lontano,

e a tratti parlavamo piano piano.

Occhi tesi oltre i monti, in lontananza,

volti tesi in una estrema desianza.

 

Sembianza cara e triste,

immagine dolce ad ombre miste....

Una dolcezza che moriva in pianto

e un dolore forte, ... ma senza schianto.

 

D'un tratto per togliere la pena

sorse un'accorata cantilena:

un lungo canto pieno dì ricordi

che penetrava dentro nei precordi.

 

Voci alterne che non erano canto,

ma solo grida per fugare il pianto:

voci e voci e ritmi più vari,

motivi allegri, motivi amari.....

 

RINO PARLO': - NON BISOGNA ODIARE,

non lo sentite che bisogna amare ?

un desiderio di volersi bene,

di stringersi forte, affratellati insieme?

 

Non lo sentite che la natura canta

i suoi inni di gioia e di speranza?

Non vedete dirlo anche alle stelle

che brillano nel ciel come sorelle?

 

E nel cuor c'è una voce che ci dice:

- Vivi, ama, spera e sii felice!

- Non lo sentite che lo parla al cuore

questa silente notte di tepore?

 

Nessun rispose alle sue parole,

ciascuno chiuso in un dolor che duole...

 

Solo Claudio guardò a lungo, pensoso,

rincorrendo non so quale pensiero ansioso....

 

Guardai quei volti tristi ma speranti,

con la tristezza propria degli amanti.

 

Rino

 

24 Settembre

II sole già filtrava attraverso le fragili pareti della capanna sul nostro giaciglio e il cielo si andava tingendo d'un azzurro chiaro. Quando ho aperto gli occhi, Piero e Claudio dormivano ancora. Ela mi è apparsa in sogno. Quanta gioia mi ha portato la sua visione... m'è sembrato che stesse vicino, che mi accarezzasse i capelli; il tocco delle sue mani era lieve e l'olezzo calda del fiato m'irrorava il viso scaldandolo di un dolce tepore. I suoi occhi, di quel colore che non ho mai conosciuto, mi sorridevano dolci o mi parlavano con il loro muto melanconico linguaggio. Ela... bambina mia cara, torna ogni notte a trovarmi, torna ad accarezzarmi, dimmi quelle affettuose parole che tanto mi fanno gioire, ripetimi ancora, piccola cara, il tuo amore, le tue speranze, ed i nostri sogni. Un destino cattivo ci tiene lontani, ma i nostri cuori sono vicini e sognano la casina di legno sulla montagna, il piccolo Mauro, e quegli istanti che traboccheranno di intensa felicità. Quando anche Piero e Claudio si svegliarono intonammo una canzone, ma la nostra voce era stanca ed i nostri pensieri erano lontani. Il buon Anacleto ci ha offerto il latte di capra, era fresco e dolce. Per sfuggire ad un eventuale pericolo ci siamo recati nel bosco . Abbiamo lavorato alacremente per costruire una capanna, si lavorava febbrilmente ed il lavoro era intercalato da canti e barzellette che Claudio coloriva meglio di me nella sua satira. Tutti sembrano contenti ma forse nei loro cuori c'è un dolce rimpianto, un desio che preme i cuori d'affanno e di tristezza. Ognuno di noi custodisce un segreto nel cuore, un segreto che ci fa sperare, che ci fa aspettare fidenti il domani. l'uomo è strano... non può vivere nel pericolo se non sogna una gioia futura e... basta! basta!

Qualche cosa urge il mio cuore, qualche cosa che non conosco ma che scuote i miei pensieri, batte i miei sentimenti e mi fa oscillare fra una gioia che sta per sfuggire ed una pena che forse verrà. Claudio mi comprende... mi guarda e sorride, dice che sono un mascalzone, ma nel suo cuore pensa che sono un buon ragazzo, un po' troppo carico di fantasia e di idee qualche volta malsane. Con Claudio e Ruggero mi trovo molto bene, essi sono un po' come me, vivono in terra e sognano il cielo. Forse nei prossimi fogli tenterò dì parlare dei miei compagni, sarà un lavoro difficile, perché se facile è ritrarre le sembianze di un uomo, difficile è analizzare i suoi sentimenti. C'è Chiara che è una gran brava bambina, ha negli occhi una ingenuità infantile, hanno un riflesso azzurro e colpiscono profondamente. Ha un visetto piccolo e grazioso; i suoi lineamenti sono regolari e gentili, i capelli castani leggermente ondulati le scendono sul collo esile e bianco. Non so cosa pensi, perché anche i suoi pensieri sono leggeri e velati come la sua persona. Chiara mi piace.

Quando sono con lei mi sento sereno ed una felicità infantile scende nell'anima mia. La vita corre con quella lenta monotonia che è il pane quotidiano di questa buona gente. Ieri sera, mentre ci ritiravamo per dormire abbiamo vista dei lumi a valle. Chi sono? Le supposizioni più strane e le deliberazioni più disparate. lo avevo proposto di fare una spedizione, ma poi siamo andati a dormire. E' la più bella cosa che abbiamo potuto fare. Prima di addormentarmi ho pregato, ora, prego tutte le sere, vi trovo una pace nuova, un conforto che mi fa tanto bene. Madonnina cara che sei nei cieli, guardaci dall'alto e posa la tua mano benigna sulle nostre teste, insegnaci tu la strada che conduce verso la vera felicità, quella felicità che gli uomini non conoscono, quella serena felicità che c'è soltanto nel tuo cielo, vieni dolce, cara e buona mamma da noi tutti e dacci la tua benedizione.

 

25 Settembre

Mi sono svegliato molto nervoso. Questa vita calma e monotona mi esaspera... non so cosa mi succeda, il mio spirito è scosso ed il mio cervello va qualche minuto indietro. Strano ! Ho desiderato sempre la serena tranquillità della campagna ed ho sempre amato il profondo brusio dei boschi, e le valli che si distendono ai piedi dei monti, con i lunghi filari di viti, le stradette che si snodano fra le grigie casette dei contadini, i paesetti dagli alti campanili che si riposano sulla riva di un fiume o fra le gialle spighe del grano. Accade sempre così... desiderare una cosa, vivere per più giorni beandoci nel suo sogno e poi... quando viene già siamo stanchi. I giorni più o meno li trascorriamo sempre nello stesso tenore : si gioca, si canta, si va peregrinando pei boschi finché giunge la sera. La sera ognuno di noi ritrova se stesso. Sembra che le ombre oscure della mia grande amica scendendo dalle cime dei monti ci riportino le nostre spoglie mortali, che il giorno morente ci aveva strappato. Sera, ... istanti pieni d'incanto, voci divine che parlano con nostalgica tenerezza, momenti in cui l'anima esce dal corpo e s'alza verso il cielo : «Non senti, caro amico - par che per essa dica il corpo - l'usignol che canta, non odi tu le note armoniose con cui risponde l'amata? Ascolta: questo è il vento che schermisce le fronde, il suo soffio è più leggero e la carezza più lieve; egli scaccia le ultime luci del giorno e le tremule ombre presto saranno fra noi. Addio corpo, addio prati bruciati dal sole, addio lieto cinguettar d'uccelli, addio affannoso ansimare di macchine e braccia, anche a voi o buoi che poco fa sbuffavate sotto il pesante giogo o caprette belanti, anche a voi io dico addio, presto le sorelle stelle illumineranno la notte e la luna si poserà tra le fronde, presto la sera farà posto alla notte e la Pace alla fatica, io spazierò nel cielo e cercherò la tua stella. Addio».

E quando la sera ha finalmente liberato le nostre anime, sentiamo un bisogno arcano di cantare, di far tremare nell'aria le nostre voci... io credo che questa sia una serenata che i nostri cuori facciano alla sera, forse una preghiera che essi vogliono innalzare all'amica nascosta, una preghiera che porta con sé il rammarico di un giorno di una speranza perduta, un sogno infranto, una felicità che non tornerà mai più. C’è negli occhi una lieta bontà, c'è nella voce un tremore che forse è triste, forse gioioso, c'è in tutti noi l'immagine dei cari lontani, delle case spogliate dei nostri trilli giovanili, c'è gioia e tristezza volontà e stanchezza pianto e sorriso e più ancora un gran desiderio di pace.

 

27 Settembre

Ruggero e Claudio sono seduti dietro a me cantano. Già da venti minuti annoiando con le loro voci stonate... pur tuttavia non li maledico, il loro canto mi scioglie un po' di quella triste indefinibile malinconia che da qualche giorno mi opprime ad intervalli. Forse sono quegli istanti in cui mi assale il desiderio di Ela. Cosa farà la mia piccola in quest'istante? Mi sembra di vederla con il suo vestitino a fiori, seduta sul divano assorta e pensosa su un libro che non riesce a leggere... con lei c'è Rossella, la nostra cara bambina, che sorride e con la sua vocetta le domanda: «Mamma, dov'è il papà, quando ritorna?» Allora Ela comincia a raccontare: «Il papà, gioia mia, è andato sulle montagne per fuggire gli uomini cattivi che volevano fargli del male. Con il papà ci sono tanti altri giovani, essi dormono la notte nelle capanne ed il giorno vanno per i boschi. Presto saranno armati ed allora andranno a combattere gli uomini cattivi». Poi la sua voce si spegne e Rossella l'accarezza sulla guancia e le dice: «Perché piangi mammina?».

Ieri sera abbiamo cambiato appartamento. Dormiamo tutti otto in una cucina inusata. Quando si va a dormire c'è un po' di allegria, si tarda a prendere sonno ed oscilliamo fra una freddura di Claudio ed un rumore di Piero. Ieri sera siamo stati a veglia da Anacleto, dove Guido si è arrabbiato perché il solito Claudio con le sue solite stolte freddure l'ha punto in un lato delicato della sua vita. Stamattino Pippo, Ferranti e Fiorucci son venuti a trovarci. C'è stato uno scambio di vedute e solidali accordi per il futuro.

... e la vita scorre, come il ruscello scende dal monte, limpida, monotona, sussurrante e calma.

​

30 Settembre

Siamo stati da Bonucci. Tutte le sere andiamo da lui per conoscere le ultime notizie e per prendere accordi sulle nostre future azioni. Bonucci è un uomo molto in gamba, un uomo d'azione che ha promesso di farci fare qualche cosa. Questa vita sempre uguale e facile comincia a stancarci; siamo giovani, abbiamo i cuori bollenti e la testa piena di fantasie e vogliamo essere impiegati in qualche azione. Ruggero è molto triste: ricordi, speranze, sogni, chissà? Forse è la noia. Seguitiamo a giocare ed a scherzare, ma una triste malinconia ci opprime, grigia come queste giornate d'autunno senza sole, silenziosa come questi boschi che sanno solo tremare al vento.

 

4 Ottobre

Cosa importano le date? Tutti i giorni sono uguali ogni ora la nostra vita si ripete grigia ed uniforme. Se il tempo non fosse segnato la nostra esistenza sarebbe più bella, non si distinguerebbe l'oggi dal domani, non ricorderesti il giorno che fosti felice ed il giorno che soffristi, ma la tua memoria si perderebbe nel tempo uguale, senza il battito dell'orologio che continuamente ti ripete la tua piccolezza e la brevità della tua esistenza. II giorno sarebbe diverso dalla notte soltanto per il buio e la felicità si separerebbe dalla noia per il tempo che passa. Oggi è il quattro ottobre e i minuti rincorrono le ore; presto sarà mezzogiorno e mangeremo, poi verrà la sera con la notte ed andremo a dormire e questa data avrà segnato un'altra tappa del nostro triste cammino. Ieri l'altro mentre io ero assente c'era stato un allarme. Erano un maresciallo ed un carabiniere che venivano a perlustrare questa zona. Si sono radunati una ventina d'uomini, fra i miei compagni ed altri contadini e sono corsi nella zona pericolosa per sventare qualsiasi tentativo di violenza. Ma i due gendarmi vista la male parata se ne sono andati ed è sfumata anche un'avventura che prometteva di distoglierci un poco da questa odiosa monotonia. Ieri, domenica, abbiamo fatto un po' di festa. Abbiamo mangiata e bevuto più del solito, abbiamo cercato di ridere e scherzare con più sincerità per allontanare la tristezza dai nostri cuori e per segnare in qualche modo una festa che nessuno di noi sentiva. Verso sera è venuta la signora Bonucci ed insieme a Claudio e Chiaretta abbiamo fatto una passeggiata. L'aria vespertina era calma, dal punto dove eravamo si vedevano i monti toccarsi, unirsi ed erigersi maestosi verso fitte cortine di nubi che il sole morente cercava invano di ferire. I nostri discorsi erano vuoti e la mia anima vagava con il vento che sfiorava le cime boscose dei monti, si perdeva con esso fra le foglie che cominciano a ingiallire, si perdeva con esso ovunque e come lui non aveva riposo. Quando siamo tornati alla cascina ho trovato una lettera di Ela.

Sono diventato triste, un nodo di pianto mi stringeva la gola. Ma tu, mio caro diario, mi permetterai uno sfogo, tu ascolterai quello che il mio cuore non ha saputo confessare ad alcuno. Tu sei condiscendente e buono, tu ascolti le nostre gioie e le nostre pene e non parli, il tuo volto è sempre pallido ed uguale, tu non hai la voce per gridare, il cuore per amare e le mani per accarezzare, tu sei più felice di noi perché non soffri e non gioisci, ma ascolti e taci. Spesso nel tuo candore io cerco il volto di colei che tanto amo, di colei che vive dentro di me e palpita dei miei palpiti, lo cerco nelle tue righe e lo trovo sempre caro ed affettuoso, sorridente di quel sorriso che mi spinge a sognare ed a sperare che scende nell'animo mio come un balsamo rivivificatore, che riempie la mia solitudine di gioia e spesso, però anche di tristezza. Io ho quello che gli altri non hanno, io ho l'amore che mi distingue da Ruggero, da Claudio e dagli altri, io ho la fede in questo amore puro e sincero che fa della mia vita una missione, ho la certezza del bene di questo amore che mi salva dal male che con i suoi neri polipi avvolge tutta la terra e la stringe e la stringe nel suo dolore. Soltanto che quest'affetto così grande spesso mi opprime, specialmente nella solitudine e nella lontananza, con il ricordo delle ore felici con la paura che debba finire. E' la paura che un Dio geloso della mia felicità scenda dal suo trono di tiranno per carpirmi questo tesoro, per schiacciarmi come gli altri sotto i suoi piedi insanguinati dal sangue di migliaia di vittime innocenti che egli, superbo della sua grandezza e geloso della sua gloria prezzolata, ha costretto nel dolore e nella miseria. Ma l'amore ci salva, l'amore che ha creato l'Universo, l'amore che è in ogni creatura, pronto a scaturire fuori di fronte all'ira del tiranno, ci accoglie nelle sue braccia quando noi stiamo per soccombere; è soltanto nell'amore che ogni uomo deve credere e deve porre la sua fede, di lui dobbiamo fare la nostra religione, a lui affidare le nostre vite: l'amore è il ponte che ci lega all'infinito, l'amore è la forza che ci sorregge, davanti all'immensità dell'universo, è l'amore infine che stringe una catena fra la vita e la morte, Quando sono triste mi piace ubriacarmi. Ieri sera l'ho fatto. L'ebbrezza dell’alcool scioglie la nostra malinconia e ci fa sorridere. I miei compagni hanno tentato invano di conoscere il motivo: Claudio mi è venuto accanto e con parole amorevoli ha cercato di aiutarmi, capiva benissimo che la mia allegria era finta ed il mio sorriso era pianto. Ruggero ha cercato di imitarmi, ma non era ubriaco, forse pensava a quel detto che dice: «in due si soffre meglio». Stamattina stavo male ed ora cerco invano di cambiare la serenità con la tristezza.

 

7 Ottobre

Menco è sul letto che legge, io scrivo sopra una cassapanca, gli altri sono in cucina che discorrono e scherzano con le donne..... fuori piove. E' l'autunno che pian piano, scacciando la calda e odorosa estate, si desta intorno a noi. Qualche foglia ingiallita già è caduta nel fango, le caprette s'indugiano sui fili verdi che presto appassiranno e moriranno. Da una grossa e fronduta quercia una piccola fogliolina gialla tentenna; la pioggia la scuote, ma essa vuol rimanere tra le sue compagne ancora verdi e vive. Una scossa di pioggia più forte la fa cadere.... vibra nell'aria, rotola, si rialza sospinta da un soffio dì vento, rotola ancora e poi dolcemente si posa in terra. La pioggia la percuote, l'affonda un po' nel fango, ma essa brilla sempre di quella sua luce gialla che annoia, di quel pallore, scialbo che precede la morte. Passa un pastorello col suo gregge e la colpisce col bastone ; tante zampette la calpestano, l'insudiciano e la ricoprono di terra... il gregge s'allontana belando, il pastorello fischietta ed agita il suo bastone, la piccola fogliolina gialla non si vede più. Piove! E' autunno!!

Siamo rimasti in sei. Guido è andato da un altro contadino e credo si trovi bene, Ruggero è ritornato a Vialba, dove faceva scuola, per cercarvi un po' di allegria, per trovarvi qualche cosa che rompa il cerchio di tristezza che ci circonda un po' tutti. Ieri sono andato a trovarlo insieme a Menco; dovevano venire pure gli altri ma Aurelio, mentre sopra un olmo strecciava le viti e sorrideva al sorriso della Nella è caduto e, dice lui, si è fatto molto male. lo credo invece che sia caduto una sola volta, da piccolo. Già che siamo in discorso di Aurelio voglio parlare un po' di lui. L'abbiamo soprannominato, oltre al già famoso «secco», «affannatico» per la mania che ha di correre e di sbrigare tutte le cose in maniera celere e alquanto irregolare. Questo soprannome forse non va bene con l'impiego che occupa. Infatti lavora presso una banca del paese, a quanto dicono è un ragazzo ordinato, laborioso, che riscuote molta stima dai suoi superiori. E' snello alto, fronte spaziosa, occhi intelligenti e nobili, porta i capelli lisci e biondi all'indietro. A parte il suo affanno, e la sua proverbiale sfortuna in amore, è un gran bravo ragazzo. Forse, dico forse perché mi potrei sbagliare, sognerà un buon posto nella sua banca, una casetta linda, una graziosa mogliettina, dei bambini e desidererà una vita calma e serena, anche se fatta di molte somme e di molte sottrazioni. Ritornando al mancato intervento dei miei compagni alla gita di ieri, anche per Peppe si è trattato di una caduta; questa volta, però non c'era un olmo di mezzo, né un sorriso, bensì un cavallo. Claudio infine non è venuto perché sembra che una certa signorina Chiaretta glielo abbia proibito... punto e basta. Ho avuto ieri l'occasione di telefonare a Ela, ciò che ho provato è un dolce e caro segreto che voglio tenermi tutto per me. Ora, gli allarmi diventano più frequenti e credo che presto tuonerà e tuonerà... bene per noi e mal per chi è contro di noi.

 

12 Ottobre

Nella nostra compagnia sono avvenuti molti cambiamenti. Siamo rimasti in cinque. Guido è andato da altri contadini più vicino e pare vi si trovi molto bene. Poi c'è con lui Gianni di Biretone, che è un contadino civilizzato dal servizio militare; sembra che un giorno questo tale si sia spacciato per ingegnere... quindi ha fatto molti progressi. Aurelio è ritornato a Umbertide per riprendere il lavoro in banca. Ruggero è tornato dove ha fatto scuola e sta con alcuni bravi contadini suoi conoscenti. Mentre ci è rimasta indifferente la partenza di Guido, sentiamo invece la lontananza di Aurelio e di Ruggero. Il primo ha prodotto un vuoto per la sua vivacità, il secondo per il suo pessimismo. Infatti senza Aurelio si procede con più calma ed anche a letto si dorme meglio, poiché non c'è più nessuno che tira le coperte, dà calci e mette la testa in bocca. Ruggero qualche volta, ci circondava della sua tristezza e rendeva impazienti pure noi di fronte al lento svolgersi degli avvenimenti. Noi rimasti siamo molto calmi e sappiamo sopportare con più abnegazione il monotono fluire dei giorni sempre uguali e tristi....

Domenica siamo stati alla messa a San Faustino con molta gioia del prete che per l'occasione ha sfoggiato una delle migliori prediche. Questo pretonzolo m'aveva minacciato giorni fa una campagna disfattista perché andavo in giro con i pantaloni corti. Con un buon bicchiere di vino santo che è il migliore dei Santi, abbiamo fatto la pace. Mi sono però convinto, dopo una lunga assenza che anche la messa non serve a niente; è un rito noioso, stupido e senza senso, che molte volte professiamo o per vedere una donna che ci interessa o per ammazzare il tempo o anche perché, ormai tanti prima di noi l'hanno fatto. Questi giorni ho avuto un bisticcio con Claudio e per un certo tempo siamo stati imbronciati poi tutto è passato. Per questa ragione il mio amico ha cancellato il suo diario satirico. Incomincia a far freddo ed il vento soffia senza riposo tirandosi dietro nuvoloni neri e spazzando le foglie che cadono dagli alberi.

Stamane ho fatto le fotografie insieme a Piero. Mentre scendevo dal monte dove eravamo stati ad immortalarci, ho incontrato Loschi Mario e Nino Conti che venivano a cercarci. In un primo tempo non l'avevo riconosciuti ed avevo messo la mano sulla pistola spaventando con questo gesto i due compagni, che a loro volta, non avendomi conosciuto, si erano nascosti dietro ad un'altura prendendomi di mira con un vecchio archibugio, che, se avesse sparato, avrebbe fatto venire il terremoto. Nino è venuto da Napoli, sfuggendo ai tedeschi ed agli inglesi, è abbastanza sciupato e ne racconta delle belle. Si fermeranno con noi e così potremo ricostruire anche la compagnia.

 

13 Ottobre

Questa notte abbiamo dormito sulla paglia nuova, regalataci da S. Pietro.

S. Pietro non è quello che secondo la leggenda cristiana, guarda le porte del paradiso, ma un bravo contadino che abita vicino a noi. Il suo vero nome è Agostino, ma tutti lo chiamano S. Pietro. E' un ometto basso, gracile, con la testa pelata e due occhietti piccoli e infossati. Tutti i contadini della zona ci sono amici e ci aiutano, sia perché il nostro contadino è di natura generosa e buona e sia perché il nostro bravo Peppe ha aperto una barbieria detta «Barbieria di San Faustino», nel nostro piccolo appartamento. Giornalmente ed ancor più il sabato, arrivano i bravi coloni a farsi radere la barba e tagliare i capelli. Il novello Figaro non riceve alcuna ricompensa, ma accetta volentieri uova e pane.

Peppe è uno dei ragazzi più seri e più laboriosi della nostra compagnia. Non molto alto, ha una bella testa di riccioli neri e due occhi grandi e buoni che guardano da una faccia larga che s'attacca al corpo massiccio con un bel collo taurino. Peppe è uno di quei ragazzi semplici e sinceri, che guardano con sicurezza la vita, senza grandi sogni o voli di fantasia. E' fidanzato con una bella ragazza che gli manda continuamente lettere, sigarette e marmellata. E' molto bravo nel suo mestiere e mi resta molto simpatico, anche perché non ha quella falsa petulanza e non sfoggia quelle ipocrite gentilezze e quella scienza barbosa che sono in genere le armi predilette di ogni barbiere. Canta anche abbastanza bene e la sua voce ha un bel timbro forte e caldo che spesso mi avvolge e mi aiuta a sognare. Ecco perché spesso lo esorto a cantare, quando sono triste. Io e lui siamo gli ultimi ad addormentarci ed i primi a svegliarci. Da questo ho potuto arguire che anche nel suo cuore dovrebbe esser celato un dolce segreto..... credo ch'egli, pur senza grandi slanci lirici, accarezzi un piccolo sogno: un bel negozio tutto suo, una bella casa con una bella mogliettina che ogni sera gli sfiori con una mano buona i riccioli neri e gli faccia dimenticare le teste dei clienti e le spazzole noiose e unte.

Nino è rimasto con noi ed è già divenuto uno degli uomini più temuti del quadrigliato.

Oggi sono tre settimane che siamo fuggiti; ne passeranno ancora prima che possiamo tornare alle nostre case ed alle persone che amiamo.

 

* * * * *

 

31 Gennaio 1944 - ROCCA D'ARIA

..... e poi tornò a nascondersi nel bosco. Come i vecchi briganti che scendevano a valle per fare rapine e risalivano poi carichi di bottino a nascondersi nel bosco, così io dopo un periodo di tempo trascorso con la mia famiglia e la mia Ela, sono dovuto rifugiarmi nuovamente fra queste aspre montagne. Senza bottino e senza delitti sulla coscienza, colpevole solo di odiare la schiavitù tirannica ed un obbrobrioso lavoro mercenario.

Questa volta sono capitato in un vecchio castello medioevale, situato su una collina aspra e scoscesa che domina una piccola valle segnata da un mormorante torrente e tante altre colline e piccole montagne cariche di pini e d'abeti e di querce vetuste e novelle. Occupo uno stanzone dove alla meglio ho arredato una camera che fa anche da sala e da cucina. Non è brutta, è assai carina ed ospitale, tanto più bella e gradita sarebbe se oltre me ospitasse la mia Ela. Saremmo tanto felici in questo stanzone che nasconderebbe tutto un mondo di piccole gioie e di dolci piaceri.

Sono solo, senza compagno. La solitudine mi opprime ancora di più con i suoi sogni impazienti, con le sue ore cariche di malinconia e di tristezza. C'è Peppone e l'Ottavia, i contadini che dimorano qui, molto buoni e premurosi. C'è anche la maestra, una mia compagna, che abita il piano di sopra con due cognate ed una bambina. Manca il prete, per fortuna, a completare questo quadretto di vita rustica.

Ho portato con me il grammofono ed alla sera si passa un po' di tempo a suonare, a giocare, o in lieta conversazione. Vengono altri contadini dei dintorni «a sentire ì soni» e con loro mi intrattengo affabilmente fino a tarda ora. Sono tutti brava gente, laboriosi e ingenuamente onesti e puri, che dal duro lavoro traggono ben poche e misere soddisfazioni.

La mattina mi alzo verso le otto; pulisco la stanza, metto in ordine le mie robe e passo molto tempo leggendo e contemplando la natura, molto generosa di bellezze in questi luoghi.

Questa mattina la maestra era occupata ed io ho fatto un po' di scuola per lei. Sono bambini piccoli, delle prime classi elementari, che vengono a scuola per imparare a leggere, a scrivere ed a fare un po' di conti. Dopo di che ritorneranno alla terra e con dura, assidua fatica cercheranno di strapparle i frutti della vita. Vengono da lontano, infreddoliti ma sorridenti, con gli zoccoli rumorosi, vestiti di poveri panni stracciati. Sillabano stentatamente ed ascoltano tante cose che paiono loro incomprensibili e lontane, guardano con timidezza e parlano piano, come per paura di essere ascoltati. Stamattina ho parlato di fate, di treni, di aereoplani e di avventure. M'ascoltavano seri e certamente non capivano molte cose. I treni che fumano e camminano, le automobili veloci, i cavalieri senza paura che puniscono la gente cattiva, dovevano suonare stranamente nelle loro anime. Avranno pensato per un istante ad un altro mondo: un mondo lontano, vietato, dove loro non riuscivano a rendersi conto che non vi potessero esistere buoi, tregge, maiali, pagliai e pecorelle belanti. Mi guardavano come un essere superiore che sa tante cose ed ha visto tanta «roba». Poveri piccoli! Le loro mani già portano il segno del lavoro, il loro sorriso si arresta davanti ad un treno che sbuffa ed il loro gioco si limita a piccoli scherzi con il cane o il gatto. Non hanno un'infanzia e non l'avranno mai !

Nascono già uomini per morire stanchi e vecchi. No, pensavo, non è giusto che tanti bambini piangano davanti ad un giocattolo vecchio che l'annoia, che abbiano istitutori o istitutrici a loro disposizione, che conoscano già fin d'allora tutte le gioie più belle della vita, mentre tante altre povere creature imparino fin dalla più tenera età i sacrifici, i dolori, le fatiche. L'infanzia è un dono troppo bello, caro, fuggevole, perché alcuni ne siano privati. E' l'età in cui il mondo ci si para d'innanzi pieno dì meraviglie, di sogni, di illusioni, è l'età in cui non si comprende la gravità della nostra esistenza, è l'età che dovrebbe riposare nel cuore di ognuno come il ricordo più dolce, più felice che tutti indistintamente dovrebbero gustare, con le gioie pure ed innocenti, l'affetto caldo e sincero dei genitori.....

Ora li conosco quasi tutti per nome e mi vogliono molto bene. Ci sono tre bambine, la Carla, la Jole e la Miranda che sono proprio tre amori di bimbe, sembrano tre passerotti perduti in tre paia di grossi zoccoli. Ieri ho regalato loro delle paste; l'hanno prese dicendomi grazie e poi sono corse felici a mangiarle..…

 

25 Aprile 1944

Caro diario, questa è la volta di arrossire. Non per questo destino eri fatto, non per riportare le ore noiose che passo in questa prigione senza sbarre. Pensavo di poter narrare se non fatti di gloria, almeno episodi di lotta per la Patria e la libertà che tu, un giorno, avresti a tua volta, ricordato a me ed ai miei amici. Ma, come sempre, l'uomo propone e Dio dispone. Non sempre possiamo fare valere la nostra volontà, i nostri veri sentimenti. Tu, diario, eri stato creato nella rivolta dello spirito, quando la libertà s'affacciava con l'alba grigiastra dell'autunno, quando tutti erano pronti a difendere se stessi contro lo schiavismo del tiranno. (Per 20 minuti ho interrotto di scrivere causa un bombardamento).

Ora all'aquilotto che tentava le vie spaziose dell'infinito hanno tarpato le ali: una gabbia lo racchiude ed invano forse logorerà ì suoi artigli contro le sbarre di duro ferro a vile prezzo acquistate.

Nulla rimane ai mortali se non la speranza, «Spes ultima dea». Da otto giorni mi trovo insieme a Mario, Renato e Angiolino, a Collestrada, al servizio del lavoro. Lavoriamo per l'Italia Repubblichina Tedesca. Come diverso sarebbe il nostro lavoro se per una vera Italia si lavorasse! Quanta diversa la fede che l'alimenterebbe!

lo faccio l'assistente medico e, passata la visita del mattino il mio lavoro si può dire terminato, a meno che non succedano infortuni durante la giornata.

Renato e Mario stanno all'Ufficio contabilità assillati da un lavoro noioso, ma non gravoso. Angiolino, detto « Bellera », per le sue movenze agili e svelte, ha già cambiato due o tre uffici, fra i quali quello di capo-cucina e, per il momento, è disoccupato..

II nostro lavoro, dunque, non è per nulla faticoso, ma estremamente noioso. Siamo stati mandati qua per punizione, costretti ad una vita che non è la nostra, dall'odio settario di un gruppo di coscienti mascalzoni.

Qui la vita scorre monotona ed ogni ora insegue l'altra in un giro di noia, d'attesa, di ricordi e di speranze.

Ieri era il 24 aprile. Questa data ha per me un valore. Segnò l'inizio di un sogno che trascinandosi per due anni fra le spire di una falsa illusione si è infranto al primo affiorare della verità. E' bello, sublime, intendere la vita come una illusione continua, ma bisogna stare bene attenti a non diventare un illuso di questa illusione. ..... Tutto passa nella vita, come un'onda gigantesca il tempo travolge e cambia le cose..... ma come uno scoglio gigantesco, immobile, fisso per l'eternità, i ricordi s'ergono al di sopra dell'onda furiosa e ad ogni impeto rispondono con la carezza ed il profumo della loro purezza e della loro integrità...…

 

* * * * *

 

Zona di operazione - 31 Gennaio 1945

 

Cara mamma,

siamo arrivati stanotte a Ravenna. Il viaggio è stato un po' duro sia per il caldo sia per la sua lunghezza. Siamo già vestiti..... se tu mi vedessi! Sembro un vero inglese. Il morale é alto e speriamo che sia sempre così. Domani partiamo subito per il fronte.... Ciò non ti deve impressionare perché tutto è calmo e poi dovremo fare sei giorni di istruzioni alle armi. Noi di Umbertide stiamo tutti insieme e questo è già molto.

La maglia marrone la tengo indosso perché qui fa un freddo canissimo.

 

Vi penso sempre.

Tanti tanti baci a Cario, Bige, Matilde, Concetta, zii ed amici.

La santa benedizione.

 

Rino

 

 

Giorno x

 

Cari tutti,

mi trovo al fronte e posso dire che non mi ci trovo molto male. Il vitto è ottimo e lo facciamo da noi. Durante il giorno si fanno le esercitazioni, brevi scappate in linea e siamo in attesa di stabilirci definitivamente in una postazione di prima linea. Speriamo tutti in un'avanzata perché i pericoli sono minori e finisce prima questa immane carneficina. La sera si canta, si suona cercando di soffocare il rombo del cannone e il gracidare delle mitraglie. Voglio sperare che la situazione di Bige vada migliorando. Sono soddisfatto del dovere che compio e nulla mi spaventa.

Vi penso spesso, a Matilde do ragione: «C'è bisogno di fede quassù e di una protezione dall'alto». Tuttavia anche se qualche volta non ho dimostrato molta passione per la chiesa, non lo facevo di cuore.

 

Vi bacio tutti tanto tanto.

Rino

 

Cara mamma,

proprio ora ho saputo che fra tre giorni e precisamente il 15 andremo in prima linea. E' venuto l'ordine dal comando.

Noi di Umbertide siamo tutti in un plotone aggregati alla 9a compagnia.

La mia squadra di postazione è la seguente: Leonardi (Civetta) Trippelli, Ceccagnoli, Claudio e... cucina. Il nostro settore dice che non sia molto violento.

Quindi mammina, il 15 avrò la prova del fuoco. Pregate per me. Farò il mio dovere senza slanci e senza vigliaccheria. State tranquilli, speriamo che tutto vada bene. Ho con me un'immagine di S. Rita che mi ha regalato una ragazza di Umbertide che io amo; mi aiuterà, tanti, tanti, tanti baci a voi tutti e zii; un bacione a Franco.

 

Vi chiedo la Santa benedizione.

 

vostro Rino

 

 

Caro Alfredo,

a te ed ai compagni un fervido saluto. Siamo in linea e si combatte. Il nostro ideale è il motore che anima e accalora.

Io e Claudio stiamo bene e vi pensiamo spesso e con affetto. Speriamo di poterci rivedere presto e ricominciare il nostro lavoro. Qui dove siamo ora c'è abbastanza calma, ma abbiamo passato qualche giorno!....

Ancora c'è molto lavoro da fare, cari compagni; la massa è con noi ma la monarchia ha le sue pedine e le manovra bene. Lo spirito nuovo è qui quasi assente, c'è molta nostalgia del passato, si strombazza un po' di democrazia, ma in realtà è ancora come prima. Qui, noi e tanti altri compagni lavoriamo per il nostro domani e speriamo che il nostro sforzo non rimanga nullo.

Saluti cari a Remigio, Ramiro, Ramnusia e Elsa. A tutti i giovani compagni un caro saluto.

 

Rino Pucci

 

 

Bollettino n. 21

Partenza. Sveglia alle 6 e preparativi. Addio ai compagni fiorentini che ci salutano comunisticamente al canto dell'Internazionale. Attraverso Ravenna, verso S. Alberto, le nostre voci svegliano i pigri ed incuriosiscono, entusiasmandoli, i passanti mattinieri. Tra due immense inondazioni le nostre macchine filano veloci verso la meta. Al comando della 9ª compagnia avviene lo smistamento dei vari plotoni; il tenente Ceccarelli comanda il 2° plotone, quasi tutti gli umbertidesi sono al 3° plotone. I compagni di Città di Castello, che sono davvero ottimi comunisti, sono stati assegnati al lº plotone.

Il cap. Maggiore Ceccagnoli comanda l'8ª squadra del 3° plotone ed è tutto un poema. Il caporale Leonardi, vice comandante dell'8ª squadra ha stupito il folto pubblico e l'inclita guarnigione nella costruzione, sotto il fuoco nemico, di una postazione modello. Stanotte il battesimo del fuoco. I tedeschi si fanno sotto audacemente; noi con calma rispondiamo ad ogni provocazione.

II fante Bargelli è stato il primo ad avvistare i nemici che sono chiamati familiarmente «Tognini». Ai primi razzi illuminanti la pattuglia sì è allontanata. Verso le cinque un altoparlante tedesco ci ha tenuti allegri con canzoni e fregnacce propagandistiche. Il freddo è intenso, nel cielo le stelle impallidiscono percettibilmente. Battendo i piedi intirizziti le sentinelle, nelle postazioni, mescolano i propri con i sogni dei dormienti nelle cuccette interrate.

E' l'alba ed i tedeschi si sono ritirati al di là del Reno e tutto è tranquillo. Di tanto in tanto qualche mortaio si fa sentire, ma senza effetto alcuno. Domani 19 avremo una importantissima notizia, da quanto ci ha detto il Ten. Ceccarelli. Attendiamo impassibili, il nostro scopo è ormai raggiunto: i tedeschi hanno già sentito che il plotone «Umbertide» fa sul serio.

 

Bollettino n. 26

Una giratina per S. Alberto non fa male, c'è qualche borghese c'è ...... beh ! ...... qualche borghesina. E' piacevole vedere i gagà con la piega ai pantaloni militari che segue una ipotetica linea retta, qualcuno è arrivato al punto di lucidare le fette. Regola è di radersi la battagliera barba. Il Capitano ordina l'adunata e incomincia la romanzina per il contegno, per la disciplina ..... Il rancio si fredda, c’é una scenata che non è possibile narrare per ragioni tattiche. Poi tutto torna calmo e tiriamo avanti. Le notizie sono vaghe e tendenziose. Il cap. Maggiore Ceccagnoli si dà un sacco di arie ed è stato proposto per la nomina a.... Generale. I fanti Confini, Pucci e Caprini sono stati proposti per la croce di guerra in seguito all'audace pattuglia fatta a casa Giazol. La notizia che sembra di maggiore attendibilità è la seguente: si attacca.

In attesa di abbracciare qualche veneziana o qualche milanese puliamo le armi.... Rancio e silenzio. Un Sergente suona il clarino e ci fa sognare : ricordiamo l'orchestra del valoroso Maestro Caporali, Anima di Franceschini, dove sei tu? Dove sono Lazzarini, Filippi e Codovini? Nel sogno si balla una quadriglia vertiginosa.

 

Bollettino n. 29

 

Il fante .................

 

(poi la morte)

 

 

DALLA LETTERA DEL CAPITANO ALLA MADRE DI RINO

 

Gentilissima Signora,

ricevo una Sua lettera senza data che, dalle condizioni in cui mi è pervenuta, lascia comprendere di essere stata a lungo in circolazione. Ciò anche a causa dei miei continui spostamenti. Infatti, dopo reiterate, vane insistenze, ho finalmente ottenuto dal Comando del Gruppo «Cremona» di poter partecipare a tutto il ciclo offensivo, da Alfonsine al Brenta.

A tale premessa, che spiega il ritardo di questa risposta, aggiungo l'espressione della mia viva solidarietà e della mia commossa partecipazione al Suo immenso dolore.

Come ho già scritto il mese scorso al Sindaco di Umbertide, quando incontrai Lei a Perugia, verso il 20 marzo, ignoravo assolutamente la fine gloriosa di Suo Figlio .........

.... Nella fase degli arruolamenti, nessuno ha mai nascosto che «si andava a fare la guerra» e che «qualcuno poteva non tornare». Ogni conquista implica sacrifici e perdite; la Libertà in particolare ha sempre voluto i suoi martiri.

E' la fatalità, Signora, che si abbatte su una persona, su una famiglia, su una città, piuttosto che su altre. E ne abbiamo qui una ennesima dimostrazione: la provincia di Perugia ha dato al «Cremona» circa 500 volontari. Di essi ne sono caduti 5, ossia l'uno per cento.

Purtroppo di questi cinque ben due sono annoverati tra i 24 umbertidesi.

La sorte ha voluto dalla già tanto provata Umbertide, questo nuovo rilevante contributo di sangue generoso per la completa liberazione d'Italia.

Noi, risparmiati dalla fortuna non possiamo non inchinarci davanti al loro nobile sacrificio; dobbiamo coltivarne perenne la memoria, onorarli e glorificarli.

 

Voglia, Signora, accettare le mie più sentite condoglianze ed i sensi del mio devoto ossequio.

 

Capitano Nardi

 

 

Dalla lettera del Cappellano Militare alla madre di Rino

COMANDO 22° REGGIMENTO FANTERIA «CREMONA

Ufficio del Cappellano Militare

 

Posta Militare 64, 30 maggio 1945

 

 

ALLA SIGNORA PUCCI MARIANNA - UMBERTIDE (Perugia)

 

Gentilissima Signora,

da qualche giorno mi è pervenuta la Sua del 16 maggio c.a. e comprendo tutta l'amarezza del suo dolore di madre privata del suo unico figlio. In verità, a suo tempo, ricevetti pure altra Sua lettera, alla quale, per disposizioni ministeriali, non potei rispondere non essendo a conoscenza se il Ministero competente le avesse o meno annunziato ufficialmente il decesso di Suo figlio.

Oggi che di questo sono certo, posso assicurarle che il suo ragazzo ha fatto il suo dovere fino all'ultimo, come in genere tutti i giovani di Perugia. Egli è stato ferito nell'attacco condotto dal suo Battaglione per la conquista di Po di Primaro. Lo ricordo sempre quel giorno quando giunse a noi pieno di sangue e gravemente ferito, nell'infermeria da campo di Casal Borsetti. Nonostante il grande dolore, non si lamentava molto, eppure le sue ferite erano gravissime; un ampio squarcio alla coscia sinistra ed al braccio sinistro facevano prevedere prossima la sua fine, almeno dal lato medico. Il grande coraggio dimostrato e la reazione ad un dolore prostrante ci dettero per un momento la speranza di poterlo togliere ad una morte quasi sicura. Le cure gli furono praticate con amorevolezza e fraterna carità, sia dal medico di battaglione, sia anche dal dirigente il servizio sanitario coadiuvato dall'opera del cappellano militare sottoscritto.

Per non esporlo ad una inutile dispersione di sangue, subìta la prima medicazione, fu smistato, a mezzo ambulanza, alla 54ª sezione di sanità, da dove proseguì immediatamente per un ospedale canadese in Ravenna (9 Indian Ospitai CCS).

Anche qui dopo trasfusioni di siero e di sangue, sì tentò di salvarlo; ma non fu possibile e dopo alcune ore, del fante Rino Pucci non rimaneva che un cadavere freddo e senza vita. Laggiù, prima dì spirare, ricevette i sacramenti e la benedizione apostolica dal cappellano cattolico inglese di quell'ospedale. Curammo poi di raccogliere pietosamente la sua salma e di trasportarla al cimitero di guerra di Camerlona (Ravenna) ove riposano anche tutti i suoi compagni della Divisione (fila 7ª - tomba n. 77).

Tutto questo è quanto posso dirvi relativamente al suo decesso. La bontà di suo figlio non lo potrà far dimenticare a nessuno e molto meno ai suoi compagni del 3° Btg., essi più di ogni altro si recavano spesso a visitarne la tomba ripromettendosi, non appena possibile, di ricondurne le spoglie al cimitero di Umbertide.…

 

IL CAPPELLANO MILITARE

(Fanti P. Pietro)

 

 

VIVI E MORTI

...... SOLTANTO CON LA ROCCIA DI QUESTO PATTO

GIURATO FRA UOMINI LIBERI

CHE VOLONTARI SI ADUNARONO

PER DIGNITA' NON PER ODIO

DECISI A RISCATTARE

LA VERGOGNA ED IL TERRORE DEL MONDO

SU QUESTE STRADE SE VORRAI TORNARE

AI NOSTRI POSTI CI RITROVERAI

MORTI E VIVI CON LO STESSO IMPEGNO

POPOLO SERRATO INTORNO AL MONUMENTO

CHE SI CHIAMA

ORA E SEMPRE

R E S I S T E N Z A

 

(P. Calamandrei)

Il Diaro di Rino Pucci
GALLERIA FOTOGRAFICA
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La storia di Palazzoli Natalino di Massimo Pascolini
La storia di Palazzoli Natalino, chiamato Silvano

 

di Massimo Pascolini

 

Morì a 15 anni, nell’agosto 1944, investito da un camion inglese nella zona tra Montecastelli e Niccone durante il passaggio del fronte. Una delle tante vittime civili nel nostro territorio nell’anno più drammatico della storia di Umbertide.
 

 

Il tragico episodio è stato raccontato da Massimo Pascolini, in base a ricerche d’archivio e testimonianze, nel seguente articolo pubblicato sul numero di marzo 2023 di “Informazione Locale”.

 

Il passaggio del fronte ad Umbertide nell'estate del 1944 è sicuramente ricordato come uno degli eventi più tragici nella storia della città. Oltre ai morti nel bombardamento del 25 aprile, alla strage di Penetola, ai fucilati di Serra Partucci, alla famiglia Braconi deceduta a Preggio a causa di un bombardamento, Umbertide registra la morte di altre persone, uccise per rappresaglia, a causa di mitragliamenti aerei, bombe e ordigni rimasti inesplosi nei campi.

Oggi, grazie anche ad alcuni documenti ritrovati presso l'Archivio Storico del Comune di Umbertide, (anno 1944), vogliamo ricordare la morte di Palazzoli Natalino chiamato Silvano.

Natalino nasce a Monte Castelli, da Giovan Battista e Mannarelli Maria il 25 dicembre 1929. Muore il 15 agosto 1944 dopo essere stato investito da un camion Inglese. La dinamica dell'incidente si può ricostruire attraverso il rapporto fatto dal comandante della stazione dei carabinieri di Umbertide, Brigadiere Rinaldi Giuseppe al Pretore di Città di Castello ed al Governatore di Umbertide. "Verso le ore 16 del giorno 15 corrente, lo scrivente veniva a conoscenza che in località Cioccolanti di Umbertide era morto un giovane in seguito ad incidente stradale. Il sottoscritto si recava immediatamente sul posto ed accertava quanto segue:

“[...], percorreva la strada campestre, in bicicletta, che immetteva sulla strada statale Tiberina - Romagnola e all'altezza della villa di Santini Giorgio sita fra la frazione Niccone e la località Cioccolanti. Appena il giovane raggiungeva la strada statale e stava girando alla sua sinistra per dirigersi verso Cioccolanti, sopraggiungeva un camion delle forze armate inglesi che proveniente da Città di Castello si dirigeva verso Umbertide, tenendo regolarmente la sua destra, lo investiva in pieno nella parte anteriore della bicicletta, lo gettava violentemente al suolo e lo trascinava per circa 20 metri. Il giovane Palazzoli riportava ferite multiple lacero contuse del tronco, addome, regione scrotale e frattura del cranio, (Referto del Dottor Ennio Paci, medico condotto di Montecastelli, che visitò il cadavere nella sua abitazione). I militari inglesi, secondo la deposizione di Giunti Pietro di anni 61, nato a Città di Castello e residente a Niccone, meccanico, che accorse subito dopo l'incidente sul posto, fermarono il camion e trasportarono il cadavere nella sua abitazione in Cioccolanti, distante circa 400 metri dal luogo del sinistro. Un ufficiale inglese, sopraggiunto successivamente con altra macchina, si fermava sul luogo dell'incidente e tracciava uno schema dell'incidente indicando lo stato del luogo e gli estremi scritti in italiano ed inglese del camion e dell'autista. Schema poi consegnato a Gaggioli Ennio che lo ha recapitato al sottoscritto. [...]".

Il “disegno” (un vero e proprio CID) dell'Ufficiale Inglese riporta un disegno dell'incidente ed i dati dei soggetti coinvolti.

Il camion era un “TRUK da 3 tonnellate, targato 1-4723037”, guidato dal soldato “Turner W” mat. 7/269409.

Nell'effettuare un sopralluogo sul posto, abbiamo intervistato il Sig. Biagini Nazzario, abitante del luogo che all'età dell'incidente aveva 6 anni e ricorda di essere stato sul posto subito dopo il fatto.

Il Sig. Nazzario ci ha raccontato la dinamica dell'incidente. Il Palazzoli, assieme ad un coetaneo, tal Biagini Vittorio, di 17 anni, fratello dell'intervistato, stavano facendo una gara per chi arrivava prima al Niccone dietro la ricompensa, per chi fosse arrivato prima, di 5 lire, promesse da un anziano del posto. I due ragazzi erano partiti dalla casa posta in vocabolo “Ruffietto”, ed arrivati in prossimità della villa “Palazzetto” alla curva, giravano a destra. Il Palazzoli che si trovava davanti, andava a impattare contro la fiancata destra del camion.

Negli anni successivi il padre del ragazzo ha scritto, con il supporto del Sindaco del Comune di Umbertide, diverse lettere a vari Enti nell'intento di veder riconosciuto un indennizzo per il tragico evento (scrive di aver speso per il funerale, cassa ed altro, Lire 23.000).

Presso l'Archivio Storico del Comune di Umbertide (anno 1950), si trovano conservate varie lettere indirizzate al Prefetto di Perugia, al Ministero del Tesoro Ufficio Requisizioni Alleate, al Ministero Difesa - Esercito, al Comando Presidio Militare di Perugia. Vi si trova pure una lettera dell'Ambasciata Inglese a Roma del 4 giugno 1948, che risponde “di non essere competenti riguardo ai fatti accaduti e dice di rivolgersi al Ministero Difesa - Esercito”. In data 21 maggio 1948, l'Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, Sezione di Perugia, comunica che i genitori non hanno più diritto a nessun indennizzo in quanto, questi, dovevano essere richiesti "finché in tempo" al locale Comando Militare Alleato.

Attualmente la salma riposa presso il locale cimitero di Montecastelli, nella tomba di famiglia, assieme ai propri genitori.

 

Pubblicato sul numero di Marzo 2023 del periodico “Informazione Locale”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Atlante della memoria
di Alvaro Tacchini








 

 

 

 Atlante della memoria: Alta Valle del Tevere 1943-1944 

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a cura di Fabio Mariotti

 

Per chi vuole approfondire gli avvenimenti storici nell’Alta valle del Tevere nel periodo 1943-44 è di grande interesse un nuovo lavoro dello storico tifernate Alvaro Tacchini che si inserisce nel solco della ricerca svolta sul periodo bellico. Tacchini ha infatti inserito nel suo sito “Storia tifernate“ gran parte dei testi del volume “Guerra e Resistenza nell'Alta Valle del Tevere”. Inoltre, affinché gli eventi, le tragedie e la lotta per la libertà dell'ultimo conflitto possano essere meglio divulgati a livello popolare e didattico, ha realizzato una splendida mappa interattiva, dal titolo "Atlante della Memoria. Alta Valle del Tevere 1943-1944".


 

Si tratta di una mappa on-line, costruita sulla fotografia satellitare dell'Alta Valle del Tevere. Individua con specifici simboli gli eventi principali di quel biennio, localizzando dettagliatamente i luoghi dove sono avvenuti. Inoltre rende possibile approfondirne i contenuti con link che si aprono su testi tratti dal suo libro su questo tema.

Nella mappa sono inseriti con cura anche i principali avvenimenti della zona di Umbertide, così come gli elenchi delle vittime civili e dei partigiani.

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Qui sotto è il link per la home page del sito. Per accedere alla mappa interattiva basta cliccare sul riquadro in basso a sinistra.

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http://www.storiatifernate.it/index.php

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Atlante della Memoria di Alvaro Tacchini
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