storia e memoria
I PERCORSI DELLA MEMORIA
A cura di Fabio Mariotti
Il 1944 è ricordato ad Umbertide come l’anno più drammatico nella storia della città. La II Seconda Guerra Mondiale si è portata dietro una lunga scia di sangue, distruzione e disperazione per i tragici eventi che hanno preceduto la liberazione della città, il 5 luglio.
Il bombardamento alleato di borgo San Giovanni, nel cuore della città, con 70 morti; la rappresaglia di Serra Partucci, con 5 morti; l’eccidio di Penetola, con 12 morti; la strage di Monsiano, con 8 morti. Altri 6 civile persero la vita tra il 3 e il 15 luglio nel territorio tra Preggio, Monestevole e Montemigiano. Sigifrido Bartocci, ucciso da soldati tedeschi l’8 maggio presso Civitella Ranieri e poi tante altre vittime civili di bombardamenti, cannoneggiamenti e scoppio di granate ad Umbertide e nelle zone limitrofe (per i dettagli consultare “l’Atlante della Memoria” di Alvaro Tacchini).
A tutti loro, eroi involontari della follia umana, e alle loro famiglie, dedichiamo questi percorsi della memoria, per non dimenticare e per trasmetterli alle nuove generazioni.
Il bombardamento di borgo San Giovanni
Dodici aerei Curtiss P – 40 Kittyhawk inglesi partirono dall’aeroporto da campo di Cutella in Puglia per distruggere il ponte stradale sul Tevere e rendere più difficoltosa la ritirata dei tedeschi.
Era il 25 aprile 1944. Una data che gli umbertidesi non dimenticheranno.
Tra le 9 e le 9,30 la squadriglia alleata sorvolò il cielo di Umbertide, con il suo carico di due bombe di grosso calibro per aereo (complessivamente circa 4 tonnellate di esplosivo). Dopo vari volteggi sopra Romeggio, gli aerei si diressero verso Serra Partucci, a favore di sole, da cui discesero in picchiata verso il ponte sul Tevere. Ma le bombe (come scrisse Roberto Sciurpa nel suo volume “Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946) non erano ancora “intelligenti” (se mai ci saranno bombe intelligenti) e sbagliavano spesso il bersaglio.
Questo purtroppo accadde anche ad Umbertide. Le bombe, fatte cadere ad intervalli regolari di circa 30 secondi tra una coppia e l’altra, invece di colpire il ponte andarono a finire tutte, salvo due, sopra le case del centro storico. Fu una strage. 70 persone, di cui 46 donne, rimasero sepolte sotto le macerie.
Lo spettacolo che si presentò ai primi soccorritori fu tremendo. Corpi orrendamente mutilati giacevano sulla piazza e il borgo San Giovanni era un cumulo di macerie fumanti da cui si alzavano lamenti e invocazioni di aiuto. Nonostante lo spavento e il rischio di nuovi bombardamenti, la gente si prodigò nel prestare soccorso ai feriti ed estarre dalle macerie i corpi dei caduti adagiandoli provvisoriamente intorno alla Collegiata. Era una corsa contro il tempo perché il ponte era rimasto intatto e gli aerei sarebbero potuti ricomparire in qualsiasi momento. Questo accadde nel pomeriggio, alle ore 16, e questa volta le bombe risparmiarono l’abitato ma non riuscirono a distruggere il ponte stradale la cui arcata nord fu distrutta soltanto il 30 aprile.
Tanti morti, tanto dolore, una comunità sconvolta, per un’azione militare probabilmente inutile e che non ha nemmeno raggiunto l’obbiettivo prefissato. Questa è la guerra. Questi sono quelli che oggi chiamano “effetti collaterali” che colpiscono sempre e inesorabilmente i civile, le persone più indifese. Per evitare anche questi effetti, c’è un solo sistema universale, non fare più guerre e lavorare sempre per la pace.
L’elenco delle 70 vittime:
Alunni Pierucci Antonio, Arrunategni Rivas Mario, Baiocco Giulia, Banelli Anna, Banelli Amleto, Barattini Scartocci Neodemia, Barbagianni Antonio, Bartoccioli Giulia, Bebi Ceccarelli Elda, Bebi Luciano, Bebi Fileni Maria Domenica, Bebi Banelli Tecla, Bendini Annunziata, Bernacchi Anna Maria, Bernacchi Benedetto, Bernacchi Raffaele, Bernacchi Valentino, Boldrini Cecilia, Boldrini Bellezzi Elisabetta, Boncristiani Tommasi Rosa, Borgarelli Armede Gina, Borgarelli Ester, Cambiotti Amalia, Caprini Selleri Assunta, Ceccarelli Marianella, Ceccarelli Rosanna, Ciocchetti Fausto, Ciocchetti Giuseppe, Cozzari Galmacci Veronica, Cozzari Verginia, Donnini Domenico, Donnini Gianfranco, Fagioli Franca, Ferrari Alfonso, Galmacci Realino, Gambucci Ubaldo, Grandi Giuseppina, Leonessa Licinio, Manuali Bernacchi Marianna, Massetti Anna Paola, Mastriforti Cambiotti Marianna, Mazzanti Graziella, Merli Mazzanti Argentina, Mischianti Angelo, Mischianti Ida, Monfeli Galeno, Montanucci Fiorucci Felicia, Mortini Elvira, Orlandi Sonaglia Augusta, Palazzetti Bernacchi Angela, Palazzetti Assunta, Pambuffetti Giovanna, Perini Giuseppe, Pierotti Coletti Giulia, Porrini Elisei Assunta, Renato Simonucci Bergasina, Renga Rosalinda, Renzini Pazzi Maria, Romitelli Rina, Rondini Mischianti Luisa, Sabbiniani Romitelli Leopolda, Santini Batazzi Letizia, Scartocci Mario, Selleri Angelo, Selleri Giuseppe, Selleri Pasquale, Tognaccini Fagioli Delma, Tognaccini Barbagianni Zarelia, Violini Lina, Villarini Bruno.
Fonti:
- Mario Tosti: “Belli lavori” - Ed. Comune di Umbertide – 1995
- Mario Tosti: “Il nostro calvario” - Ed. Petruzzi – Città di Castello
2005
- Roberto Sciurpa: “Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946” -
Ed. GESP – 2006
Foto di Roberto Balducci dal volume di Bruno Porrozzi
"Umbertide nelle immagini - dal '500 ai giorni nostri -
Pro loco Umbertide - 1977



La lapide che ricorda le vittime
Sulle macerie alla ricerca dei superstiti

A destra, le rovine del borgo San Giovanni
A destra, sotto, via Cibo dopo il bombardamento
A sinistra,sotto. le rovine della sagrestia della Collegiata


La rappresaglia di Serra Partucci
Il 24 giugno 1944 era sabato. A Serra Partucci si festeggiava San Giovanni Battista e il giorno prima, secondo l’antica usanza, si raccoglievano i petali dei fiori di campo e si mettevano a bagno in una bacinella. Con quell’acqua profumata la mattina dopo ci si lavava.
Così avevano fatto gli abitanti della Serra che quel sabato si erano ritrovati nella piccola chiesa per la messa celebrata da don Giuseppe Filippi.
Improvvisamente alcuni tedeschi con il loro comandante erano entrati in chiesa e, urlando, avevano
fatto uscire tutti all’aperto disponendoli in fila davanti ai soldati con le armi spianate.
L’ufficiale tedesco, in un italiano stentato, spiegò cosa stava succedendo. Il giorno prima, nelle vicinanze, un soldato tedesco in motocicletta era stato ferito lungo la strada. Per cui, nonostante non fosse morto, era scattata l’inumana legge della rappresaglia che prevedeva la fucilazioni di 5 ostaggi per il tedesco ferito (in caso di morte sarebbero stati 10). Dal momento che quattro “banditen” erano stati già arrestati, erano venuti a prendere il quinto.
Va detto, per la verità, che i tedeschi avevano già arrestato cinque ostaggi ma uno di questi, Quinto Centovalli, era privo di una mano e i tedeschi avevano ritenuto di escluderlo dalla fucilazione.
La scelta tra i presenti alla messa cadde su Domenico Cernich, giovane sarto 26enne di Gorizia che si trovava ad Umbertide, insieme ai suoi fratelli, in attesa dell’arrivo degli alleati.
Domenico, insieme a Radicchi Mario (24 anni – colono), Radicchi Giuseppe (17 anni – colono), Centovalli Natale (20 anni – studente) e Ciribilli Domenico (26 anni – sarto) furono portati presso l’essiccatoio del tabacco e qui tricidati da alcune raffiche di mitragliatore.
Alle otto del mattino, sopra due tregge trainate dai buoi, i cinque corpi furono trasportati al cimitero di Serra.
Una stele e un cippo ricordano la terribile rappresaglia.
Nel cippo, realizzato nel ventennale della Resistenza, sono scritte queste parole:
“Qui il barbaro tedesco lasciava raccapricciante ricordo di iniqua rappresaglia. Cinque giovani innocenti cadevano vittime del suo furore il 24 giugno 1944. Giustizia, preghiera, pace invocano dai superstiti gli scomparsi.”







Domenico Cernic
La porta della chiesa
Il muro della fucilazione
L’eccidio di Penetola
Quella che viene esposta in queste pagine e la vicenda di una famiglia umbra e del suo tragico incontro con la storia. Aspetti e circostanze risulteranno comuni a tanti altri italiani e la vicenda è quella di cui tutti coloro che sono vissuti nel 1944 possono rendere testimonianza.
Nel raccontare esperienze particolari di alcuni individui a loro sconosciuti, spero di trasmettere ai miei figli e a quelli dei miei coetanei una conoscenza meno asettica e più consapevole delle fasi conclusive del secondo conflitto mondiale e delle positive trasformazioni sociali e democratiche della società italiana.
Perchè, anche i più umili tra i cittadini italiani, uscendo dalla guerra e dalla dittatura fascista sostenuti dai valori della democrazia e della Costituzione rcpubblicana, hanno potuto superare lutti e ingiustizie, affrancarsi da pratiche sociali medievali e, in appena due generationi, fornire a figli e nipoti tutte le opportunità che solo una società libera e democratica può offrire.
La grande storia, quella nota a tutti noi per ampi o sommi capi, è un insieme di piccole, a volte grandissime, storie personali. Esse costituiscono la memoria collettiva condivisa o, in altri casi, divisa, di una nazione. Mettere ordine e ricercare la verità oggettiva in ognuna di queste piccole storie impedirà, a chi ne avesse meschino interesse, di mistificare la realtà inconfutabile degli eventi e, alle giovani generazioni, di dimenticare ciò che è stato, traendone il necessario insegnamento.
Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1944, nell'altotevere umbro, in un casolare denominato località Penetola di Niccone, a sei chilometri a nord-est di Umbertide, dodici persone vengono barbaramente uccise dai soldati appartenenti al 305º battaglione genieri dell'esercito tedesco di stanza nella vallata del Niccone.
Le dinamiche operative dell'eccidio sono oggi a nostra conoscenza, mentre permangono forti dubbi e perplessità sulle cause e sulle modalità della strage stessa, per molti aspetti atipica rispetto alle tante altre di cui l'esercito tedesco si è macchiato durante la ritirata verso la linea gotica nell'estate del 1944.
A Penetola si è consumato uno degli episodi più atroci tra quelli accaduti in Umbria durante il secondo conflitto mondiale. Come per molte stragi “nascoste”della guerra ai civili che si è scatenata in Italia dopo l'8 settembre 1943, anche nei sopravvissuti alla strage di Penetola bruciava la rabbia di non conoscere i colpevoli e in quella dei loro discendenti, come me, il desiderio di placare quella stessa rabbia che, a distanza di tanti anni, impediva il superamento definitivo del lutto.
Mai, neanche per un istante, nel corso della ricerca della verità, sono stata spinta da un desiderio di vendetta nei confronti degli esecutori morali o materiali della strage. Ho solo voluto e dovuto sostituirmi a quanti avrebbero dovuto indagare e non l’hanno fatto, non sapendo o non volendolo fare.
Ai primi appartenevano anche i miei familiari, ai quali è mancata la forza, 1'istruzione, la sfrontatezza e il denaro, per aprire porte che avrebbero dovuto trovare spalancate.
Ai secondi, a quelli che hanno preferito tacere, a quelli che hanno scelto di non scegliere, a quelli che se ne sono disinteressati sottraendosi ad un loro dovere, posso solo dire che essi avrebbero saputo e potuto far meglio e di più al momento e nel luogo giusto. ……………
(Premessa dal libro “Tre noci” di Paola Avorio)
Fonti:
- Paola Avorio: “Tre noci” – Ed. Petruzzi – Città di Castello - 2011
- Giovanni Bottaccioli: “Penetola, non tutti i morti muoiono” –
Comune di Umbertide, 2005
Le vittime:
Avorio Antonio, di Mario, anni 11
Avorio Carlo, di Mario, anni 8
Avorio Renato, di Mario, anni 14
Forni Canzio, di Edoardo, anni 58
Forni Edoardo, di Canzio, anni 16
Forni Ezio, di Canzio, anni 21
Luchetti Guido, di Avellino, anni 18
Nencioni Conforto, di Menotti, anni 36
Nencioni Eufemia, di Menotti, anni 44
Nencioni Ferruccio, di Menotti, anni 46
Ferrini Milena, moglie di Ferruccio Nencioni, anni 41
Renzini Erminia, vedova di Menotti Nencioni, anni 68



Il casolare, il cippo e la lapide che ricordano l'eccidio





Paola Avorio durante la presentazione del suo libro
A destra, la scritta sul cippo che ricorda l'eccidio (1974)
Sotto, due immagini interne del casolare teatro dell'eccidio

La strage di Monsiano (Preggio)
Nel 2015, in occasione del centenario dell’inizio della prima grande guerra mondiale, in tutta Italia ed anche in Europa, è stata avvertita la necessità di testimoniare gli eventi tragici, soprattutto quelli ancora sconosciuti, di persone innocenti scomparse e dimenticate. Per questo si è deciso di ricordare con una lapide una strage poco conosciuta avvenuta nel nostro territorio a Monsiano, poco distante da Preggio, il 4 luglio del 1944, durante il passaggio del fronte e la ritirata dei tedeschi verso nord. Un bombardamento delle forze alleate ha colpito un casolare dove si erano nascosti un paio di tedeschi in fuga.
L’intero fabbricato rurale, ora ricostruito, fu raso al suolo sterminando un’intera famiglia, i coniugi Gelindo Braconi e Isolina Bellezzi e i loro sei figli, Maria (4 anni), Anna (8), Lorenzo (11), Francesco (14), Rina (16), Luigina (19).
La lapide che ricorda questo terribile evento è stata applicata su un piccolo masso roccioso, posto all’incrocio della strada provinciale con quella vicinale che porta a Monsiano.
L’Amministrazione Comunale e la popolazione di Preggio hanno voluto così rendere testimonianza a tutti coloro che, fermandosi davanti alla lapide, potranno conoscere la storia di questa famiglia di Preggio e del suo tragico destino.
Alla cerimonia hanno partecipato il sindaco di Umbertide Marco Locchi, Alberto Bufali, presidente della Pro loco di Preggio e promotore, insieme al Comune e alla sezione di Città di Castello dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi di guerra, della commemorazione, la presidente regionale dell'Associazione nazionale famiglie caduti e dispersi di guerra Rosanna Tonnetti, Gianfranco Braconi, familiare delle vittime della strage, Paola Milli e Pierino Monaldi dell'Istituto di storia politica e sociale “Venanzo Gabriotti” di Città di Castello. L'inaugurazione è stata accompagnata dalla benedizione impartita dal parroco di Preggio don Francesco Bastianoni e dalla deposizione di una corona ai piedi della lapide sulle note della tromba del maestro Galliano Cerrini. Durante la cerimonia sono stati inoltre ringraziati Mario Tosti e Alvaro Tacchini per le preziose ricerche storiche sui fatti che accaddero a Preggio il 4 luglio di settantuno anni fa.
Fonti:
Alvaro Tacchini: Sito “storia tifernate e altro”

Il cippo che ricorda il tragico evento


Il manifesto per l'inaugurazione del cippo


