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Astorre Bellarosa
Francesco Alunni Pierucci
Antonio Rossetti
Ebe Igi
Alessandro Franchi
Francesco Andreani
Gabriele Santini
Arsenio Brugnola
Giuseppe Guardabassi
Personaggi Storici del Novecento

In questa sottosezione proponiamo le biografie di alcuni personaggi che hanno avuto un ruolo nella storia della città.

a cura di Simona Bellucci


Astorre Bellarosa 

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Nasce nel 1895 ad Umbertide in una famiglia che comprende padre, madre e dodici figli. Rimasto orfano di padre da bambino, il nonno, cocchiere presso la famiglia Marinelli, si prende cura della numerosa prole e Astorre può continuare a studiare fino all’ottava classe. Dopo la scuola, apprende il mestiere di falegname, ma nel 1915 all’età di 20 anni, è richiamato in guerra e combatte sul Carso dove rimane ferito, riportando una lesione lieve ma permanente, ad una mano. Al ritorno dalla guerra si sposa con l’umbertidese Tecla Beati, da cui avrà tre figlie, delle quali la seconda muore in tenera età. Riesce ad aprire una segheria in Via Roma con un socio Riego Maccarelli, noto antifascista, che impiega anche diversi dipendenti, esercitando il mestiere di falegname con grande maestria. Animato da profonde convinzioni politiche, aderisce al Partito Comunista Italiano fin dalla fondazione e rimane profondamente attaccato alla sua fede politica anche durante il ventennio fascista. L’adesione al comunismo è sempre coniugata con la grande ammirazione per Giuseppe Mazzini, di cui studia da autodidatta il pensiero politico e non rinuncia mai a portare il cravattino repubblicano. È sottoposto ad un’aggressione da parte dei fascisti prima che salissero al potere e le minacce si ripetono anche durante il ventennio, tanto che tiene sempre una corda ed un coltello nella sua camera posta sul retro di via Roma, da cui qualche volta scappa in tutta fretta. Dopo il bombardamento di Umbertide, sfollato a Serra Partucci, vede dall’alto andare a fuoco la sua segheria, incendiata dai nazifascisti per ritorsione. Il socio Riego, catturato, è portato in carcere a Perugia, torturato e poi rilasciato. Finita la guerra, continua ad esercitare il mestiere di falegname ma come dipendente, poi apre un bar in via Roma. 

Diventa sindaco nel 1945, prima nominato dagli Alleati e poi eletto nell’aprile 1946 fino al 1952. In seguito, continua l’attività amministrativa come assessore nella seconda giunta del sindaco Serafino Faloci. Dopo la fine dell’esperienza amministrativa, rimane attivo in politica, intransigente dal punto di vista morale quanto generoso e amante della compagnia nella vita privata. Nel 1969, anno della morte, vuole un funerale laico la mattina di buonora ed essere seppellito sotto terra, qualora non fosse stata possibile la cremazione. I suoi ex-dipendenti gli costruiscono una bara di legno povero come aveva disposto e lo portano a spalla fino al locale cimitero . 

Francesco Alunni Pierucci 

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Si può parlare di lui come dell’esponente politico e sindacale più illustre di Umbertide nel novecento . Nasce il 4 giugno 1902 da una famiglia contadina formata dal padre Alessandro, dalla madre Matilde Pasquini, dai fratelli Astorre e Antonio e dalle sorelle Linda e Veronica. All’età di due anni perde il braccio destro a seguito di un incidente e, a causa della menomazione, i genitori con grandi sacrifici gli fanno proseguire gli studi. Frequenta fino al terzo istituto tecnico superiore, cosa che gli permette in seguito di guadagnarsi da vivere, impartendo lezioni di matematica. 

La famiglia è mandata via dal podere dopo l’uccisione di un suino senza il permesso del proprietario durante la prima guerra mondiale e Francesco cresce in questo clima di sopraffazione, maturando un senso profondo di ribellione di fronte dell’ingiustizia ricevuta. A 15 anni si era iscritto alla sezione socialista di Umbertide ed in seguito, dopo la scissione comunista, si iscrive al PCI diventando segretario della sezione dell’Alto Tevere. Preso di mira dai fascisti, nel dicembre 1923 espatria a Nizza, dove si trovavano già i fratelli, qui apre un negozio di generi alimentari e diviene coordinatore di un gruppo di emigrati politici antifascisti. A Nizza conosce anche Sandro Pertini, nel 1933 si trasferisce a Tolone e poi a Lione. 

 

Nel 1940, al tempo della Repubblica di Vichy, è internato nel campo di concentramento di Vernet. Viene poi consegnato alle autorità italiane e qui passa varie carceri ed infine è inviato al confino a Maierà. Tornato a Perugia dopo il 25 luglio 1943 riprende l’attività politica in Alto Tevere, facendo parte del CLN ma a novembre, a causa di una soffiata, è arrestato e torturato. Rimane in carcere fino alla liberazione di Perugia nel 1944, in seguito riprende l’attività politica e sindacale fino a diventare segretario nazionale delle tabacchine CGIL. Dopo la guerra sposa una partigiana ligure, 

Mirella Alloisio, che diventa la sua inseparabile compagna. Nel 1948 è eletto senatore per il PCI nel collegio dell’Alto Tevere. Dal 1952 al 1958 è sindaco di Città di Castello. Sarà, poi, fondatore del giornale “Il solco”, che si rivolge ai contadini e si occupa anche del movimento cooperativo, riuscendo a risanare la situazione critica del Molino di Umbertide. Nell’ultima parte della sua vita pubblica, scrive diversi libri sulle lotte politiche del movimento operaio e contadino in Umbria. Muore nel 1985. 

 Antonio Rossetti

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Antonio Rossetti è un contadino delle Petrelle di Umbertide, nato nel 1915 che, da segretario della locale Camera del Lavoro, è l’animatore delle rivendicazioni dei mezzadri nel dopoguerra, nonché consigliere comunale eletto fra le fila del Partito Comunista per tre volte consecutive nel 1946, 1952 e 1956. Ricoprì la carica di assessore comunale nella seconda legislatura dal 1952 al 1956. Di lui si ricorda che, per organizzare la lotta sindacale, arrivava perfino a Gubbio e ritornava a notte fonda in bicicletta. 

Schivo e riservato quanto determinato nell’azione, Rossetti, nel clima acceso degli scioperi per il lodo De Gasperi, ossia per la divisione dei prodotti fra il proprietario e il mezzadro al 53%, è accusato, insieme ad altri sindacalisti dell’Alto Tevere, di avere estorto firme di accettazione del lodo da parte dei contadini e passibile di arresto preventivo prima del processo a lui intentato. 

Si dà alla latitanza, tenuto nascosto dai contadini della zona di Faldo e Petrelle, si costituisce qualche mese dopo ed è condannato, scontando anche qualche mese in carcere. Niente poteva piegare il tenace organizzatore che, uscito di prigione, si dà subito da fare per mettere in piedi un’impresa ancora più ambiziosa: la nascita del Molino Popolare di Umbertide di cui fu presidente. Travolto dalla crisi del Molino nel 1964, sconta, in qualità di esponente più in alto, responsabilità gestionali più grandi lui. 

Si ritira, da allora, a vita privata, coltivando un pezzo di terra insieme alla moglie Elisabetta, tabacchina, nelle sue Petrelle, probabilmente amareggiato dalla vicenda che lo ha investito. I suoi meriti di infaticabile attivista sono stati rimossi e non sufficientemente ricordati nemmeno in occasione della scomparsa, avvenuta nel 2013

Fonti: Simona Bellucci: Umbertide nel XX secolo 1943-2000, Nuova Prhomos, 2018.

EBE IGI

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La storia della giovanissima virtuosa del violino

strappata alla vita da un destino crudele e drammatico

 

A cura

di Fabio Mariotti

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di Amedeo Massetti

 

Una violinista di raro talento. Oggi sarebbe ricordata tra i grandi musicisti umbri e non solo, se una grave malattia non avesse stroncato la sua giovanissima vita. E Umbertide l’avrebbe annoverata tra i suoi tanti personaggi famosi.

Ebe Igi, figlia di Ivo ed Eletra Butturi, era nata ad Umbertide, in via Mancini, il 26 agosto 1912 da una famiglia della piccola borghesia cittadina: il padre impiegato comunale, la madre casalinga. Abitava in via Petrogalli n. 6, nel cuore del quartiere di S. Giovanni. Aveva cominciato lo studio dello strumento agli inizi del 1921, a nove anni, unica ragazza di un gruppo di giovani che frequentavano la scuola di violino del professor Decio Ajò, da poco istituita in paese col nome di “Scuola d’arco”, e alla quale il Comune erogava un contributo di 150 lire al mese. La Giunta, presieduta da Settimio Rometti, primo sindaco socialista di Umbertide, il 19 gennaio 1921 aveva deliberato anche di istituire dieci posti gratuiti, riservati ai giovani tra gli 8 e i 14 anni di famiglie non abbienti: tre ragazzi avevano presentato la richiesta di iscrizione alla scuola. Il maestro Ajò insegnava stabilmente a Gubbio e veniva ad Umbertide una volta la settimana. Ma Ebe, molto appassionata alla musica, si recava con la mamma altri due giorni nella città di Sant’Ubaldo, con il treno dell’Appennino, per prendere altre lezioni da lui. Studiò poi a Bologna con il maestro Supino come a volte ricordava la sorella, Vittorina Igi, morta quasi centenaria a Frascati il 22 giugno 2004.

I genitori seguivano attenti l’attività musicale della figlia, assecondandone la passione. La piccola Ebe si rivelò molto dotata e proseguì con profitto gli studi per nove anni. La sua arte non passò inosservata ad Umbertide dove ancora studentessa tenne applauditi concerti come solista, accompagnata al pianoforte dal maestro Alessandro Franchi, direttore della banda musicale, o dal pianista e compositore Raffaele Zampa, grande musicista oltre che notaio.

La ragazza si diplomerà in “Magistero di Violino” nel 1930 presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna, con il maestro Angelo Consolini, uno dei massimi esponenti della scuola d’archi bolognese, con la “magnifica votazione” di 30/30, “premio meritatissimo alla sue nobili fatiche” ed al suo “felicissimo temperamento di violinista”. Ma non potrà veder realizzato il sogno di una brillante carriera perché morirà nell’ospedale di Perugia, appena diciottenne, pochi mesi più tardi, il 12 novembre 1930. Il suo decesso repentino e immaturo colpì molto gli umbertidesi dai quali era conosciuta ed amata: tutto il paese partecipò ai funerali.

Per la sua tomba sotto i “portici”, nell’emiciclo destro del cimitero di Umbertide, il giovane artista Corrado Cagli, allora direttore artistico alle Ceramiche Rometti, scolpì un lucente bassorilievo di ceramica in “Nero Fratta”, in cui è raffigurato un volto di donna reclinato all’indietro, poggiato su un’ala, un ramoscello reciso ed un violino che pare irrimediabilmente abbandonato.

Un coro polifonico porta oggi ad Umbertide il suo nome: il Chorus Fractae Ebe Igi. È stato costituito da un gruppo di appassionati nel 2000, sotto la guida del professor Nicola Lucarelli. Attualmente è diretto dal maestro Paolo Fiorucci, conta oltre trenta coristi, ha un repertorio che spazia nei più vasti campi, dal classico – tradizionale al moderno. Ricorrendo quest’anno (N.d.r. 2012) il centenario della nascita di Ebe, i componenti organizzeranno una manifestazione in suo onore in cui ne ricorderanno le straordinarie doti musicali, facendone conoscere la vita e l’attività artistica.

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Alcune notizie sui concerti della giovanissima Ebe

riprese dai giornali dell’epoca

 

La scuola comunale di violino, nel 1926, funzionava bene ed erano tanti i giovani umbertidesi che la frequentavano. Domenica 14 marzo, nel teatro del Patronato Scolastico, si svolse un saggio musicale degli allievi di Umbertide e Gubbio della scuola diretta dal professor Decio Ajò. Il pubblico era numeroso, “grandi applausi salutarono la fine di ciascun pezzo dell’interessante programma, eseguito alla perfezione dai singoli allievi, fra i quali si distinsero Cardinali e la signorina Igi” (L’Assalto, Perugia, 18-19 marzo 1926). Ebe Igi era tra gli allievi migliori: applauditissima a soli quattordici anni nei suoi assoli di violino. Grande entusiasmo suscitò nella serata la sinfonia della Gazza Ladra (fu richiesto il bis), “magistralmente diretta dal maestro Franchi mentre al piano sedeva con la nota valentia il dottor Zampa”.

 

Il 31 marzo 1929 il maestro Alessandro Franchi accompagnò al pianoforte un concerto di violino di Ebe Igi. La ragazza, diciassettenne, stava per diplomarsi all’Accademia Filarmonica di Bologna sotto la guida del maestro Consolini. Suonò nella sala grande del Circolo “L’Unione” davanti a un numeroso pubblico, in prevalenza femminile. Un enorme successo. L’esibizione fu molto applaudita, soprattutto nel nono Concerto di Beriot dove la violinista aveva “dato prova di possedere dolcezza e robustezza di cavata, intonazione perfetta e un senso interpretativo veramente sorprendente” (Il Messaggero, Roma, 9 aprile 1929).

Non era la prima volta che il maestro suonava insieme alla giovane Ebe, ragazza che stimava per le sue rare doti musicali e cercava di valorizzare in ogni modo.

Franchi accompagnerà Ebe al pianoforte anche la sera del 22 settembre, in un concerto tenuto in un’aula dell’asilo d’infanzia. La ragazza si esibirà con lui anche la sera successiva al Circolo “L’Unione” di Umbertide.

 

Domenica 11 maggio 1930, la “professoressa Ebe Igi” tenne un altro concerto di violino accompagnata dal maestro Franchi. Si era appena diplomata con il massimo dei voti all’Accademia Filarmonica di Bologna. Ad organizzare l’audizione musicale era stato il preside delle scuole di Avviamento professionale, Falorni, che aveva invitato i musicisti nella sala grande dell’istituto. Un numeroso pubblico, composto da scolaresche, dal Podestà, da autorità politiche e da insegnanti ascoltò con interesse i due bravi musicisti, che ebbero uno straordinario successo (La Nazione, Firenze, 18 maggio 1930). Ebe era considerata una “vera e grande artista dall’esecuzione impeccabile” (La Tribuna, Roma, 14 maggio 1930), che sapeva “far uscire dal suo “Bresciano” effetti di dolcezza e di intensa sonorità veramente sorprendenti” (La Nazione, Firenze, 18 maggio 1930). Franchi, al solito, accompagnava al piano “con quella coscienza e competenza artistica che sempre lo avevano contraddistinto”. Il programma era impegnativo ed interessante (Parte 1ª: Simonetti, Madrigale; Frontini, Serenata Araba; Bruch, Concerto (op. 26): a) Allegro moderato, b) Adagio, c) Finale energivo. Parte 2ª: D’Ambrosio, Canzonetta; Franchi, Intermezzo melodico; Paganini, La caccia; Wiennawski, a) Leggenda, b) Scherzo tarantella); l’esecuzione della musica “fu nella realtà magistrale” e la “virtuosità della violinista ebbe campo di mostrarsi nelle più ampie forme dando prova di un sentimento profondamente espressivo ed educato” (La Nazione, Firenze, 18 maggio 1930).

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Fonti:

Ricerca storica di Amedeo Massetti - 2012

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Programma del concerto al circolo "L'Unione" 

Gruppo archi maestro Ajò a Gubbio

Gruppo Archi al Teatro Riuniti Umbertide
Copia di Lapide in Nero Fratta di Corrad
Gruppo archi al Teatro dei Riuniti
Lapide in nero Fratta di Corrado Cagli
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L'edificio scolastico nel 1921
L'edificio scolastico negli anno '30
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La scuola Garibaldi negli anni '80
La festa per il Centenario. Novembre 2019
4 dicembre 1945. I funerali di Quirino Pucci, Giuseppe Rosati e Giuseppe Starnini
La cerimonia in piazza Matteotti. Dietro si vedono le macerie del bombardamento

FRANCESCO ANDREANI

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a cura di Fabio Mariotti

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Sindaco illuminato dei primi anni del secolo scorso

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Francesco Andreani, avvocato, ricoprì la carica di Sindaco di Umbertide dal 5 febbraio 1910 al 4 novembre 1919. Stimato da tutti, svolse il suo ruolo con competenza e lungimiranza. A lui si deve la costruzione del grandioso edificio delle scuole elementari di Umbertide, dell’architetto Osvaldo Armanni, e di altre importanti opere pubbliche. Oltre a questo, alla sua amministrazione si deve la costruzione delle scuole rurali, molto importanti per quei tempi, di San Benedetto, Pian d’Assino e Badia di Montecorona progettate dall’ing. Sozzi, le case popolari di via XX settembre, il viale Cesare Battisti dietro la stazione ferroviaria, il ponte sul torrente Rio che rese più agevole e sicuro il collegamento con Montone. Nel 1915 arrivò anche l’energia elettrica. Poi la guerra portò notevoli ristrettezze economiche che limitarono notevolmente anche il bilancio comunale.

La sua Giunta era composta da Giuseppe Guardabassi, Rolando Santini, Carlo Bebi, Alberico Bebi, Silvio Ramaccioni e Quintilio Pucci.

 

La famiglia di Francesco Andreani, originaria del Colle di Montecorona, si trasferì ad Umbertide negli ultimi decenni dell’Ottocento per gestire un negozio di generi alimentari e un pastificio in piazza Umberto I (odierna piazza Matteotti), nei locali dell’attuale banca.

 

Nato il 19 luglio 1861 da Michele Andreani e da Francesca Fuscagni, Francesco si laureò brillantemente in giurisprudenza presso l’Università degli studi di Perugia. Fu civilista di fama, dall’oratoria “polemica e convincente”. Esercitò la professione a Perugia, con frequenti ritorni a Umbertide dove ricoprì la carica di Sindaco per circa un anno, nel 1890, quando la vittoria elettorale dei socialisti-repubblicani rovesciò, per la prima volta nella storia cittadina, l’amministrazione dei conservatori; fu ancora Sindaco ininterrottamente dal 1910 al 1919. Per vari anni fu anche consigliere comunale ed assessore al comune di Perugia. (nella giunta di Ulisse Rocchi che portò a Perugia trasporti pubblici e acqua) Francesco Andreani non aderì ufficialmente ad alcun partito, anche se di sentimenti marcatamente repubblicani. Iscritto alla Massoneria, condivise l’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 contro l’Austria e svolse intensa propaganda patriottica. Non volle aderire al fascismo che nel 1919 iniziava l’ascesa al potere con violenze e soprusi. A Perugia, con altri cittadini, riordinò e fece funzionare una squadra di volontari per i casi d’infortunio denominata “Croce Bianca”, collaborò per fondare, nel 1909, il “Ricreatorio laico XX Giugno” per ragazzi, si adoperò attivamente alla realizzazione dell’Università popolare. Con Francesco Buitoni, Leone Ascoli e Annibale Spagnoli, Francesco Andreani costituì a Perugia, il 30 novembre 1907, una fabbrica di confetti che poi sarebbe diventata la “Perugina”. Nel 1910 fu candidato delle sinistre nel Collegio di Perugia 1º, per le elezioni al parlamento nazionale, ma fu battuto dal liberal-monarchico Romeo Gallenga. Morì il 21 marzo 1932. Il Comune di Umbertide, il 30 ottobre 1947, gli intitolò una via.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L’imponente edificio scolastico (Oggi scuola elementare Garibaldi)

 

Era insediata da appena un anno che la giunta Andreani, nei primi mesi del 1911, incominciò a porsi il problema delle scuole del capoluogo e delle frazioni. In una delibera del 26 marzo si affermava che “nel capoluogo il fabbricato attuale è insufficiente e poco decoroso. Nella campagna per qualche scuola è stato impossibile di trovare il locale e per alcune altre vi sono aule assolutamente indecenti e poco adatte per lo scopo cui sono destinate. E’ perciò indispensabile di costruire, anzitutto nel capoluogo, un nuovo edificio rispondente a tutte le esigenze didattiche moderne ed altri per le scuole di campagna che mancano di un locale decente e possibile”.

Il progetto della nuova scuola del capoluogo venne affidato all’architetto prof. Osvaldo Armanni, personaggio di alto spessore professionale e consolidata esperienza famoso, fra l’altro, per aver progettato a Roma il Palazzo di Giustizia, meglio conosciuto come il “Palazzaccio” e la Sinagoga. Era nato a Perugia da una famiglia originaria di Assisi per la quale progettò l’ultima sua opera, il Convitto Nazionale”Principe di Napoli”.

Le dimensioni dell’edificio nascevano dalla necessità di avere a disposizione almeno 20 classi per la frequenza di 457 alunni, più gli uffici ed i vari servizi. C’era piena consapevolezza di andare incontro ad una spesa di notevoli dimensioni, tanto è vero che inizialmente era stata prevista la spesa di oltre 220mila lire, ridotta poi a 200mila lire per imposizione del Ministero della Pubblica Istruzione su richiesta dell’opposizione che chiese una riduzione del costo dell’intervento. Questo comportò, fra l’altro, la cancellazione della palestra che era stata prevista nel progetto iniziale.

I lavori presero il via nell’estate 1914 per terminare nel marzo 1917. Tre anni appena per un lavoro impegnativo con i mezzi tecnici del tempo. Durante l’inverno 1917-1918 l’edificio fu utilizzato come ospedale militare per i feriti della Prima Guerra Mondiale. Solo il 5 aprile 1919 le quattordici classi elementari si insediarono nella nuova struttura.

A distanza di 100 anni, nel novembre dello scorso anno, la scuola Garibaldi ha festeggiato in grande stile il suo centenario di vita con tutte le sue componenti attuali, con le autorità cittadine e con le centinaia e centinaia di studenti che nel corso degli anni hanno frequentato le sue aule.

La Dirigente Scolastica dott.ssa Silvia Reali ha così commentato l’evento: “Sono molto contenta di essere parte della scuola Garibaldi e di poter festeggiare insieme al corpo docente, al personale tutto, agli alunni e alle famiglie questo evento così prestigioso. Poche scuole vantano tanta storia e un’architettura così bella e, direi, moderna per le intuizioni che l’architetto ha avuto nel creare ambienti di apprendimento vari, luminosi, ampi e davvero accoglienti”.

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La foto di Francesco Andreani è di Bruno Porrozzi

Le foto della scuola sono dell'Archivio fotografico storico del Comune di Umbertide

La foto del Centenario è di Fabio Mariotti

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Fonti:

“Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946” di Roberto Sciurpa – Ediz. Comune di Umbertide - 2006

sulla base delle ricerche storiche di archivio effettuate da Amedeo Massetti.

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2 gennaio 1927. La Banda con le nuove divise davanti alla Collegiata
9 settembre 1928. Esibizione in piazza Matteotti
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                 1931. I programmi dei concerti di agosto e settembre 1934.                                          Il programma del 9 settembre e della Sacra Spina a Preggio
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8 settembre 1930. Il concerto in piazza (Foto Mario Fornaci)
4 ottobre 1934. Esibizione a Monte Corona
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1946. Manifestino con le foto dei componenti della banda
la copertina del libro di A. Massetti

ALESSANDRO FRANCHI

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Grande compositore e maestro impareggiabile della Banda cittadina a cavallo delle due guerre

 

di Amedeo Massetti

 

Alessandro Franchi è rimasto un mito per i vecchi musicanti che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Il suo nome desta ancora oggi rispetto e ammirazione nei giovani per le tante volte che lo hanno sentito pronunciare con rimpianto e commossa riverenza. Qualche anziano della banda, fino a non molti anni fa, portava la sua fotografia nella cartella degli spartiti, tenendola con la devozione dovuta ad una reliquia. Ciò non stupisce: Franchi, uno dei più grandi compositori e direttori annoverati dalla storia della musica bandistica italiana, ha lasciato ad Umbertide un segno davvero profondo della sua arte e della sua umanità.

Era nato a Bastia Umbra il primo maggio 1887, da Napoleone, calzolaio di 34 anni, e Isolina Petrini, “donna di casa”. Straordinariamente dotato, aveva intrapreso fin da bambino lo studio della musica; nella sua formazione incontrerà grandi maestri che imprimeranno i loro segni nella sua mente fertile e nel suo animo sensibile.

Fin da ragazzo fece parte della Banda di Bastia Umbra e svolse il ruolo di organista in quella chiesa parrocchiale dedicandosi all’istruzione di cori scolastici. Nel 1908 iniziò lo studio dell’armonia sotto la guida del grande Raffaele Casimiri di Gualdo Tadino. Completò poi il corso di armonia e contrappunto con Armando Mercuri di Perugia; nel frattempo studiò strumentazione per banda col maestro Bernardino Casetti, direttore della Banda Comunale di quella città.

Negli anni scolastici 1910 - 11 fu a Bologna dove ebbe lezioni pratiche di composizione da Ottorino Respighi e, sotto la guida dei maestri Filippo Codivilla (Direttore di quella Banda Comunale) e Bonfiglioli (Capo musica del 35° Reggimento Fanteria) completò lo studio della composizione e strumentazione per banda.

Nel giugno 1911 conseguì il diploma di Maestro Capo Banda presso il Liceo Musicale di Bologna, meritandosi dal direttore Marco Enrico Bossi una lode speciale nell’esame di direzione.

Nel luglio dello stesso 1911 fu assunto dal Comune di Fojano della Chiana dove rimase fino al febbraio del 1915 occupandosi, oltre che di banda, di spettacoli teatrali dirigendo le opere: Bohème e Rigoletto e istruendo i cori (oltre che di dette opere) della Sonnambula, dei Puritani, della Norma, dell’Elisir d’Amore, del Barbiere di Siviglia ecc. Diressi anche allo stesso teatro “Garibaldi” vari concerti vocali - strumentali.

Nel 1914 conseguì al Regio Istituto Musicale “L. Cherubini” di Firenze il diploma di licenza e magistero di trombone tenore.

Nel marzo 1915 fu assunto dal Comune di Umbertide ma poté occuparsi solo d’un concerto vocale - strumentale “Pro corredo del soldato” perché nel novembre successivo fu chiamato alle armi e nel febbraio 1916 raggiunse il fronte di guerra dove rimase ininterrottamente fino al novembre 1918.

Dopo un lungo periodo in prima linea fu chiamato alla direzione di Bande Divisionali e fece parte dell’orchestra della Seconda Armata diretta da Arturo Toscanini.

Per ordine del Comandante il Corpo d’Armata istruì un coro di 350 soldati che, con accompagnamento di banda, eseguì in una grandiosa adunata militare la canzone del Grappa, un inno a Battisti ed altri canti patriottici. Nel febbraio 1919 fu inviato ad Innsbruck a dirigere la Banda Militare di quel Corpo d’Occupazione. Nell’aprile successivo fu inviato in congedo e riprese la professione civile presso il Comune di Umbertide.

Vinse diversi concorsi a posti di Maestro Direttore di scuole di musica e di Corpi Bandistici fra cui quelli indetti dai Comuni di Massa, Orvieto, Foligno, Bibbiena, ecc., ma, per ragioni famigliari, rimase sempre in questa sede.

Qui, oltre che dare la sua attività al Corpo Bandistico, si dedicò con passione e disinteresse all’istruzione di numerosi cori di opere, scolastici e patriottici, e concertò e diresse le operette: “Il Piccolo Balilla” e “Campane a Festa” di R. Corona; “Una Gara in Montagna” di M. Cagnacci; “La Pietra dello Scandalo” e “Signorina Terremoto” di V. Billi e una sua operetta in un atto scritta per i bambini. Inoltre si occupò di celebrazioni patriottiche, di spettacoli di beneficenza.

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Dall’anno scolastico 1930 - 31 al 1940 tenne l’incarico di insegnante di musica e canto corale presso la Scuola Secondaria di Avviamento Professionale di Umbertide, prendendo anche iniziative di vari concerti per la cultura musicale degli alunni, presentando gli alunni stessi quali esecutori di celebri cori di opere e d’altro genere. In precedenza, dall’anno 1927 al 1933, svolse sempre tale incarico anche nel Corso integrativo avente carattere magistrale inferiore annesso alla suddetta Scuola. Nel campo del Teatro e della Chiesa diede continua ed assidua attività, sia come organizzatore e direttore di concerti vocali – strumentali, sia come organista e direttore di musiche liturgiche eseguite in seno alla locale Schola Cantorum, da lui stesso fondata.

La casa editrice “Musica Sacra” di Milano ha pubblicato varie sue composizioni per voci ed organo. Altre varie Case musicali, poi, hanno pubblicato diversi suoi lavori per grande e piccola banda.

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Nell’ottobre 1937 conseguì presso il Regio Conservatorio di Musica “L. Cherubini” di Firenze il diploma di strumentazione per banda.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Franchi, dopo aver superato brillantemente la verifica della “Commissione di Epurazione” che giudicava i dipendenti pubblici per le attività svolte durante il fascismo, fu chiamato nel 1944 a coprire il posto di archivista comunale non potendo ancora ritornare a svolgere la sua attività musicale. Fu la giunta del sindaco Astorre Bellarosa, nel 1945, che sollevò Franchi dall’incarico amministrativo per riportarlo a svolgere la sua attività di maestro e direttore della banda cittadina “affinché l’insegnamento della musica potesse riprendersi a favore della popolazione e quindi la Banda potesse riacquistare la sua importanza anche come organo educatore dell’animo del popolo”. Il 4 dicembre di quell’anno furono riportate ad Umbertide le salme di tre giovani volontari che avevano dato la vita per la costruzione della nuova Italia democratica: Quirino Pucci e Giuseppe Rosati del “Gruppo di combattimento Cremona” e Giuseppe Starnini del “Gruppo di combattimento Legnano”. Ad accoglierli con grande commozione tutta la città e la ricostituita banda musicale cittadina. Queste le parole di ringraziamento del Sindaco: “Ringrazio sentitamente la S.V. e codesto Corpo Bandistico della partecipazione presa alle onoranze che la popolazione tutta di Umbertide ha reso alle salme dei volontari caduti sul fronte di Ravenna”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il 1946 e il 1947 segnarono l’inizio della ripresa della piena attività bandistica ad Umbertide dopo il periodo della guerra. Ci fu l’ingresso di nuovi giovani e il consolidamento del gruppo storico. La Banda era composta allora da 35 persone di età media molto bassa, insieme ai componenti di più vecchia data come Mario Villarini, Giovanni Bartolini, Francesco Lotti e Giuseppe Lazzarini. Per il resto si trattava essenzialmente di giovani, alcuni tornati da poco dalla guerra o dalla prigionia (Giuseppe Coletti, Augusto Bruschi e Alvaro Lozzi) o dal servizio militare (Luigi Gambucci, Egidio Alunni, Aldo Rondini, Guido Giubilei, Luigi Briganti e Nello Migliorati). Molti i diciottenni (Aldo Fiorucci, Aldo Cozzari, Nello Belia, Giordano Corgnolini, Nello Palazzoli) e i poco più che ventenni Domenico Baldoni e Bruno Giubilei (21), Federico Lazzarini (23), Giuseppe Fiorucci (27). C’erano infine i giovanissimi Bruno Tarragoni Alunni (14), Rolando Rosati (15), Antonio Boldrini e Carlo Violini Alunno (16). Il Presidente Burelli e il suo vice Ceccarelli seguivano l’attività con grande partecipazione, cercando in ogni modo di soddisfare le esigenze dei musicanti.

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La Banda chiuse il 1947 il 31 dicembre, alle ore17.30, con un grande concerto in piazza per solennizzare la Costituzione della Repubblica Italiana. Franchi era il mitico direttore di sempre, amato dai ragazzi che trovavano in lui una guida e nell’attività musicale un modo per superare più serenamente le difficoltà quotidiane di un periodo così difficile, in cui mancava tutto.

Ma la sua salute, già da tempo malferma, si aggravò improvvisamente e il 5 aprile 1948, a 61 anni non ancora compiuti, il maestro Alessandro Franchi morì di coma diabetico nella sua abitazione di via Guidalotti n.1. Unanime in paese lo sgomento e il dolore per questa morte prematura. I suoi ragazzi lo vegliarono tutta la notte e lo deposero poi nella bara. I funerali si svolsero il 7 aprile partendo dalla Collegiata tra un’immensa folla commossa. La sua banda, diretta dal giovane professore di tromba Pietro Franceschini, lo accompagnò al cimitero, rispettandone la volontà, con le note gravi e struggenti di “Cuore che ricorda”, la marcia funebre da lui composta a 23 anni in memoria del maestro Giuseppe Censi.

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Le foto sono tratte dal libro di Amedeo Massetti

Le foto dei funerali dei volontari caduti sono dell'Archivio fotografico storico del Comune di Umbertide

 

Fonti:

Ricerca storica di Amedeo Massetti per il suo libro “Due secoli in marcia – Umbertide e la Banda” - Petruzzi Editore – 2008.

 

Nel libro, la storia integrale del maestro Franchi nel capitolo “L’epopea di Franchi”.

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GABRIELE SANTINI
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Grande direttore d’orchestra della prima metà di Novecento. Negli anni ‘20 fu assistente alla Scala di Toscanini
e diresse in più occasioni due mostri sacri della lirica come Maria Callas e Renata Tebaldi

 

di Nicola Lucarelli

(Da “Umbertide Cronache n.1 2002)

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Gabriele Santini nacque a Perugia il 20 gennaio 1886 da famiglia umbertidese, il padre era Pio Santini e la madre Carmela Nolaschi. Studiò al Conservatorio “F. Morlacchi” violoncello e pianoforte e più tardi passò al Conservatorio “G. B. Martini” di Bologna dove compì gli studi di Composizione con G. Minguzzi e P. Micci. Iniziò la sua carriera di direttore d’orchestra già nel 1904 e si dedicò quasi esclusivamente al genere operistico. Dopo un primo periodo al Teatro Costanzi di Roma, (più tardi chiamato Opera Reale, ora Teatro dell'Opera) venne ingaggiato da vari teatri dell'America Latina.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rimase per otto stagioni al Teatro Colòn di Buenos Aires (uno dei più importanti del continente sudamericano) e successivamente al Teatro Municipal di Rio de Janeiro, al Lyric Opera di Chicago e al Teatro Manhattan di New York. Dal 1925 al 1929 fu chiamato al Teatro alla Scala di Milano come assistente del maestro Arturo Toscanini. Tornò quindi all'Opera di Roma dove rimase stabilmente fino al 1933 e dal 1944 al 1947 esercitò anche l'incarico di direttore artistico. Nel 1951 diresse la compagnia del S. Carlo di Napoli nella tournée a Parigi, per le celebrazioni del cinquantenario verdiano. In tale occasione furono eseguite sotto la sua guida le opere “Un ballo in maschera”, “Giovanna d’Arco” e la “Messa da Requiem”. Diresse varie stagioni a1 Teatro alla Scala di Milano, nel 1946 - il Teatro era distrutto e gli spettacoli venivano dati al Palazzetto dello Sport - e dal 1960 al 1964, anno della sua morte. Presentò per la prima volta al pubblico, fra le altre, le opere “Il re” di U. Giordano (1930), “Dottor Antonio” di F. Alfano (1949), “Pérsephone” di I. Strawlnsky (1956) e diresse anche la prima italiana di “L’heure espagnole” di M. Ravel e del “Christophe Colombe” di D. Millhaud. Si dedicò anche alla riscoperta dei capolavori del passato curando le prime riproposizioni de “La Favorita” di G. Donizetti, “Il ballo delle ingrate” di C. Monteverdi, “Fernando Cortez” di G. Spontini.

Nel suo repertorio figurano anche “Amella al ballo” di G. Menotti e la “Medea” di L. Cherubini, opera riscoperta da Maria Callas ed eseguita dalla stessa, sotto la direzione del nostro direttore, nel 1955 a Roma.

Morì a Roma il 13 novembre 1964.

La sua discografia è abbastanza ampia e comprende fra l'altro: “l'Andrea Chenier” di Giordano (con A. Stella, E Corelli, M. Sereni); la “Boheme” di Puccini (due edizioni, una con R. Carteri, Tagliavini e Taddei, una seconda con Renata Tebaldi, G. Lauri Volpi, T Gobbi); Il “Trittico” di Puccini ( “Il Tabarro, Gianni Schicchi, Suor Angelica”) con vari artisti fra cui V. De Los Angeles, T. Gobbi, M. Del Monaco, P. Montarsolo; due edizioni del “Don Carlos” di Verdi (con A. Stella, Filipeschi, Labò, Gobbi, Bastianini, Cossotto, Christoff); il “Simon Boccanegra” di Verdi (con M. Callas, Albanese, Savarese); la “Traviata” di Verdi (con M. Callas, Albanese, Savarese); “Ernani” di Verdi (con M. Del Monaco e N. Rossi Lei-neni); “Madama Butterfly” di Puccini.

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Recentemente sono state anche ripubblicate su CD registrazioni effettuate dal vivo negli anni ‘50, in cui troviamo Santini dirigere i più bei nomi del panorama vocale dell'epoca (R. Tebaldi, M. Callas, A. Stella, M. Del Monaco, F. Corelli, E. Cossotto e molti altri).

Fra queste registrazioni sono senz'altro da ricordare (recentemente ripubblicate a cura del Teatro S. Carlo di Napoli) “L'assedio di Corinto” di G. Rossini (con R. Tebaldi, M. Petri, M. Picchi, M. Pirazzini); “Fernando Cortez” di G. Spontini (con R. Tebaldi, A. Protti); “Lohengrin” di R. Wagner (con R. Tebaldi, G. Guelfi, E. Nicolai) e pubblicato dalla Legato; “Giovanna d’Arco” di Verdi (con R. Tebaldi, U. Savarese).

Nel sito Web ufficiale del Teatro dell'Opera si può leggere quanto segue: “l’Orchestra del Teatro dell'Opera nasce insieme a1 Teatro Costanzi, inaugurato nel 1880. Testimone e protagonista delle prime di “Cavalleria Rusticana”, “L’Amico Fritz!, “Iris”, “Tosca”, vide alternarsi sul suo podio Pietro Mascagni, lgor Stravinskij, Riccardo Zandonai.

La trasformazione del Costanzi a Teatro Reale dell'Opera di Roma nel 1928 gli ha conferito una fisionomia di carattere internazionale, confermata dalla costante presenza sul suo palcoscenico dei più grandi direttori ed artisti lirici dalla sua fondazione ad oggi. Fino a tutti gli anni cinquanta si sono succeduti nell'incarico di Direttore stabile direttori, fra gli altri,della fama di Gino Marinuzzi, Tuilio Serafin e Gabriele Santini, che ne hanno forgiato le caratteristiche di estrema duttilità e morbidezza di suono”.

Si può osservare da ciò la considerazione che il maestro Gabriele Santini continua ad avere in chi ha avuto la fortuna di ascoltarlo direttamente e in chi lo conosce magari soltanto attraverso le incisioni discografiche. Fra l'altro già nel 1938 E. Schmidl, nel suo Dizionario universale dei musicisti, dedicava una voce al nostro e così si esprimeva: “diresse molte stagioni liriche in Italia ed all'estero specialmente in America, ovunque stimato ed applaudito”.

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Di particolare interesse le sue collaborazioni con le due soprano più in vista del secolo appena trascorso: Renata Tebaldi e Maria Callas. La prima ha ricordato recentemente e con particolare stima e affetto le sue esibizioni sotto la guida del nostro maestro in una intervista rilasciata al Corriere della Sera in occasione dei festeggiamenti per i suoi 80 anni. Riguardo alla seconda è doveroso ricordare che il soprano greco si esibì solo una volta a Perugia e lo fece il 18 agosto del 1949 nella Chiesa di S. Pietro dove eseguì “l'Oratorio San Giovanni Battista” di A. Stradella proprio sotto la direzione di Gabriele Santini.

Nel 1952 il nostro direttore diresse la Callas nel Puritani di Bellini (a Roma).

L’anno 1953 fu quello della celebre incisione della “Traviata” (la prima incisa dal soprano greco) e in effetti iniziò nel gennaio all'Opera di Roma con questa opera, seguita da “Norma” (sempre a Roma), nel mese di settembre fu effettuata la storica registrazione della Traviata a Torino e nel mese di dicembre, di nuovo, la Callas si esibì sotto la direzione di Santini nel “Trovatore” di Verdi (sempre all'Opera di Roma). La collaborazione con la cantante greca riprese ancora nel 1955 (“Medea” di L. Cherubini, all'Opera di Roma) e nel 1958 (“Norma” ancora all'Opera di Roma).

A conclusione di questo ricordo vorrei citare una curiosità discografica, un disco denominato “Gigli rarities” in cui il celebre cantante marchigiano canta brani dal “Romeo et Jullette” di C. Gounod e dalla “Forza del destino” di G. Verdi, il tutto accompagnato dall'Orchestra del Teatro alla Scala di Milano, diretta da Gabriele Santini; la registrazione risale a1 1934.

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Foto:

Dall’articolo – dall’Archivio fotografico del Comune di Umbertide e da Wikipedia

 

Fonti:

Articolo su “Umbertide Cronache”

– n.1 2002 – Pag.42

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ARSENIO BRUGNOLA

 

Il “medico dei poveri” era originario di Montone di cui fu anche Sindaco, poi Consigliere provinciale nel Mandamento di Umbertide e Deputato per l’Alta Val Tiberina. Le sue spoglie riposano nel cimitero di Umbertide

 

di Arsenio Rossoni (suo nipote)

(Da "Umbertide Cronache n. 4 1995)

 

Il primo dicembre 1943, in una rigida giornata di quell'inverno che precedette il verificarsi degli ultimi eventi bellici che interessarono la Val Tiberina e che si conclusero con il passaggio del fronte nell'estate del '43, chiudeva la sua esistenza terrena nella "sua Montone", ove era nato settantatré anni prima, il prof. Luigi Arsenio Brugnola, "medico dei poveri", come lo definisce Rometti nel suo libro sulle vicende del socialismo nell'Alta Umbria.

I funerali, che si svolsero in un dignitoso silenzio, senza indulgere a superflue commemorazioni, quasi a rispecchiare il carattere schivo da esibizionismi ed esteriorità che caratterizzava il prof. Brugnola, furono una testimonianza spontanea della sua popolarità e della riconoscenza che avevano quanti erano ricorsi alla sua capacità di medico, alla sua sensibilità di uomo ed alla sua funzione di politico e di pubblico amministratore.

Furono anche un tributo a tutta una vita di sacrifici e di studio, impegnata quotidianamente a superare non poche difficoltà, sin dalla giovinezza, ma pur sempre altruisticamente attento alle esigenze dei più deboli.

Rimasto orfano di entrambi i genitori ancora adolescente, con i due fratelli minori Americo e Annibale e la sorella Aurora, egli trovò nell'affetto e nell'aiuto degli zii materni, canonici di Montone, don Settimio e don Giuseppe Cancellotti, un sicuro riferimento familiare che gli consentì di proseguire negli studi superiori ed universitari, durante i quali svolse per vari anni anche la funzione di istitutore presso il Collegio "La Sapienza" di Perugia. La sentita vocazione per gli studi di medicina intrapresi è testimoniata dai brillanti risultati conseguiti, tant'è che alla conclusione del quarto anno accademico presso l'Ateneo di Perugia, dopo aver superato tutti gli esami con la votazione di trenta e lode (ad eccezione di un trenta), la Facoltà di Medicina così decretava: "in considerazione del singolare zelo e profitto dimostrati dal Brugnola, gli è stata affidata l'assistenza al gabinetto di Fisiologia" e tutto questo prima della laurea che doveva conseguire all'Università di Roma il 7 luglio 1895 con pieni voti e tesi dichiarata degna di stampa ed ammessa al Premio Girolami bandito dalla stessa Università. In immediata successione, conclusi gli studi universitari, il neo-laureato dott. Brugnola iniziò l'attività di medico, esercitando per ben cinque anni la professione in condotta, nel comune di Pietralunga, dopo alcune brevi esperienze di interinato in altri comuni dell'Umbria, e fu proprio durante la sua permanenza a Pietralunga che ebbe modo di compiere importanti ricerche concernenti l'urologia della pellagra, per certi aspetti ancor oggi attuali, profittando della presenza di numerosi pazienti affetti da tale morbo nel piccolo ospedale del luogo, a causa della carente nutrizione della popolazione rurale di quella zona. L'attività di ricerca e di studi svolta comportò la sua cooptazione, nel febbraio 1899, da parte della "Perusina Academia Medica et Chirurgica". Senza dubbio la sua esperienza di medico, vissuta soprattutto fra i poveri, dovette contribuire non poco ad affinare la sua sensibilità verso i più deboli che già era parte integrante del suo carattere, tanto che già nel novembre del 1895 era stato nominato dal Consiglio comunale di Montone presidente della locale Congregazione di Carità. All'esperienza di medico condotto seguì quella di assistente presso la Clinica Medica di Perugia, per circa un quadriennio, e quindi l'attività di primo aiuto di Clinica medica nell'Università di Sassari, ove nel 1906 conseguì la docenza in Patologia Speciale Medica. Rientrato all'Ospedale di Perugia nel 1908, proseguì ricerche già iniziate di batteriologia e clinica, pubblicando numerosi lavori. Dopo tale data si verificarono eventi particolarmente importanti nella vita del prof. Brugnola: nello stesso 1908 il matrimonio con la umbertidese Maria Concetta Ramaccioni, donna di riconosciuti fascino ed intelligenza, che fu sempre al suo fianco nei difficili momenti che seguirono; nel 1909 la nascita della figlia Margherita; nel 1910 l'elezione a Consigliere provinciale per il mandamento di Umbertide, che faceva seguito alla sua elezione a Sindaco di Montone, carica che ricoprì per vari anni, contribuendo non poco all’impostare e risolvere molti problemi locali, tra cui quello del collegamento stradale con Pietralunga.

La sua adesione, a quell'epoca, al Partito Socialista Italiano appare del tutto comprensibile e conseguente alle sue scelte di campo da tempo effettuate, se si tiene conto quanto la sua indole fosse portata ad intervenire in favore dei meno abbienti e di chi si trovasse comunque in situazioni di necessità e di sofferenza.

Questa sua spinta interiore dovette trovare proprio nelle istanze sociali ed umanitarie del PSI piena rispondenza. Non a caso il suo impegno socialista si realizzò nell'ambito dell'area riformista, di cui evidentemente condivideva ed apprezzava la moderazione e l'impegno nella soluzione dei problemi sociali più urgenti.

Purtroppo, le soddisfazioni sul piano professionale e politico si accompagnarono anche a profonde amarezze. tanto più sofferte quanto più incomprensibili ad una lettura logica dei fatti.

E' in questo periodo, esattamente nell'agosto del 1911, che si vide negare dalla Congregazione dell'Ospedale di Perugia la nomina a primario medico, dopo che la commissione esaminatrice lo aveva indicato come primo eleggibile. Fu quella stessa Congregazione che più tardi doveva chiamarlo a svolgere le funzioni di Presidente della stessa, quasi a tardivo riconoscimento dell'errore compiuto.

Pressoché analoga situazione si verificò nel concorso per la cattedra di Patologia Medica all'Università di Torino, nel quale a nulla valsero titoli accademici, produzione scientifica ed esperienza maturate, ben superiori a quelli degli altri concorrenti, per vederlo proclamato vincitore di quel concorso. Tutto ciò, tuttavia, non portò il prof. Brugnola a diminuire né il suo impegno professionale né quello politico, ma anzi fu stimolo per determinarlo ancora di più a far fronte a quei forti gruppi di potere conservatori che mal tolleravano la presenza nell'ambiente universitario di un personaggio non collegato a baronie di sorta.

Le successive vicende belliche, che coinvolsero anche l'Italia con lo scoppio della prima guerra mondiale, impegnarono tutto il Paese ad affrontare le drammatiche situazioni del momento, affievolendo la cura dei problemi interni.

In quel periodo troviamo il prof. Brugnola. maggiore medico del R.E., prestare la sua opera presso l'Ospedale Militare di Viterbo e quindi come direttore della sezione ospedaliera allestita precariamente nei locali del Seminario di Perugia.

Terminato il conflitto, il Paese iniziava il cammino verso l'agognata normalizzazione che, nonostante la guerra vittoriosa, si presentava lunga e difficile con il riproporsi violento di tutte le contraddizioni e le problematiche rimaste sopite durante il periodo della belligeranza. La ripresa della lotta politica fu particolarmente dura, con il Paese travagliato da scioperi e disordini ed i governi difficilmente in grado di tener testa alla situazione nel suo complesso.

Il prof. Brugnola riprese anch'egli il suo impegno politico e presentatosi candidato alle elezioni del novembre 1919 per la XXV Legislatura, fu eletto deputato per l'Alta Val Tiberina insieme ad altri 155 deputati socialisti che il sistema proporzionale consentì di portare alla Camera. In quella legislatura, giova ricordarlo, nessun rappresentante del nuovo movimento fascista risultò eletto, pur costituendosi già allora il Gruppo del Fascio Parlamentare formato da alcuni deputati nazionalisti e della destra liberale.

Le difficoltà del Paese che si riflettevano in pieno anche nel Parlamento, resero quella Legislatura particolarmente difficile, tanto che a nulla portarono i tentativi dei Governi Nitti e Gioliotti, mentre l'Italia scivolava sempre più verso soluzioni autoritarie ed iniziava quell'avventura fascista che modificò rapporti di forza e regole di comportamento, sino a sovvertire inevitabilmente l'ordine democratico costituito.

Alle successive elezioni per la XXVI legislatura il prof. Brugnola non partecipò. Non ci è dato di sapere quali furono le motivazioni di fondo che lo indussero al ritiro dall'agone politico a livello nazionale: probabilmente l'acuirsi dei rapporti interni al PSI tra riformisti e massimalisti, forse l'intuizione di una irreversibilità del deterioramento in atto della situazione politica italiana e forse anche il desiderio di non tralasciare per troppo tempo la sua missione di medico la quale gli consentiva di tradurre direttamente nell'attività quotidiana quegli stimoli umanitari e sociali che aveva cercato di perseguire anche in sede politica.

L'avvento del regime fascista, soprattutto agli inizi del ventennio, comportò l'emarginazione di quanti, di opposta opinione politica, non intendevano uniformarsi al nuovo corso e continuavano a rappresentare un punto dì riferimento certo, soprattutto per i giovani di allora, come mi ricordava qualche tempo fa l'onorevole Puletti, di fronte al dilagare di un avvilente conformismo. Per il prof. Brugnola non fu sufficiente il ritiro dalla vita pubblica e la completa dedizione alla sua attività di libero professionista: per i suoi avversari era necessario non consentire possibilità di confronto e quanto meno non sottostare al giudizio critico di chi ancora poteva contare su un rilevante seguito personale. Così, quando le non velate minacce ricevute sembravano degenerare con fatti concreti, egli fu costretto ad abbandonare Perugia per riparare nelle Marche, a Cingoli, in attesa di momenti più vivibili. A1 suo rientro a Perugia, quando ormai si era consolidata la presenza fascista e si erano determinate più accettabili condizioni di vita, il prof. Brugnola potè riprendere la sua attività di medico, ovviamente solo come libero professionista. Paradossalmente gli anni che seguirono, trascorsi nel diuturno impegno che la sua "missione" comportava, nel sempre affollatissimo ambulatorio ai piedi delle "scalette" di S. Ercolano, furono per lui forse più ridonddanti di notorietà e di consensi di quelli trascorsi nella vita pubblica. Di fronte agli orpelli del regime, alla retorica imperiale, all'esaltazione della forza, la figura di un uomo che aveva saputo ritirarsi senza chinare la fronte e che era comunque riuscito a suscitare rispetto e considerazione anche nelle gerarchie dell'epoca per la sua integrità morale e capacità professionale, comportava un generalizzato consenso, seppure non espresso per evidenti motivi, ma senza dubbio palpabile in qualsiasi ambiente si trovasse.

Così gli anni che seguirono lo videro sempre ancora "padrone di se stesso", assolutamente non incline al compromesso, notoriamente critico verso il regime dominante, anche se privo di rancori e di sentimenti di rivalsa, quasi consapevole che gli avvenimenti a venire avrebbero comunque fatto giustizia di un discutibile passato. Quegli anni furono per lui anche un periodo di approfondimento di studi storici, di cui era appassionato, e di attente riflessioni. Chi scrive ricorda perfettamente con quanta cura chiosasse i saggi politici dell'epoca, come la "Rivolta Ideale" di Oriani, apponendo a margine di ogni pagina il suo punto di vista su fatti e persone, con acute osservazioni, non prive di pungente sarcasmo ed ironia. Sarcasmo ed ironia che spesso manifestava anche in comportamenti esteriori che fanno parte dell'aneddotica che lo riguarda, come quando invitava perentoriamente un suo mezzadro, inquadrato nel P.N.F. di astenersi dal saluto romano quando lo incontrava ovvero quando ingiungeva al nipote Mario Ramaccioni che si recava da Umbertide a Perugia per gli obbligatori raduni della G.L.L., di togliersi la divisa prima di entrare in casa sua.

Gli anni tra il '30 e il '43, con il susseguirsi in crescendo di fatti ed avventure sulla scena mondiale, trascorsero molto rapidamente per tutti, chi più o meno coinvolti o travolti dalle vicende drammatiche della seconda guerra mondiale. L'ansia di veder conclusa quanto prima possibile la sciagurata vicenda bellica rendeva quasi spasmodica l'attesa, con un alternarsi di speranze e delusioni, scandite dalle notizie di Radio Londra che anche in casa Brugnola veniva religiosamente ascoltata, nonostante l'obbligo esistente di far "bloccare" il circuito delle onde corte degli apparecchi radio. Purtroppo il cammino verso la fine della guerra si accompagnava al manifestarsi e al lento aggravarsi di quei disturbi cardiaci che dovevano portare il prof. Brugnola alla conclusione della sua esistenza a Montone, dove tutta la famiglia si era ritirata per lo sfollamento dalle città nell'estate del 1943. Adesso riposa definitivamente nel cimitero di Umbertide.

Oggi non molti possono dire di aver conosciuto Arsenio Brugnola; tanti anni sono ormai passati dalla sua epoca e tutto è cambiato profondamente in termini di scale di valori, di concetto di etica, di finalità da perseguire, ma certi esempi di vita, come la sua, meritano di essere ricordati. Il Comune di Montone ha voluto dare un contributo alla sua memoria intitolandogli recentemente una strada.

 

Fonti:

Articolo pubblicato su “Umbertide Cronache n. 4 – 1995” - Pag. 58

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GIUSEPPE GUARDABASSI

 

Esponente di spicco del socialismo umbertidese a cavallo

tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento

 

a cura di Fabio Mariotti

 

Fu il personaggio più autorevole e carismatico del Partito Socialista non solo nella zona di Umbertide ma in tutto il territorio umbro. Era nato il 14 gennaio del 1865 da Ester Toni e da Giovambattista, gestiva un negozio di ferramenta in fondo al corso, in prossimità di piazza Matteotti (allora Piazza Umberto I) ed abitava in Via Cibo. Il suo equilibrio e la sua lungimiranza lo imposero come primo segretario della sezione socialista locale e oggi viene spontaneo chiedersi dove avesse acquisito una preparazione politica tanto profonda e vasta da imporsi alla stima dei suoi fino a diventare membro della Direzione Nazionale del Partito Socialista.

I tre amici e compagni con cui aveva fondato la sezione non erano della stessa levatura. Il marchigiano Michele Belardi, impiegato del dazio, era nato a Loreto il 16 novembre del 1847 e nel 1906 tornò a Porto Recanati nella sua zona di origine; Ovidio Vibi, anche lui impiegato del dazio, era nato il 22 aprile del 1876 ed abitava in via Cibo; Torquato Bucci, di professione avvocato, era nato il 28 dicembre del 1859 ed abitava in via Alberti. Gente rispettabile e animata da una grande passione politica, ma la cui opera rimase circoscritta all'ambito cittadino (1).

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Guardabassi ebbe il coraggio e la costanza di lavorare per un'idea quando tutto sembrava congiurare contro: gli operai e i contadini che si mostravano sordi ai messaggi di richiamo, la scarsa partecipazione alle iniziative intraprese, gli insuccessi elettorali, i fischi e gli schiamazzi degli stessi contadini organizzati dal barone Franchetti (2) contro i comizi socialisti in occasione delle elezioni politiche che non consentivano mai agli oratori di parlare. Lo spettacolo poco edificante e riprovevole di non lasciar parlare l'avversario politico, che ancora ha qualche strascico dalle nostre parti specie in occasione della chiusura della campagna elettorale, ha origini antiche ed è nato e cresciuto nell'ambiente agrario di destra.

Oltre a curare l'aspetto organizzativo della sezione e la diffusione della stampa e degli opuscoli di informazione, il segretario era impegnato in una assidua opera editoriale. Non solo faceva il corrispondente del giornale del partito Avanti! ma curava una rubrica pubblicata sul settimanale locale La Rivendicazione che si stampava a Città di Castello, dove i socialisti avevano acquistato una tipografia. Il settimanale (3) fu in vendita dal settembre 1902 fino al marzo 1921 quando le squadre fasciste distrussero (4) gli impianti tipografici. Fuori della porta del suo negozio c'era un cartello con scritto "Qui si vende la Rivendicazione" con sotto l'elenco degli articoli più importanti.

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Le elezioni politiche del 6 novembre 1904 videro i

socialisti particolarmente attivi in tutta l'alta valle del

Tevere per sostenere la candidatura di Francesco

Bonavita contro quella del solito barone Leopoldo

Franchetti. Fu una campagna elettorale aspra perché

i conservatori temevano un ulteriore balzo in avanti

dei socialisti e del Blocco Democratico in genere.

Pochi giorni prima delle elezioni, mentre il barone attraversava Umbertide a bordo della sua macchina fu sonoramente fischiato da un gruppo di giovani che si trovavano davanti al negozio di Guardabassi. Il barone fermò la vettura, scese e guardò torvo in direzione del gruppo con aria sdegnata e minacciosa. Il giorno dopo vennero due padrini e consegnarono a Guardabassi il cartello di sfida alla spada. Ai rappresentanti del Franchetti, il pacato segretario rispose "che il suo ideale socialista e la sua concezione della lotta politica e sociale non gli permettevano di ricorrere a mezzi ch'egli considerava come avanzi di costumi barbari e sorpassati e che sono la negazione stessa delle lotte civili; e che, d'altra parte, egli non poteva e non intendeva assolutamente essere responsabile di atti commessi da giovani non ancora sufficientemente educati a queste lotte civili (5)."

Quella campagna elettorale si chiuse così e il risultato delle elezioni, come era prevedibile, non solo confermò la rielezione del barone Franchetti, ma determinò il calo delle sinistre estreme e il trionfo di Giovanni Giolitti. Il timore di un successo delle "estreme" mandò alle urne in Italia 1.903.687 elettori, il 65% degli aventi diritto al voto (2.928.749), percentuale mai raggiunta prima, e la grande presenza dei cattolici in appoggio ai liberali pesò fortemente sull'esito delle elezioni. Ormai si profilava un corso politico nuovo e si faceva strada l’ltalietta giolittiana.

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Anche all'interno del partito socialista c'era aria di tempesta. Polemiche acrimoniose laceravano il gruppo dirigente e l'estremismo massimalista di Enrico Ferri e Arturo Labriola si opponeva all'ala riformista di Turati, Bissolati e Bonomi. Per evitare un'eventuale scissione, Oddino Morgari, nel suo settimanale Sempre Avanti, tentava la via della conciliazione con una tesi centrista detta "integralismo". Al Congresso di Roma del 1906 la linea di Morgari ebbe una buona maggioranza e Giuseppe Guardabassi, che ne era un esponente autorevole e ascoltato in Umbria, fu eletto membro della Direzione Nazionale del Partito.

Nelle elezioni amministrative del 1905 che avvenivano nell'atmosfera riformatrice del Giolitti e tra laceranti conflitti interni al partito a livello di vertice, i risultati ad Umbertide furono molto negativi per i socialisti che si erano presentati con una loro lista. Ottennero solo 150 voti, ma Guardabassi fu eletto con 180 preferenze grazie al prestigio personale di cui godeva (6).

Quell'anno fu negativo in tutti i sensi. In molte regioni d'Italia furono organizzate manifestazioni contro "il caro vita" che ebbero uno svolgimento disordinato e violento soprattutto nelle zone agricole. Ad Umbertide un mercoledì, giorno di mercato, un gran numero di operai si avventarono con selvaggio furore sulle contadine che portavano uova, pollame, ortaggi e legumi, frutto del loro lavoro, a vendere per ricavare qualche spicciolo. Le indifese donne furono aggredite dagli operai rabbiosi e i loro prodotti scaraventati nella Reggia. Gurdabassi intervenne immediatamente ma ormai era troppo tardi. La vicenda, com'era logico attendersi, fu strumentalizzata dagli agrari. La sezione socialista organizzò per la domenica successiva due incontri, uno a Montecastelli e l'altro a Molino Vitelli. Fu un vero disastro: a Montecastelli non si presentò alcun contadino, mentre a Molino Vitelli erano più di trecento, non per ascoltare il comizio di Guardabassi, ma per investirlo di bordate di fischi e di minacce paurose (7).

Una bella soddisfazione Guardabassi l'ebbe nelle elezioni politiche del 1908. Questa volta i candidati erano tre: il solito barone Leopoldo Franchetti per i liberali conservatori, il marchese Ugo Patrizi per la democrazia radicale e Francesco Bonavita per i socialisti. Bonavita riportò 660 voti, Patrizi 800 e Franchetti 1.000. Non solo i socialisti erano in netta avanzata, ma diventavano determinanti nel ballottaggio che si rendeva necessario in quanto nessuno dei tre aveva raggiunto la maggioranza assoluta. I socialisti, riuniti a Città di Castello sotto la presidenza di Guardabassi, votarono all'unanimità di orientare i loro voti su Patrizi come il minore dei mali.

Fu la fine politica del barone Franchetti, che nel 1917 lascerà anche questo mondo con un testamento sorprendente: i suoi numerosi poderi sarebbero passati in proprietà ai contadini che li coltivavano. I giornali di tutta Italia parlarono di filantropia esagerata e di testamento "socialista". I socialisti locali, più disincantati per le lunghe lotte condotte contro il nobile barone, videro nel gesto l'ultimo dispetto politico: quei contadini, in passato accesi leghisti, divenuti proprietari passarono dall'altra parte. Il barone dava filo da torcere anche da morto. Non c'è da meravigliarsi: l'istinto naturale, se non è sorretto da una robusta convinzione politica e da una grande passione sociale, non mira all'uguaglianza ma alla supremazia; se non si riesce ad essere "padroni", si aspira almeno ad essere "padroncini".

Poco dopo, nel 1910, ci furono le elezioni amministrative. Il lavoro dei socialisti incominciava a dare i suoi frutti perché il Blocco Democratico riuscì a conquistare molti comuni. Ad Umbertide Guardabassi divenne un valente collaboratore del sindaco Francesco Andreani, impegnato in una serie di opere pubbliche che ancora resistono al tempo.

Guardabassi era sulla breccia dell'impegno politico del "né aderire, né sabotare" quando la prima guerra mondiale strappò al suo affetto gli unici due figli, Spartaco e Francesco. Il primo morì in una nave da guerra, il secondo sei anni dopo in seguito alle ferite che lo avevano menomato nelle operazioni militari al fronte.

Animatore di tutte le manifestazioni politiche di Umbertide e dell'alta Umbria era sempre in prima fila nel condurre le lotte sociali con equilibrio e con il totale rifiuto della violenza. Solo nel grande sciopero del 1920 per il rinnovo del Patto colonico successe un fatto increscioso nella zona di Montone.

La guerra era finita da un pezzo e le promesse di miglioramento delle condizioni di vita dei coloni, fatte in quel periodo, erano rimaste parole al vento.

In tutta l'Umbria si registrarono scioperi e vibrate proteste che si protrassero per oltre un mese in piena estate. Il 10 agosto i contadini schierarono nei campi tutto il bestiame "grosso" delle stalle e solo in presenza di questo espediente, durante la notte,

oltre il 50% dei proprietari si decise a firmare l'accordo. Fu a questo punto che un gruppo di giovani mezzadri si recò a Montone, presso la casa di Riccardo Reali, che non intendeva firmare. Costui, spaventato, mise mano ad una rivoltella che siguardò bene dall'usare mentre un gruppo discioperanti lo aggredì a bastonate (8). L'episodio, per fortuna, finì qui senza conseguenze più gravi, ma ebbe un lungo strascico giudiziario che vide coinvolti 35 mezzadri, Giuseppe Guardabassi in qualità di Segretario della sezione socialista e Clotide Rometti segretario della Camera del Lavoro di Umbertide, che vennero ammanettati e condotti in carcere a Perugia pur non avendo partecipato all'aggressione. Il capo di imputazione, per i maggiori responsabili, era il seguente "... per avere nell'agosto 1920 in Montone in correità tra loro, ristretto la libertà di lavoro dell'industria agricola più volte con atti esecutivi della medesima risoluzione criminosa e mediante minacce e violenze a mano armata di bastoni, contro i proprietari terrieri: Reali Riccardo, Tirimagni Pericle, Ciucci Giulio, Nunzi Sante e Vannucchi, per costringerli a firmare un patto colonico con patti che essi pretendevano dover conseguire... " (9).

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Guardabassi fu assolto e Rometti condannato a sei mesi di carcere. Alcuni mezzadri subirono una condanna da sei a otto mesi mentre la maggioranza venne assolta per non aver commesso il fatto.

Dopo l’avvento del fascismo Guardabassi fu perseguitato in tutti i modi, soffrendo insulti e violenze. Gli dettero fuoco persino al negozio. Morì ad Umbertide il 18 ottobre 1944. Gli sopravvisse l’amata moglie Alba che era sempre stata il suo sostegno nelle innumerevoli peripezie sostenute.

Nel dopoguerra a lui fu dedicata la locale sezione del P.S.I. mentre l’amministrazione comunale gli intitolò la piazzetta dopo il passaggio a livello di via Spoletini.

 

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Note:

1. I dati anagrafici e l'attività professionale sono attinti dall'archivio

anagrafico del Comune di Umbertide.

2. Clotide Rometti, “Sessant’anni di Socialismo nell’Alta Umbria e in Italia”

– Ed. Il Solco, Città di Castello 1954 - pag. 30.

3. Tra i redattori, oltre a Giuseppe Guardabassi, vanno ricordati: l'avvocato

Luigi Massa, il dottor Luigi Bosi di Sansepolcro, il dottor Luca Sediari, l'avvocato Giulio Pierangeli, il tipografo Luigi Gabbiotti, Vito Vincenti, Napoleone Bevignani, Aspromonte Bucchi, Giuseppe Beccari, Emilio Pierangeli, Bistino Venturelli.

Cfr. Clotide Rometti, op. cit., pag. 28.

4. Clotide Rometti, op. cit., pag. 27.

5. Clotide Rometti, op. cit., pagg. 31 e 32.

6. Clotide Rometti, op. cit., pag. 38.

7. Clotide Rometti, op. cit., pag. 40.

8. Clotide Rometti, op. cit., pag. 6%.

9. Francesco Pierucci, 1921-1922 Violenze e crimini fascisti in Umbria, Tipografia Caldari, Umbertide, 1977.

 

Fonti:

- “Umbertide nel secolo XX 1900 – 1946” di Roberto Sciurpa – Comune di Umbertide, 2006

- “UMBERTIDE – L’uomo nella toponomastica” di Bruno Porrozzi – Ass. Pro-loco Umbertide, 1992

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Bruto Boldrini

 

​Dal Calendario storico di Umbertide 1998 l’appassionata biografia che Mario Tosti ha dedicato a Bruto Boldrini, amministratore locale ed esponente di spicco del Partito Socialista di Umbertide degli anni ‘50 e ‘60, impegnato anche molto attivamente nel settore sociale e assistenziale.

 

Bruto è uno dei dodici figli nati vivi da babbo Fabrizio, ferroviere dell' “Appennino” e mamma Ezilde de Grattasassi, venditrice di stoffa.

Finite le elementari apprende il mestiere nell'officina meccanica di Silvio Nanni e poi nelle botteghe artigiane di Migliorati e Rondoni. Combatte al fronte, durante la prima guerra mondiale, nella Pasubio, reparto artiglieria di campagna. Rientrato alla base, trova un'occupazione stabile, nel '21, all'officina della Ferrovia Centrale Umbra.

Fisico asciutto, portamento eretto, avaro di parole, ricco di azione, nel lavoro, nel volontariato, nella politica: l'impegno sociale rappresenta il costante motore della sua vita, facendogli assumere un ruolo di riferimento morale per la collettività. Opera nella società di pubblica assistenza “Croce Bianca” (con Aldo Burelli presidente e Porrini segretario) che fornisce servizi di trasporto per gli infermi, con barelle su ruote spinte a mano; e per i morti (la famigerata “Carulìna”).

Nel tempo libero accudisce alla manutenzione del cimitero: vernicia le croci ed i cancelli, risistema le tombe, ripassa con il nero i nomi sulle lapidi.

Socialista convinto, ne pratica gli ideali con rigore e passione; allaccia rapporti personali con i leaders del partito che trovano ospitalità nella sua casa di via Cibo, senza disdegnare le tagliatelle preparate dalla moglie Anita e servite nella sala da pranzo della Rita Grilli, in mancanza della propria.

Eletto consigliere comunale per la lista del Psi nelle amministrative del '46, è riconfermato per quattro legislature. E' assessore nella mitica prima giunta del dopoguerra, sindaco Astorre Bellarosa, e ricopre la carica di vice sindaco nella giunta di Serafino Faloci.

Viene immortalato a fianco del Patriarca di Venezia Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII, in visita a Preggio.

Poco dopo la morte, nel 1966, il sindaco di Umbertide Umberto Cavalaglio commemora la figura del defunto consigliere, “mettendone in risalto le preclare qualità di amministratore integro, puro e di uomo; ricorda le varie cariche tenute con rara passione e con impareggiabile solerzia e competenza, nonché la dedizione completa all'Amministrazione, al movimento democratico, al suo Partito e alla popolazione. Rimpiange la perdita di un così valoroso amministratore, verso il quale ha sempre nutrito una profonda stima ed un affetto davvero fraterno”.

 

Mario Tosti

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Bruto Boldrini
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