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PEPPINO DE' SARATOLA

GIUSEPPE CASCIARRI

GIUSEPPE CASCIARRI

Peppino de Saratola


Il Landini sussultante di Peppino ha sempre aperto, scandendone il ritmo, i cortei del Primo Maggio, a cominciare dai primi - epici, della rinascita dopo la dittatura - a quelli celebrativi degli anni più recenti. In questi decenni la macchina e l'uomo hanno compiuto insieme la pa- rabola della vita: lei, da simbolo della modernizzazione a cimelio testardamente testimone dell'epopea dell'emancipazione delle campagne; lui, da giovanotto baldanzoso a vegliardo giovanile, costantemente animato dall'orgoglio dell'appartenenza alla parte che lavora e ri- spetta gli altri.



Giuseppe Casciarri era nato in una famiglia contadina del podere di Gnoni, al Barattino. Ave- va studiato prima alle elementari di Pierantonio, poi all'Avviamento di Umbertide; addirittura aveva frequentato un paio d'anni le superiori ad Assisi, interrotte per volontà del padrone che non intendeva sottrarre due braccia al lavoro dei campi. Il legame con il podere diventa sem- pre più indissolubile man mano che cresce il numero dei vecchi in famiglia: si sa che in cam- pagna - al contrario che in paese - anche gli anziani sono in grado di guadagnare quello che mangiano.

Rinuncia a offerte di lavoro impiegatizio che gli erano state prospettate e si ingegna per man- dare avanti da solo i lavori nel podere: si fa aiutare dai vicini in cambio del libero accesso ai prodotti dei campi e si dota di ogni innovazione tecnica. Per questo spigola alle fiere di Mila- no del primo dopoguerra, rispondendo anche alla passione per i motori. Acquista una Norton che, oltre per andare a spasso, gli serviva per spostarsi rapidamente nei campi e, all'occorren- za, diventava mezzo di emergenza per portare il dottor Sebastiani dai malati quando il più tranquillo legnetto del fattore sarebbe arrivato troppo tardi.



Dopo che il tempo ha decimato il numero dei vecchi, trasferisce la famiglia ad Umbertide e si guadagna da vivere come autotrasportatore, senza modificare in nulla le abitudini di vita. La congenita ospitalità contadina si sposava con la vocazione di tuffarsi in mezzo alla gente, co- gliendo al volo ogni occasione di festa, dove il suo mandolino diventava presto il padrone del gioco, in un crescendo euforico di brani antichissimi che si concludeva nello strabiliante vir- tuosismo finale, spesso accompagnato dalla chitarra dell'amico fraterno, Peppino de Ciucciu- mella: la sonata “dello zi' Gettulio” - così chiamata perché di autore ignoto - eseguita con lo strumento dietro la testa, le dita agilissime nel riscoprire a memoria la cascata dei trilli festo- si, gli occhi a mandorla lampeggianti, già pregustando il fragore vociante dell'applauso. Intrattenitore nato (oggi sarebbe stato uno showman) furoreggiava come rimatore, prima a mie- titura a stomaco capiente e poi nei molto più grevi pranzi dei matrimoni.Alla fine ritorna alle origini, arricchendo la vita di pensionato con l'impegno nell'alveare e nella vigna di Polgeto, gelosamente accudita per riempire di rosolio un botticello di pochi ba- rili, purché sufficienti per le ripetute “cucchiarate” da somministrare agli amici. Chi si avven- turava dalle parti di via Ruggero Cane Ranieri non si poteva sottrarre all'invito di Peppino per una sosta serena: "Acostàmose ai santissimi sacramenti".

Né l'oste si sottraeva alla terapia e travasava lentamente il dito di vino - lo stretto indispensa-bile per stare in compagnia - fra i baffi grigi appena spioventi, con le palpebre sempre più ravvicinate man mano che il corpo ruotava all'indietro, lasciando appena una fessura dalla quale l'ultimo spicchio dell'occhio ammiccava verso l'ospite, in attesa del complimento obbligato.




Mario Tosti

Dal Calendario di Umbertide 1999

24/2/24

PEPPINO DE' SARATOLA
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