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GLI ANIMALI

GLI ANIMALI E IL MAIALE

Di Giuliano Sabbiniani


Gli ANIMALI


Nella prima parte del secolo scorso, nel territorio di Montecorona, il patrimonio zootecnico era costituito prevalentemente da bovini, utilizzati per la trazione nell'aratura e per il trasporto di materiale: solo una piccolissima parte di essi era destinato alla produzione di latte. Nei casolari di Montecorona si aggiravano comunque un gran numero di altri animali domestici.

I gatti erano molto numerosi e servivano per limitare il numero di topi; in tutte le porte delle cucine esistevano le cosiddette "gattaiole", dei fori che consentivano loro di entrare e uscire di casa quando volevano, ma facevano entrare anche il freddo. Anche i cani erano numerosi: oltre che per la caccia, servivano a tenere lontano dai pollai le volpi e le faine.

Il contadino aveva, inoltre, la -necessità di allevare pollame ed altri animali da cortile, ma ciò poteva essere fatto solo con il consenso del proprietario del podere. Le aie erano invase da un numero elevato di galline, pollastri, tacchini, piccioni, oche, anatre mute, faraone; essi, oltre che per le uova, servivano per l'alimentazione della famiglia e qualche capo veniva venduto; alcuni servivano per gli obblighi verso il padrone.

Venivano poi allevate le pecore e le capre, non solo per la carne, ma anche per il latte e per la lana. Con il latte si produceva il formaggio che, stagionato, diventava una riserva importante di cibo per la famiglia; la lana veniva filata e utilizzata dalle donne per confezionare maglie e calzini.


IL MAIALE


Ogni famiglia di Montecorona, anche se non era a mezzadria, allevava uno o due maiali per il proprio fabbisogno alimentare.

Essi venivano ammazzati in pieno inverno, nei mesi di dicembre o di gennaio, perché la temperatura fredda di quei giorni permetteva una sicura conservazione della carne. Infatti la sua lavorazione veniva fatta dopo che essa era stata raffreddata in cantina o in magazzino, lontano da fonti di calore.

Il giorno dell'uccisione doveva essere programmato con largo anticipo, perché i cosiddetti "urcini" - macellai di professione o contadini esperti in grado di eseguire l'intera operazione - erano pochi e perciò dovevano essere prenotati molto tempo prima.

Nella zona di Montecorona gli urcini più esperti erano Giovanni Brachelente, detto "Chiusino" ed Andrea Coletti, detto "Palazzone". Quel giorno rappresentava un vero e proprio evento, era una festa; le famiglie si aiutavano a vicenda, consolidando, in questo modo, anche i rapporti sociali.

Il maiale è sempre stato molto importante nell'economia delle famiglie povere; esiste un detto secondo cui "del maiale non si butta via niente, ad eccezione del pelo e delle unghia".

Infatti il lardo e la "grascia" (strutto, unto) erano considerati alimenti importanti, in quanto dovevano servire da condimento delle pietanze, in sostituzione dell'olio di oliva che scarseggiava. Il primo veniva salato e insaporito con aceto e pepe ed appeso ad asciugare; dopo circa un mese era pronto all'uso. La "grascia" veniva sciolta in un pentolone e, una volta diventata liquida, veniva raccolta nella vescica del suino e lì conservata.

Le budella servivano per conservare gli insaccati. Quelli più grossi venivano puliti, insaporiti con sale, pepe e fiori di finocchio e messi ad essiccare vicino al camino e erano conservati in mezzo alla semola. Si mangiavano arrostiti allo spiedo caldissimi, in mezzo a due fette di pane, preferibilmente fresco o "abbrustolito".

Il sangue veniva impiegato per il "meiaccio"; lo si cucinava in una padella posta sul treppiedi sopra i carboni e ricoperta dal "panaro" ben caldo; i suoi ingredienti erano: sangue, brodo di maiale, pinoli, uvetta bagnata con il vin santo e pezzetti della "rete del maiale".

Il peritoneo, chiamato da noi "rete", si prelevava, avendo l'accortezza di non romperlo, e lo si stendeva sopra un "crevello" (setaccio); veniva utilizzato anche per avvolgere i pezzetti di fegato nella preparazione dei "fegatelli" (pezzi di fegato cucinati in umido con diversi aromi).

Il fegato era usato anche per la "padelata"e per i "mazzafegati"(vedi più avanti): era vero il detto che del maiale non si buttava via niente! La mattina dell'uccisione del maiale ci si alzava presto per far bollire una grande quantità d'acqua che serviva per pelare l'animale. Fino a una trentina di anni fa, il maiale veniva scannato - non esistevano nel nostro territorio le pistole -. L'"urcino" piantava lentamente un lungo coltello nella gola della bestia immobilizzata, facendo zampillare il sangue che veniva raccolto in una pentola; questo era utilizzato per fare il "meiaccio".

Il maiale poi veniva adagiato su una corta scala di legno ed una persona, armata di una pentola con il manico lungo, cominciava a "careggiare" l'acqua bollente e la versava lentamente sull'animale, mentre altre due o tre persone, con piccoli coltelli molto affilati, toglievano il pelo dalla cotenna.

L'urcino allora incideva la pelle delle zampe posteriori e faceva uscire i tendini nei quali venivano infilati due uncini; con l'aiuto di una carrucola o con la sola forza delle braccia, il maiale veniva issato ed appeso a testa in giù, su una scala di legno, per essere squartato.

Per prima cosa 1'urcino estraeva l'apparato genitale dell'animale; poi passava ad aprire il ventre ed estraeva la vescica: svuotata e lavata, questa veniva gonfiata con l'aiuto di una cannuccia e, nei giorni successivi, era riempita con l'unto ancora caldo e liquido che, dopo qualche ora, si sarebbe solidificato.

Procedeva di seguito ad estrarre l'apparato digerente, i polmoni, il fegato ed il cuore. Una volta completamente svuotata, la carcassa veniva tagliata in due parti, veniva lavata molto bene e lasciata asciugare per un'intera giornata.

Il giorno dopo l'uccisione, il maiale veniva "spezzato" cioè tagliato in vari pezzi: alcuni tagli erano destinati per la "salata", altri per gli insaccati; con la testa ed altre parti poco pregiate si faceva la "coppa".

Per la "salata" l'urcino, aiutato da un paio di persone, procedeva alla salatura dei pezzi da conservare; li lavorava uno alla volta, massaggiandoli a lungo, e poi li immergeva per un attimo in un grosso catino, dove erano stati messi aceto, vino, sale grosso, pepe macinato ed aglio pestato.

Una volta estratti dal catino, i pezzi di carne destinati alla stagionatura venivano collocati sopra un tavolone leggermente inclinato per favorire lo scolo del sale: la disposizione non era casuale, perché al livello più basso venivano posti i prosciutti, in quanto più delicati, poi i guanciali, i capocolli, i lombetti ed infine i pezzi di lardo. Ricoperti di sale grosso, alcuni pezzi restavano a maturare per qualche giorno, i prosciutti per due settimane, tutti i giorni dovevano essere mossi e massaggiati. Dopo questa operazione, iniziava la stagionatura.

Per gli insaccati - salami, salcicce e cotechini - le varie parti della carne erano separate, tagliate a pezzetti, divise dal grasso in eccesso ed ammucchiate in un lato sulla "spianatoia".

Per i salami venivano selezionati i pezzi migliori e più asciutti; per i cotechini si utilizzava la carne più grassa, mischiata con pezzi di cotenna morbida; per le salcicce si usava la carne che rimaneva dalla precedente lavorazione.

A questo punto 1`urcino" pesava i mucchi di carne e dosava la quantità di sale e pepe da aggiungere. Si procedeva poi alla macinatura con il tritacarne azionato a mano; ricordo che i più piccoli si contendevano il compito di girare la manovella, fino a quando erano stanchi.


(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)



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