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Giuseppe Bernardini: una morte, due storie

di Massimo Pascolini


Le due versioni sulla tragica storia del partigiano Giuseppe Bernardini trucidato a Montecastelli nel 1994, durante il passaggio del fronte






Giuseppe Bernadini nasce ad Apecchio (PS) il 20 novembre 1920 da Lazzaro e Cancellieri Giulia. Ha vissuto presso il vocabolo Careccia, celibe, colono di Collesi Domenico. Ex carabiniere, dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943, entrò a far parte della lotta partigiana aderendo alla Brigata Garibaldi. La sua tragica storia inizia la mattina del 6 maggio 1944. Il Parroco di Montecastelli, Don Domenico Vannocchi in data 4 agosto 1944 rilascia una dichiarazione scritta sul ritrovamento del cadavere.

"Nei primi di maggio 1944, un nucleo di militari tedeschi delle SS che si trovavano a riposo presso Montecastelli (Casa Dottor Paci e villa Gnoni) andarono con delle auto verso Pietralunga ed Apecchio per un rastrellamento di partigiani. Il 5 maggio, nel percorso di ritorno, catturarono lungo la strada di Apecchio 4 partigiani (tre studenti ed un operaio). Il nucleo dei militari suddetti ebbe l'ordine di partire la notte del 6 maggio ed intanto inviarono a Perugia i prigionieri. Uno di questi tentò di fuggire ma fu subito ripreso. Venuto nuovo ordine di partire immediatamente per un nuovo rastrellamento, prima di partire, circa verso le ore 23, presero il prigioniero e lo portarono dietro la chiesa dove lo mitragliarono in testa ed al petto. Il sottoscritto sentì bene le detonazioni ma non ci fece caso, perché detti soldati tedeschi erano soliti sparare ogni tanto, anche notte tempo la pistola mitraglia. Mentre il sottoscritto sentì bene i colpi non sentì invece un gemito o grido del morto o parole dei carnefici, quantunque l'esecuzione fosse eseguita ad appena 50 metri dalla stanza ove riposavo. Così fu raccontato da un soldato italiano di detta compagnia che ritornò in Montecastelli dopo qualche giorno. Il cadavere del suddetto, rinvenuto il giorno dopo, fu seppellito nel cimitero di questa parrocchia".

Il parroco proseguendo nel suo racconto, ne descrive le sembianze ed i vestiti che indossava. "Non fu possibile conoscere il nome del deceduto per mancanza di documenti in suo possesso, ma rispondeva ai seguenti connotati: Età 25-30 anni, statura m. 1,65-70, forse aveva alcuni denti rimessi; vestiva calzoni a righe color cenere chiari scarpe grosse, la destra rotta sulla punta, camicia coloniale militare, giacca sfoderata color verde con martingala, senza cappello, capelli castani".

Inoltre, nel seguito del suo racconto, viene ricordato come una residente in paese, tal Martinelli Ines dichiarò di riconoscere il cadavere, che identificò come ex carabiniere di Apecchio. Il 16 settembre 1944 il Tribunale di Perugia chiede al Sindaco di Umbertide di effettuare ulteriori indagini, per stabilire le generalità del defunto, procedendo anche ad interrogare nuovamente la stessa Martinelli Ines, così da autorizzare la trascrizione degli atti di morte. In data 19 aprile 1945, il comandante la stazione dei Carabinieri Reali di Umbertide, Maresciallo Maggiore Luigi Rossi, trasmette al sindaco di Umbertide copia del verbale di interrogatorio di Martinelli Ines. Si comunica inoltre che l'identificazione è avvenuta tramite i dati forniti dalla Signora Martinelli e riconosciuti da una sorella del defunto. Vengono allegati anche tre ritagli degli indumenti che la vittima indossava al momento dell'uccisione (i tre ritagli sono allegati assieme a tutta la documentazione consultata presso l'Archivio Storico Comunale di Umbertide, Anno 1945, Raccoglitore 559, Cat. XIIa, Fasc, 3).

"L'anno millenovecentoquarantacinque, addì 17 aprile. in Umbertide, ufficio di stazione, ore 13. Avanti di noi Rossi Luigi Maresciallo Maggiore, comandante la suddetta stazione, è qui presente Martinelli Ines, fu Giuseppe e fu Valentini Mari, nata ad Apecchio il 23 dicembre 1892 e residente a Montecastelli di Umbertide, la quale interrogata risponde “il cadavere rinvenuto la mattina del 6 maggio 1944, indossava calzoni a righe color cenere, camicia simile lana color grigiastra, giubba di tessuto tinto in verdastro, simile ai campioni che mi mostrate”. In data 4 maggio 1945, il padre del defunto chiede l'autorizzazione di poter riportare nel cimitero di Apecchio la salma del figlio. Autorizzazione che al 17 settembre 1945 non era ancora stata concessa poiché il Tribunale di Perugia non si era ancora pronunciato sulla pratica di identificazione del cadavere.

Quanto sin qui ripercorso in merito alle vicende che videro come protagonista Giuseppe Bemardini corrisponde alla versione ufficiale, riportata sugli atti di archivio. Diversa risulta la versione riportata nel sito “www.apecchio,net”dove, nel presentare la manifestazione del 24 aprile 2012 presso la lapide a ricordo del caduto, viene riportata la lettera di un nipote (priva del nome) tratta a sua volta dal sito “vanarasiarci” in cui viene descritta una seconda verità.

"[...] venne catturato dai nazi-fascisti in una frazione nei pressi del capoluogo di Apecchio (Pian di Molino). Venne portato via in un'auto grigia, tra le urla di disperazione della sorella che vide la scena e capì che non lo avrebbe mai più rivisto. [...]solo dopo due anni la famiglia riuscì a scoprire dove era sepolto, alla fine della guerra. [...] Alcuni anni fa, una coppia di signori di Montecastelli venne in Apecchio e nella pizzeria del paese (gestita dal nipote diretto di Giuseppe) chiesero informazioni sulla famiglia Bernardini perché, passato molto tempo ed ormai morti i protagonisti, volevano raccontare la vera versione della storia: Giuseppe fu interrogato e torturato a lungo al comando di Montecastelli e quella sera riuscì effettivamente a liberarsi e saltare dalla finestra (evidentemente calcolò di avere ancora abbastanza energie e tentò il tutto per tutto) pare approfittando della distrazione causata dal passaggio di un treno o altro mezzo, ma da questo punto in poi la versione è radicalmente diversa. Correndo nel buio riuscì a dileguarsi, ma anziché scappare verso i campi (presumibilmente in quel momento non sapeva neanche dove si trovasse), entrò in chiesa e si nascose. Rimase dentro tutta la notte. Le sue ricerche non dettero esito; era buio e forse lo pensarono fuggito nei campi, i tedeschi erano in ritirata e probabilmente decisero di non perdere altro tempo. La mattina il parroco entrando lo trovò in chiesa, sembra in sacrestia, lui disse chi era e che aveva bisogno di aiuto. Il parroco gli disse di rimanere lì, mentre lui avrebbe chiamato “uno che poteva aiutarlo”. Poco dopo si ripresentò con un signore, noto fascista del luogo, che gli si avvicino e gli sparò in viso a bruciapelo. Poi il corpo fu portato dietro una siepe e venne diffusa la prima versione, quella secondo la quale la morte era avvenuta la sera prima per una raffica di mitra, e il cadavere sarebbe stato trovato solo dopo grazie alla luce del giorno."






Articolo pubblicato sul n.1 di Gennaio/Febbraio 2023 del periodico “Informazione Locale”

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