storia e memoria

Il cordaio
LA MACCHINA DELLE CORDE
Di Giuliano Cappanna
Abbiamo tuttora ancora ben conservata, polverosa e triste, la macchina che serviva per fare le corde....
LA MACCHINA DELLE CORDE
Di Giuliano Capanna
Abbiamo tuttora ancora ben conservata, polverosa e triste, la macchina che serviva per fare le corde: fossero piccole funicelle per legare i fasci d'erba, corde per le cavezze dei buoi, canapi lunghi e robusti per legare il materiale trasportato nelle tregge, nei carri e corde per tirare su l'acqua dal pozzo.
Era stata costruita con ingegno, utilizzando elementi di un cambio dei primi autocarri e ben sistemato su un'intelaiatura di legno a quattro gambe.
Dal retro usciva un perno, cui veniva fissala una piccola manovella intercambiabile con una piů grande, a seconda dello sforzo cui era sottoposta per la diversità delle corde da comporre nelle fasi della lavorazione.
Frontalmente, vari anelli collegati ad ingranaggi giravano contemporaneamente mossi dall'azione sulla manovella retrostante.
Completavano la macchina una serie di accessori, quali i rocchetti per avvolgere i diversi fili tra di loro ed alcuni rastrelli su cui appoggiare i fili durante la lavorazione. Materia prima era la stoppa, residuo nella lavorazione della canapa che, contenuta in sacchi, cistoni e fasci, veniva utilizzata per fare le corde, dopo averla liberata delle parti legnose, usando apposite verghe.
Colui che faceva la corda si metteva davanti alla macchina, di fronte agli anelli, con un mannellino di stoppa girato sulla cintura e fissava il primo fiocco in un anello mentre un aiutante, dall'altro lato della macchina, cominciava a girare la manovella e cosi iniziava a stendere il primo filo che I'anello provvedeva ad avvolgere. Il cordaro, rivolto alla macchina e camminando all'indietro si allontanava a piccoli passi, mentre il filo si allungava man mano.
Occorreva naturalmente perizia nell'aggiungere costantemente stoppa nella giusta dose, evitando che il filo divenisse troppo grosso o sottile al punto di spezzarsi.
Il cordaro, che poi era il babbo, si allontanava dalla macchina tanti passi, quanto voleva fosse lunga la corda.

Immagine: La macchina delle corde di proprieta della famiglia Capanna.
Poi iniziava un altro filo che interrompeva quando aveva raggiunto la lun ghezza del precedente e cosi gli altri fili, fino a completare il numero ne cessario per la consistenza della corda desiderata. Con particolari rocche, dopo aver fissato ciascun filo ad un anello, venivano velocemente avvolti per comporre la corda che poi, ben tirata e ripulita, era pronta per l'uso non appena unta con la grascia, per farle acquistare maggior flessibilità e resistenza.
In questo lavoro noi ragazzini avevamo un compito semplice e noioso: girare la manovella posta dietro la macchina per ore e ore, fermandoci e ripartendo agli ordini del babbo che componeva la corda.
Venivano contadini da lontano con il sacco di stoppa e con una caciola di formaggio per compensare il lavoro che veniva svolto. Spesso era l'occasione per diventare amici, perché il lavoro per fare corde e canapi, poteva richiedere anche più giorni. Talvolta questi si fermavano anche la notte e si cercava di ospitarli nel migliore dei modi.
Quei contadini aiutavano: “spegliavano” la stoppa dai residui di canne, provavano con qualche successo a fare i fili, ma più spesso andavano nei campi a sbrigare le faccende in sostituzione del babbo impegnato nel preparar loro le corde.
Fonti scritte ed immagini:
Giuliano Cappanna: “Pane e companatico“. Sabbioni editore, Trestina 2010 (Pp. 65-66).
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