storia e memoria
LA VENDEMMIA
LA COLTIVAZIONE DELLA VITE E DELLA VENDEMMIA
LA COLTIVAZIONE DELLA VITE E DELLA VENDEMMIA
Prima della grande ristrutturazione della Tenuta negli anni Cinquanta da parte dell'I.F.I., a Montecorona non esistevano dei veri vigneti: i campi erano pieni di lunghi filari di viti, sostenuti da alberi da frutta o da "oppi" (aceri).
Le viti erano ancorate su tre fili di ferro: su quello centrale si espandeva la vite in orizzontale, sul più basso venivano legati i tralci, sul più alto si ancoravano, con i "venchi" (ramoscelli sottili del salice), i "getti", ossia i germogli, che si sarebbero sviluppati più tardi.
Completato il lavoro della potatura e della zappatura, appena i tralci crescevano, il contadino iniziava il trattamento antiparassitario, irrorando le piante di zolfo e verderame. Il procedimento era inizialmente effettuato manualmente, con una pompa a spalle, azionata tramite una leva con la mano destra, mentre con la sinistra si indirizzava il getto di acqua polverizzata sui tralci. Menco de Calavanne effettuava tale trattamento riempiendo una botte di acqua e verderame posta sopra la treggia (vedi più avanti) e, con l'ausilio di una pompa manuale, irrorava i tralci delle viti.
Questi trattamenti venivano ripetuti ad intervalli di circa 15-20 giorni, a seconda delle stagione o delle condizioni del tempo.
La qualità del vino non era certo eccellente; comunque la produzione permetteva al coltivatore di poterne disporre durante l'anno, altrimenti, viste le sue modeste condizioni, egli non avrebbe potuto comprarlo; pochi riuscivano a produrne una quantità maggiore, per cui potevano venderne la parte eccedente.
La vendemmia nel territorio montecoronese cominciava intorno alla fine di settembre, ma si poteva arrivare anche fino alla metà di ottobre. Qualche contadino preferiva ritardare la data della vendemmia in quanto l'uva, con l'abbassarsi della temperatura, acquistava in gradi zuccherini ed il vino diventava più buono e con un tasso alcoolico più elevato.
Il primo giorno di vendemmia lo si passava a raccogliere i grappoli più belli da essiccare per fare il vinsanto e la "governa" alle botti (1'uva, una volta essiccata, veniva spremuta ed il succo era aggiunto al vino per far ripartire la fermentazione ed aumentarne i gradi). Il giorno successivo si iniziava la vera vendemmia: era una festa, a cui partecipavano tutti, amici e parenti, dai più piccoli a più vecchi.
Sin da ragazzino venivo invitato dai contadini di Montecorona ad aiutarli nella vendemmia; mi ricordo che si raccoglievano i grappoli in canestri di vimini e li si travasava in grosse casse di legno; queste venivano poi collocate sulle treggie o su carri trainati dai buoi e trasportate fino alla cantina.
Ricordo che Giovanni de "Frillocco" pigiava l'uva nel tino con una macchinetta pigiatrice a rulli, azionata da una manovella manuale; visto che questa era posta sopra il tino ad un'altezza elevata, faceva salire noi ragazzi sopra ad alcune casse di legno perchè potessimo girarla.
Verso la fine degli anni Sessanta Giovanni riuscì ad acquistare una deraspatrice moderna a motore; di conseguenza da quel momento non ci fu più bisogno del nostro aiuto.
Il "mosto" veniva fatto "bollire" in un tino di legno dai tre ai cinque giorni; un paio di volte al giorno si dovevano spingere verso il fondo le bucce, che tendevano ad emergere.
Per produrre i vini rossi il mosto veniva fatto fermentare insieme alle vinacce, perché la buccia degli acini contiene delle sostanze che conferiscono al vino un colore rosaceo. Per produrre, invece, i vini bianchi, le bucce venivano rimosse prima che il vino iniziasse a fermentare.
Terminata la fase di ebollizione, si svinava: il mosto era messo nelle botti di legno; si passavano al torchio le vinacce ed il prodotto ottenuto veniva aggiunto al mosto. Iniziava così una fermentazione lenta, che poteva avere la durata di pochi mesi o anche di un anno.
Il vino delle botti subiva nel tempo vari travasi e rabbocchi; queste operazioni dovevano esser eseguite con la luna vecchia e con il sereno, altrimenti "prendeva de tristo". Per favorire la fermentazione e ridargli forza, si dava la "governa". Il proverbio diceva che "Per san Martino, ogni botte è vino" e di conseguenza in questa ricorrenza si faceva ovunque l'assaggio.
I contadini più poveri spesso erano costretti a vendere il vino per pagare i debiti contratti con il proprietario del terreno; queste famiglie non potevano perciò gustare il vino buono, ma si dovevano accontentare di quello meno buono, che aveva preso di "sponto" (aceto).
Sotto l'amministrazione I.F.I. vennero impiantati nella collina de "Il Bambino" dei vigneti innovativi, che producevano uve pregiate, Ricordo che, durante i lavori di impianto di tali vigneti, vi lavoravano anche settanta-ottanta operai al giorno; i nomi di tali persone venivano annotati poi in un registro da mio padre, che a fine giornata lo portava in visione all'ufficio di contabilità in fattoria.
Il vino ottenuto dai vitigni de "Il Bambino" era un vino di buona qualità.
di Giuliano Sabbiniani
(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)