storia e memoria
LE FESTE
LE FESTE A MONTECORONA
Di Giuliano Sabbiniani
LE FESTE A MONTECORONA
Le numerose feste religiose, che si svolgevano nel territorio montecoronese, erano organizzate per lo più attorno alle chiese ed alle edicole del comprensorio: la parrocchia fungeva da centro di aggregazione. Per recarsi nei luoghi ove si svolgevano, bisognava a volte camminare a piedi per ore; era 1' occasione per incontrare vecchi amici e parenti, che magari non si vedevano da tanto tempo, e per stare insieme in allegria.
Oltre che un programma religioso, esse presentavano anche aspetti ricreativi; perciò erano un momento di svago per tutti, piccoli e grandi, i quali avevano poche opportunità per divertirsi.
Feste di carattere locale, molto sentite, erano quelle di San Romualdo - il fondatore dell'Abbazia - che si festeggiava il 7 febbraio all'Eremo di Montecorona, e quella del martedì dopo Pasqua alla Badia, che richiamava un gran numero di persone anche dai paesi vicini; per l'occasione erano previste delle corse speciali di treni che si fermavano alla stazione di Montecorona.
L'ultima era organizzata dalle priorate (Gruppi di volontari che lavoravano a tempo perso per l'organizzazione e la buona riuscita di una manifestazione o festa, soprattutto in occasione di celebrazioni religiose, con scopi benefici.) una della sponda sinistra e l'altra della sponda destra del Tevere, che avevano la sede nei locali adiacenti al campanile della chiesa della Badia.
Nei giorni antecedenti la festa, i priori andavano per le case a chiedere uova, farina e vino, con cui preparare le torte ed i dolci che servivano per la stessa.
Era consuetudine, inoltre, distribuire ai presenti la torta con formaggio e pepe, annaffiata da buon vino locale.
Seguivano le celebrazioni della Madonna della piazza a Colle di Montecorona, di Santa Giuliana, della Madonna della Costa, della Madonna della neve a Pian d'Assino.
Nel 1980 si svolse per la prima volta la festa della Madonna col Bambino presso l'Edicola di Palazzo Rosa, per ricordare il 500° anniversario della sua costruzione. (L'Edicola, con l'immagine della Madonna col Bambino, è ciò che resta di una cappella esistente in questo luogo, sulle cui pareti erano dipinte storie della vita di San Savino, monaco dell'Abbazia di San Salvatore. Testimonianze successive affermano che sotto i dipinti si potevano leggere frammenti di iscrizioni riguardanti i miracoli del Santo.)
La gente intervenuta fu talmente tanta che il comitato decise di continuarla negli anni a venire. Per motivi di spazio, la festa poi venne trasferita nel campo antistante l'Abbazia e venne denominata "Festa Grande alla Badia".
Essa richiamava tantissima gente da tutta l'Umbria e diventò una delle più belle dell'alta valle del Tevere; una parte del ricavato veniva donato ad associazioni benefiche ed il resto per i lavori di manutenzione della stupenda Abbazia.
Per l'occasione si formò un gruppo teatrale chiamato "Gli Improvvisati", che recitavano in dialetto montecoronese e portavano in scena storie che erano spaccati di vita del mondo contadino.
La Festa della Santa Croce e le "Rogazioni"
Il 3 maggio cadeva la festa molto importante della santa Croce, perché legata alla vita del mondo agricolo. Era tradizione a Montecorona fare le "rogazioni", cioè preghiere e processioni propiziatorie per il buon andamento delle coltivazioni.
La processione - che veniva ripetuta in occasione della festa della Madonna della Piazza a Colle di Montecorona - partiva dalla chiesa della Badia e giungeva in punti prestabiliti della campagna circostante; era preceduta dalla Santa Croce e seguivano il prete con i chierichetti, le donne, i bambini ed infine gli uomini.
Durante il percorso i fedeli recitavano le preghiere e le litanie dei Santi; in luoghi prestabiliti la processione si fermava: la Croce allora veniva alzata e rivolta verso i punti cardinali, mentre il prete benediceva la campagna.
Per quel giorno si preparavano le croci con le canne; praticandovi dei fori, i contadini vi innestavano un rametto di ulivo e di giaggiolo, benedetti in Chiesa, e le piantavano nella parte alta del terreno che dominava i campi: questo era un rito propiziatorio, con il quale si invocava l'aiuto divino per un raccolto ricco e per la protezione dalle inclemenze del tempo.
Tra le feste religiose erano, ovviamente, celebrate quelle Liturgiche in particolare Natale, Pasqua, San Giuseppe, S. Antonio Abate e San Giovanni Battista
Natale
I Natali di una volta, visti all'insegna del consumo, non erano un gran che, ma sicuramente erano più sentiti di quanto non lo siano oggi. I regali di noi bambini di allora erano rappresentati da qualche giocattolo artigianale in legno, da poche caramelle o cioccolato e da qualche arancia.
Il giorno di Natale erano pochissimi coloro che non andavano a Messa, che rappresentava, al di là del sentimento religioso, un momento di incontro per gli abitanti della campagna.
Il pranzo di Natale costituiva una deroga all'alimentazione che si era costretti a seguire tutto l'anno a causa della miseria. La carne la faceva da padrona: per primo i cappelletti con il brodo di cappone; per secondo l'arrosto di tacchino o di coniglio; per contorno era usanza fare il gobbo in parmigiana; per dolce non mancavano mai i maccheroni dolci (pasta fatta in casa senza uova, passata nello zucchero, nel pangrattato e nelle noci tritate). La quantità di maccheroni dolci era sempre abbondante, perché quelli rimasti si mangiavano nei giorni successivi, in quanto si conservavano molto bene.
I figli dei dipendenti della Tenuta amministrata dall'I.F.I. si ricordano ancora oggi, con grande gioia ed emozione, i momenti passati insieme nel grande salone della fattoria in occasione del Natale.
Durante questa cerimonia il direttore consegnava ai piccoli dei pacchi dono che arrivavano direttamente da Torino; i ragazzini lo ringraziavano cantando:
"Fra le rose e le viole qualche giglio ci sta bene; noi vogliamo tanto bene all'amato direttore".
Quei doni - giocattoli e/o indumenti - per i figli dei lavoratori della Tenuta, avevano un grande valore, viste le ristrettezze economiche delle famiglie: ci si accontentava di poco e si era felici lo stesso!
Pasqua
La Pasqua portava con sé anche la sua ricchezza di tradizioni, alcune fortunatamente rimaste ancora oggi. Questa festa, al di là dell'aspetto religioso, viveva all'insegna della gastronomia; infatti era consuetudine cucinare le torte al formaggio a forma di panettone, cotte nel forno a legna, che si cominciava a preriscaldare qualche giorno prima. Nelle famiglie numerose si utilizzavano oltre duecento uova per le torte (le uova servivano per impastare la farina, il formaggio e lo strutto di maiale).
L'impasto si faceva lievitare pian piano nelle "mattre", a volte con l'aiuto di bracieri; con esso si riempivano le teglie di terracotta, che si portavano al forno, presente in quasi tutte le case coloniche: durante questa manovra, non si doveva fare nessun movimento strano, perché c'era il rischio che l'impasto lievitato perdesse la sua consistenza, "si sgonfiasse".
La mattina di Pasqua, la colazione si doveva fare rigorosamente con la torta di Pasqua, benedetta il giorno prima in chiesa insieme alle uova sode ed al vino, e si mangiavano il salame ed il capocollo del proprio maiale, avviati proprio per questa ricorrenza.
I Fuochi di San Giuseppe
La sera antecedente il 19 di marzo, per festeggiare San Giuseppe, era tradizione, a Montecorona e nei luoghi limitrofi, fare dei grandi falò in onore del Santo e come atto propiziatorio per il futuro raccolto: era veramente uno spettacolo suggestivo!
In ogni casa si preparavano delle cataste di legna secca, in genere ginestre o scarti delle potature delle viti; poi, con il sopraggiungere del buio si dava loro fuoco, dando vita ad una vera gara: vinceva chi faceva il falò più bello e più duraturo .
Da Colle di Montecorona si riuscivano a vedere le colline da Pierantonio fino a Serra Partucci: un vero spettacolo! Mi ricordo che mio zio Primo, quando ero ancora piccolo, mi prendeva sulle spalle per consentirmi di vedere meglio e mi diceva: "Quest'anno ha vinto il podere di "Fincio", in quanto il loro fuoco è stato il primo fra tutti ad ardere e l'ultimo a spegnersi". L'accensione di questi fuochi era anche un rito, che celebrava l'inizio del nuovo anno agricolo, ed era di buon auspicio per il raccolto.
La Festa di Sant’Antonio Abate
Il Santo più venerato dai contadini era S. Antonio Abate, in quanto protettore degli animali. Il 17 gennaio, giorno della sua festa, gli animali venivano portati davanti alla chiesa della Badia per essere benedetti dal sacerdote. Vista la grande affluenza, quella mattina venivano celebrate due Messe in onore del Santo, per permettere a tutti di ricevere la benedizione per i propri animali e per il loro cibo. Infatti, finita la celebrazione, tutta la gente si spostava nella piazza antistante il campanile, dove era concentrato il bestiame, ed il prete procedeva alla benedizione.
S. Antonio Abate era molto familiare tra le classi più umili, tanto che la sua immagine si trovava in tutte le stalle: veniva invocato dai contadini per la prosperità e la salute del bestiame; da qui un detto: "Tà la stalla, solo S. Antonio ci comanda"
La Festa di S. Giovanni Battista
Nel territorio di Montecorona, ma anche nei paesi vicini, la sera precedente la festa di San Giovanni veniva preparata "1'acqua odorosa".
Recipienti ricolmi di acqua proveniente da più fontane, nei quali si lasciavano cadere vari tipi di fiori ed erbe profumate (ginestre, rose, lavanda, salvia, rosmarino, maggiorana), venivano collocati all'aperto per tutta la notte tra il 23 e il 24 giugno per poter beneficiare della rugiada del Santo, alla quale si attribuivano virtù terapeutiche.
Il mattino del 24 giugno, tutti i componenti la famiglia si lavavano il viso con l'acqua profumata di San Giovanni, come segno di devozione e come atto propiziatorio per avere buona salute in generale per tutto l'anno.
Il Carnevale
Il carnevale veniva festeggiato dai montecoronesi dando vita alle "mascherate" in cui, di solito, le donne si vestivano da uomini e gli uomini viceversa. Per mascherarsi si ricorreva agli abiti presenti in casa; la fantasia e l'inventiva non avevano limiti: la poca stoffa esistente in casa e le abili mani delle donne di allora permettevano di confezionare delle bellissime maschere.
Il carnevale significava lasciarsi alle spalle per un giorno le fatiche e le tribolazioni quotidiane ed abbandonarsi alla voglia di divertimento. Nelle case con ambienti ampi si organizzavano, nei modi e con i mezzi di allora, i "festini", cioè serate danzanti;- gli inviti venivano fatti a voce con il passaparola. I maschi comperavano il vino, mentre le donne portavano dei dolci fatti in casa. I musicisti, il cui costo era a carico dei maschi, salivano sul tavolo della cucina che faceva da palco. Prima di entrare, quando si era mascherati, si chiedeva il permesso al capo di casa; questi, una volta riconosciuto l'ospite, lo invitava ad entrare.
Gli ambienti erano illuminati da acetilene a carburo (almeno fino a quando non arrivò 1'elettricità) e decorati con festoni di carta e corone di edera, fatti artigianalmente dalle donne.
Le feste cominciavano in prima serata e duravano fino a notte tarda; l'ultimo giorno di carnevale si cominciava a ballare prestissimo e si finiva un po' prima di mezzanotte, allorché subentrava la Quaresima, tempo di rigore e di divieto per il ballo.
Ogni tanto la musica cessava e si facevano delle pause, nelle quali ci si accostava ad un tavolo pieno di leccornìe. I dolci più usati a Montecorona erano le castagnole, fritte nell'unto del maiale e ricoperte di miele, e le frappe, sempre fritte allo stesso modo e cosparse di zucchero e liquore.
Finita la festa, si ripartiva a piedi verso casa ed a volte per il ritorno ciò significava marciare per ore su sentieri sterrati e bui, per illuminare i quali si utilizzava un lume a petrolio o una candela inserita in un barattolo della conserva che la riparava dal vento.
(Dal suo libro “Montecorona – la Tenuta e la sua gente” – gruppoeditorialelocale, Digital Editor srl, Umbertide - 2021)