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20 agosto 2021 08:57:24

Gino Monsignori

Gino, la Svizzera e i mari australi

A cura di Miriam Monsignori

Mio padre, Gino Monsignori, nell’estate del 1954 è un giovanotto ambizioso di appena 22 anni che desidera nient’altro che crearsi un avvenire di benessere e crescita maggiore rispetto alle condizioni, seppur dignitose, considerato la guerra e la famiglia numerosa, che ha vissuto sino ad allora.
Aveva provato a crearselo in Italia il suo avvenire, facendo domanda per entrare nella Guardia di Finanza (rigettata perché troppo giovane, non aveva compiuto ancora 18 anni), in Ferrovia, ma già da allora se non si avevano le “conoscenze giuste” (ovviamente non quelle legate alla competenza…) non si entrava facilmente nei “posti boni” e i lavori residui che si trovavano erano stagionali e non davano abbastanza soddisfazioni economiche che potessero creare le basi di quell’avvenire al quale tanto aspirava.
Allora, questo giovanotto intraprendente, una mattina di agosto del ’54 prende il treno della vecchia FCU (che allora bene o male funzionava) e si reca a Perugia all’Ufficio Provinciale del Lavoro e della Massima Occupazione (istituiti nel 1948 e fino al 1996 che poi funsero anche da Centri di emigrazione, con sede nelle località più idonee alle operazioni di espatrio e di rimpatrio dei lavoratori), per chiedere se vi fossero posti al mondo nei quali potersi recare per lavorare.
Gli rispondono che si, ci sarebbe un paese che cerca manodopera, è un po’ lontano e si chiama Australia. Bene, risponde, prende la domanda e la porta a casa.
Nel 1951 tra l’Italia e l’Australia era stato stipulato un accordo con il quale i due Governi s'impegnavano ad assistere l'emigrazione permanente di persone idonee dall'Italia in Australia.
Ne parla con un amico, Enzo Grottelli, anche lui proveniente da una famiglia ancor più numerosa e bisognosa il quale gli chiede di compilare una domanda anche per lui.
A novembre vengono entrambi chiamati per andare a Milano per espletare tutte le visite mediche necessarie per verificare l’idoneità all’emigrazione in quel paese, perché l’Australia non vuole che entrino nel proprio suolo persone malate ma sane e forti che possano svolgere le attività per le quali richiede personale.
Rimangono a Milano per tre giorni dove vengono sottoposti a visite mediche da medici australiani affiancati da personale italiano, e dove vengono altresì esaminati i loro profili e controllate le loro persone.

Al termine dei tre giorni, pagati dal Consolato Australiano, vengono rimandati a casa dicendo loro che gli idonei sarebbero stati avvisati con lettera con l data e il luogo della partenza.
La lettera arriva e fissa la partenza per l’Australia per il mese di febbraio del 1955 dal porto di Genova.
Gino ed Enzo si imbarcano assieme dal porto di Genova, il viaggio dura oltre un mese durante il quale hanno la possibilità di imparare alcune nozioni della lingua inglese attraverso l’insegnamento di personale messo a disposizione dal governo australiano.
La nave all’andata è transitata a Porto SAID passando attraverso il CANALE DI SUEZ, oltre il quale, giungeva nel MAR ROSSO, fermandosi ad ADEN, città dello YEMEN all'altro sbocco del CANALE, dove veniva fatto rifornimento e poi ripartiva alla volta dell'OCEANO INDIANO e, dopo altri 10 giorni di mare, toccava le coste di una nuova tappa del viaggio, COLOMBO, nello SRI LANKA, a sud dell'INDIA. Poche ore di sosta e sono ripartiti alla volta di FREMANTLE, il primo porto dell'Australia, dove sono giunti dopo altri 14 giorni di OCEANO senza vedere terra. Un giorno ed una notte di sosta e, via di nuovo verso Melbourne, altri cinque giorni di viaggio e sono arrivati finalmente a destinazione.
A Melbourne sono scesi e sono stati accompagnati fuori dalla città in quelli che noi chiamiamo oggi centri di accoglienza. Lì erano davvero accoglienti, si trattava di un quartiere fatto di tantissime casette di legno dove alloggiavano al massimo due persone e nelle quali Gino ed Enzo sono rimasti circa tre giorni dopodiché hanno detto loro che c’era lavoro in Tasmania e se volevano potevano provare ad andare lì.
Hanno accettato e di nuovo ripreso una nave e in circa sei ore hanno raggiunto la Tasmania isola selvaggia oggi, figuriamoci allora.
Dopo aver attraccato a Porth Arthur e raggiunto la capitale Hobarth sono stati accompagnati all’interno dell’isola dove stavano costruendo una centrale idroelettrica. Lì hanno spiegato loro che il lavoro consisteva nel creare dei passaggi artificiali per deviare le acque a favore della centrale.
Gino ricorda un paesaggio ricco di acque, fiumi e piante ad altissimo fusto, così alte che per vedere il sole doveva alzare gli occhi al cielo dove dalla fitta vegetazione filtravano deboli raggi di sole.

Anche lì hanno messo loro a disposizione della casette al massimo per due persone poi avevano la mensa per mangiare e gli diedero anche dei blocchetti con i quali poter restituire i soldi del viaggio mano a mano che venivano pagati dalle aziende.
Il lavoro non era male ma ci sono rimasti soltanto un mese perché aldilà di quello non c’era niente, erano isolati e la vita era solo lavoro e questo anche se erano lì per guadagnare non andava bene, avevano pur sempre vent’anni.


Così Gino ed Enzo sono ritornati a Melbourne e da lì sono andati nel Queensland, a Ingham, una bella cittadina dove c’era bisogno di personale per il taglio della canna da zucchero. Lavoro molto faticoso, ricorda di non aver mai sudato così tanto in vita sua!
Lo ha fatto per tre stagioni, lavorava a cottimo e guadagnava tantissimo, per capirci: quello che in Italia con un lavoro medio si guadagnava in un mese Gino riusciva a guadagnarlo in un giorno!

Quei soldi Gino li ha rimessi tutti alla sua famiglia che stava costruendo una nuova casa, in parte hanno contribuito a questo e in parte ad altre necessità. Ad un certo punto ha sentito però la mancanza, non di casa, ma del suo paese, l’Italia, dove era vissuto, della nostra cultura che quando uno ha l’opportunità di vedere altri paesi si rende ancora più conto di quanto sia speciale, ed è quella che ti manca, nulla più.
Gino per questo ha deciso di ritornare in Italia, mentre il suo caro amico Enzo è voluto rimanere lì, dove si è sposato con una signora australiana, ha due figli e una farm di oltre 50 ettari dove coltiva canna da zucchero.
E’ tornato a trovare Gino due volte, l’ultima circa 6 anni fa, sono rimasti in contatto e non c’è Natale, Pasqua, compleanni che al mattino presto squilla il telefono e in casa tutti diciamo “questo è Enzo! Rispondi babbo”, se il telefono tarda a squillare in quelle giornate è una grossa preoccupazione.

Mio padre racconta che il viaggio di ritorno nel 1958 è stato bellissimo, tornava a casa, aveva più soldi in tasca ed è stata una sorta di crociera. Questa volta era solo, Enzo come ho detto è voluto restare lì, l’unico elemento di tristezza.
Ha voluto cambiato percorso, partito da Sydney con la nave Castel Felice (leggi qua la storia della nave) della compagnia Sitmar passando per Java, Sumatra (isola di Jelon!!!!) e fino a Singapore attraversando di nuovo il Canale di Suez per attraccare questa volta nel porto di Napoli.
sitmar monsignori 1958.jpeg
Dal viaggio di ritorno Gino ha riportato questa pergamena che appare l'evoluzione degli ex-voto di molti emigranti oltre oceano, non più ringraziamento a Dio ed auspicio di un viaggio sicuro, ma attestazione "istituzionale" all'antica divinità del mare del viaggio negli oceani.

Svizzera

Al ritorno dall’Australia, nell’estate del 1959, mio padre si è fermato in famiglia per aiutarla nei lavori in campagna a Campaola dove i miei nonni avevano dei terreni agricoli da coltivare e del bosco dal quale traevano il sostentamento familiare.
Ma dopo aver fatto quell’esperienza all’altro capo del pianeta, si capisce bene come Campaola, località tra i monti che dividono Umbertide da Gubbio, fosse stretta per le sue ampie vedute.
Così agli inizi del 1960 prese questa volta un treno e, dapprima si diresse in Francia e poi in Svizzera dove c’era un nutrito gruppo di umbertidesi tra i quali anche suo cognato, Floridi Evelino.
Andò subito nel Cantone tedesco nella zona di Zurigo e lì cominciò a cercarsi un lavoro e un posto dove vivere.
Si fermò a Rümlang , un piccolo comune del Canton Zurigo nel distretto di Dielsdorf dove c’era un bel tessuto produttivo, con molte fabbriche più o meno grandi. In una di queste ha trovato subito lavoro, un lavoro che proseguì per tutto il periodo che rimase in Svizzera.

Il racconto continua con un curioso aneddoto: poiché aveva vinto qualche soldino al Totocalcio (vezzo italiano), era riuscito ad affittarsi una stanza vicino al posto di lavoro che aveva appena trovato. Era una stanza piccola che si trovava sopra una macelleria, dotata di tutti i confort e soprattutto era soltanto sua e non doveva condividerla con alcuno.
Ogni tanto tornava a casa, per le feste di Natale, in estate per le ferie. I viaggi erano un’odissea, treni pieni di connazionali generalmente provenienti dal meridione che portavano dai loro paesi d’origine i prodotti tipici, dalle arance della Sicilia ai salami e peperoncini dalla Calabria e l’olio dalla Puglia. Mio padre mi ha raccontato che una volta durante il tragitto che portava in Svizzera uno dei vagoni cominciò a colare spremuta di olive dalle valige dei passeggeri poste in alto sui porta bagagli!
I viaggi in treno erano sempre molto affollati e caotici, gente stipata in piedi lungo i corridoi con le famose valige di cartone ammassate nel passaggio intercomunicante tra due vagoni.
Questo accadeva fino a Chiasso, città di confine con la Svizzera. Chiasso era lo spartiacque: lì le persone venivano identificate, venivano aggiunte le carrozze necessarie a far sedere tutti i passeggeri. Tutti dovevano avere il loro posto a sedere fino al raggiungimento della destinazione del loro viaggio.
​In uno di questi viaggi di ritorno mio padre Gino conobbe Adriana, mia madre che poi nel settembre del 1963 sposò. Decise di portarla con sé in Svizzera dove lui aveva un buon lavoro e una buona sistemazione.

A questo punto la camera era un po’ piccola, allora cercò una sistemazione più consona alla sua nuova condizione di “uomo sposato”. Trovò un grande appartamento da condividere con un'altra coppia con l’uso cucina in comune. I coinquilini erano pugliesi . Qualche tempo dopo l’inizio della convivenza, mio padre, parlando con il proprietario dell’appartamento, si accorse però che a pagare gran parte dell’affitto era lui e così la convivenza si interruppe.
I miei genitori, vista l’esperienza, si adoperarono per trovare un appartamento solo per loro. Non era però facile ottenere una casa in affitto dignitosa perché gli svizzeri erano molto diffidenti con gli stranieri e bisognava essere referenziati.
La referenza di mio padre fu un signore che lavorava nel municipio di Zurigo il quale fece da garante a questa giovane coppia che così riuscì ad ottenere un piccolo appartamento, una stanza, una cucina e un bagno a Rümlang.

Mia madre, dopo un primo periodo di ambientamento e di sistemazione della casa aveva deciso che voleva anche lei cercarsi un lavoro e così prima con mio padre il sabato mattina e poi da sola andò alla ricerca di un lavoro chiedendo nelle numerose fabbriche del paese. Ne trovò uno in una fabbrica piuttosto grande dove non si trovò molto a suo agio.
Così lasciò quella occupazione e subito dopo trovò lavoro in una piccola fabbrica di ebrei che produceva collant dove lei si occupava di quello che oggi definiremmo “controllo della qualità”.
Le piacque molto, il lavoro, l’ambiente formato da tante giovani ragazze italiane di tutte le regioni, da nord a sud, venete, friulane, pugliesi piuttosto che siciliane.
Fu un bellissimo periodo per Gino e Adriana, mi raccontano sempre che vedevano tanti soldi, avevano una bella casa, lavori che gli piacevano e si stavano integrando nel rigido ambiente svizzero sia con la lingua che con le abitudini.
Poi un bel giorno del mese di marzo del ’66 la mamma si accorse di aspettare un bimbo e da lì mio padre ha subito voluto cambiare casa e per questo si è avvalso di nuovo di quella persona che lavorava in Comune il quale gli fece da garante per un appartamento di proprietà di una banca con due camere in una palazzina nuova.
Io sono arrivata a novembre ’66 due giorni dopo l’alluvione di Firenze.
Mia nonna Caterina che venne a vedere sua nipote non sapeva fino alla fine se sarebbe riuscita a passare con il treno in quell’Italia divisa in due a Firenze dall’Arno in piena che impediva il passaggio dei treni.
Mio padre aspettava sua suocera a Milano per accompagnarla in un paese che sembrava così lontano dalla realtà dalla quale lei veniva, anche il clima, il freddo la neve copiosa in quel periodo.
Mia nonna mi raccontava sempre che la mattina quando usciva nelle strade di Rümlang a fare la spesa, tutti la salutavano, erano ossequiosi (si ricorda che un giorno durante una bufera di neve le scappò via l’ombrello e un signore che passava si adoperò per riportarglielo).
Lei non capiva la loro lingua perché parlavano tedesco, erano gentili e cortesi, a suo dire, perché la scambiavano per svizzera vista la sua carnagione chiara e i suoi capelli castano chiari.
La stessa cosa succedeva a mia madre Adriana, bionda occhi azzurri, la sua facile integrazione passava anche da qui…

Poi quando nacqui io, tutto fu più difficile, anche perché non mangiavo e di conseguenza non crescevo, avevo problemi con il latte così Gino e Adriana mi riportarono in Italia dalla mia nonna materna che mi tenne fino a quando in miei genitori decisero che non potevano rimanere lì con me lontana e cioè la primavera del 1968.
Mio padre ricorda che quando andò alla stazione di Zurigo a contattare il responsabile che si sarebbe occupato di organizzare il trasporto con il treno dei mobili della loro casa sino ad Umbertide, questi, dopo essere andato a vedere dove abitavano per rendersi conto della spedizione da fare disse:
“Voi italiani tutti uguali, quando cominciare a stare bene tornare a casa…”.

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Gino Monsignori

Gino Monsignori

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Gino davanti alla casette

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Viaggio di Gino dall'Italia all'Australia e Ritorno.

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Gino e due amici in Australia.

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